Il cantante-musicista statunitense Hank Ballard – attivo nei generi rock and roll e rhythm and blues tra gli anni ’50 e ’70 – è oggi ricordato prevalentemente per le canzoni considerate ai tempi della pubblicazione quasi indecenti. Anzi, in una certa misura quelle canzoni possono essere definite poco regolari anche oggi, ma noi siamo ormai un po’ più abituati a sentire certe cose…
Assieme al suo gruppo di accompagnamento The Midnighters, Hank Ballard è stato inserito, nel 1990, nella Rock and Roll Hall of Fame per avere contribuito in un modo determinante al suono del rock and roll. Di conseguenza, avevo inizialmente pensato di postare qualche sua canzone da contenuto «decente» per farvi concentrare proprio sui meriti musicali del personaggio. Ma poi, abbastanza velocemente, ho cambiato idea: prima di tutto bisogna mostrare perché un musicista è apprezzato dal proprio pubblico, e solo dopo perché ha avuto dei riconoscimenti più o meno formali. Se non avesse avuto un proprio pubblico, non sarebbe mai finito nella Hall of Fame!
La canzone più nota della formazione Hank Ballard and The Midnighters è la «Work with Me, Annie» (pubblicata a febbraio del 1954):
In qualità della seconda canzone del post odierno ho scelto l’altrettanto famosa «Annie’s Aunt Fannie» (pubblicata a ottobre del 1954):
Bene, per oggi è andata così, mentre in futuro non ancora ben definito pubblicherò qualche canzone più «accademica» dei Hank Ballard and The Midnighters.
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Un giorno mi ero chiesto: perché ci sono molti musicisti rock che tentano di produrre delle loro interpretazioni delle composizioni musicali classiche, ma, allo stesso tempo, ci sono così poche orchestre sinfoniche che facciano delle loro interpretazioni della musica rock? Non è una situazione positiva: in realtà, ogni musicista bravo (o un gruppo di musicisti bravi) è in grado di farci scoprire qualcosa di nuovo in una composizione musicale che ci sembrava ben nota da anni o decenni. Anche se quella composizione in origine non apparteneva al genere musicale in cui il musicista è specializzato.
Non il potere di influire sul comportamento delle orchestre e delle loro amministrazioni – o almeno incoraggiarle a scoprire dei nuovi orizzonti professionali –, ma posso pubblicizzare i rari esempi dell’impegno fortunato dei musicisti classici nella interpretazione del rock. Così, oggi potrei ricordare la lunga esperienza in tale ambito della London Symphony Orchestra, che assieme alla Royal Choral Society ha già registrato 12 album nell’ambito della «Classic Rock series». La maggioranza di quegli album è stata registrata tra gli anni ’70 e ’80, ma io spero ancora che il progetto non venga abbandonato del tutto. Oggi condivido due brani tratti dal primo album della serie: il «Classic rock» pubblicato il 1° luglio 1978.
Il primo brano selezionato è «Bohemian Rhapsody» (in origine è una canzone dei Queen):
Il secondo brano selezionato è invece «Life on Mars» (in origine è una canzone di David Bowie):
Bene, ora le persone interessate possono cercare, in un qualsiasi momento a loro più comodo, il resto dell’album e della intera serie. Mentre io riprenderò l’argomento tra un po’ di tempo…
P.S.: un’altra grandissima domanda è perché nelle orchestre sinfoniche non si usino proprio anche gli strumenti musicali moderni. Esistono dei compositori della musica classica che intenzionalmente compongono per le orchestre arricchite di strumenti moderni, ma sono pochissimi: mi vengono facilmente in mente solo Jon Lord e Paul Romero. Ma questo è un argomento da approfondire separatamente.
Non so per merito di quale delle due date – il 90-esimo anniversario dalla nascita di Yuri Gagarin (9 marzo) o il 63-esimo anniversario del volo di Gagarin sull’orbita (12 aprile) – ma ho finalmente saputo della esistenza della Sinfonia N. 2 del compositore russo/sovietico Vyacheslav Ovchinnikov. Composta nel 1957 (dunque quattro anni prima del volo), è stata rivista dal compositore stesso nel 1973 e dedicata proprio a Yuri Gagarin. Secondo me è una composizione molto tradizionale da tutti i punti di vista, ma da suono adatto anche ai temi spaziali:
Purtroppo, su YouTube non sono riuscito a trovare una versione con l’audio più pulito.
P.S.: Vyacheslav Ovchinnikov (1936–2019) è stato noto al largo pubblico prevalentemente come un compositore delle musiche per film. Probabilmente un giorno ne scriverò in dettaglio.
Come sanno i più appassionati (o si ricordano i più anziani) ieri, il 5 aprile, era il trentesimo anniversario della presunta data di morte – per suicidio – di Kurt Cobain. Il leader dei Nirvana, infatti, non era più avvistato a partire dal 5 aprile 1994 e la mattina dell’8 aprile 1994 il suo corpo era stato per caso trovato nella serra della sua villa; secondo il medico legale la data più probabile del suicidio è proprio il 5 aprile.
Non per sfruttare il destino sfortunato di un personaggio famoso, ma per ricordare un artista importante, oggi dedico la mia rubrica musicale ai Nirvana.
La prima canzone scelta per oggi è la «Somethng in the way» (dall’album «Nevermind» del 1991): abbastanza deprimente, ma in un certo senso adatta all’occasione.
La seconda canzone dei Nirvana scelta per oggi è invece la «Come as you are» (sempre dall’album «Nevermind» del 1991), dove Cobain canta la frase «And I don’t have a gun» in un momento sbagliato a quanto inizialmente previsto.
Ho scelto proprio queste canzoni anche perché altre due famosissime sono già state postate la volta scorsa…
Il gruppo inglese Jethro Tull è noto, tra le altre cose, anche per avere cambiato spesso il proprio stile musicale adottando degli elementi tipici di generi musicali molto diversi tra loro: compresa la musica classica. In alcune rare occasioni, però, aveva proprio suonato dei cover rock delle composizioni classiche. Oggi vi propongo due esempi di quei cover.
Il primo è il «Bourée», la loro interpretazione della composizione strumentale (barocca) per liuto di Johann Sebastian Bach «Tempesta in mi minore» (inclusa nell’album dei Jethro Tull «Stand Up» del 1969).
Il secondo brano è il «Beethoven’s Ninth»: come potete capire facilmente, si tratta della nona sinfonia di Beethoven…
Valide, direi.
I Mephisto-Walzer sono quattro valzer composti da Franz Liszt rispettivamente negli anni 1859–1862, 1880–1881, 1883 e 1885. I valzer n. 1 e 2 furono originariamente scritti per orchestra e solo in seguito arrangiati (da compositore stesso) per pianoforte, mentre i valzer n. 3 e 4 furono scritti subito per pianoforte. Di questi quattro valzer, il n. 1 è il più popolare e frequentemente eseguito.
Ma io ci tengo tanto a postare anche il valzer n. 1, composto tra la fine del 1880 e l’inizio del 1881, rielaborato fortemente negli anni successivi e dedicato al compositore francese Camille Saint-Saëns.
Per i Mephisto-Walzer n. 3 e 4 della serie ci sarà un’altra occasione…
A volte mi capita di sentire nella testa l’eco lontano di qualche canzone, ma non riuscire a capire quale canzone sia… E poi passo giorni o settimane a cercare di ricordarmi quella canzone. L’ultimo (dal punto di vista cronologico) caso è stato realmente strano: ho scoperto che nella mia testa c’era l’eco della canzone «How Long Have You Been Blind» di Harry Belafonte. È strano perché io non sono proprio un fan di questo cantante.
E allora perché ho postato la suddetta canzone nella mia rubrica musicale? Perché ho scoperto che, secondo me, è molto più ascoltabile l’interpretazione di Lenny Kravitz:
In realtà, ascolto abbastanza poco pure Lenny Kravitz, ma a volte si può fare.
Visto che ieri c’era l’8 marzo, provo a scegliere la musica adatta all’occasione per la mia rubrica del sabato. Per esempio, la bagatella per pianoforte «Per Elisa» («Für Elise») di Ludwig van Beethoven che fu composta nel 1810 e scoperta solo quarant’anni dopo la morte del compositore. L’identità di «Elisa» rimane tutt’ora sconosciuta (nonostante alcune voci), mentre la composizione a ella dedicata è oggi una delle più famose di tutta la musica classica…
Aggiungo anche l’interpretazione del pianista bulgaro Georgii Cherkin accompagnato da una piccola orchestra:
Però la versione per il solo pianoforte mi piace molto di più.
Oggi ho deciso di ricordare, nella mia rubrica musicale, il lontanissimo periodo della scoperta (da parte mia) seria e sistematica della musica occidentale contemporanea (almeno per quell’epoca). Ho dunque selezionato due canzoni dei Queen…
La prima canzone scelta per oggi è la «Who Wants to Live Forever» (dall’album «A Kind of Magic» del 1986):
La seconda canzone scelta per oggi è invece la «The Show Must Go On» (dall’album «Innuendo» del 1991):
La scelta delle due canzoni non è proprio stata casuale, ma, allo stesso tempo, deve e può rimanere bella anche nel tempo.
Nella edizione odierna della mia rubrica musicale ci starà bene il «War Requiem» del compositore britannico Benjamin Britten, composto negli anni 1961–1962. Per la prima volta questo requiem fu eseguito il 30 maggio 1962 per la consacrazione della nuova Cattedrale di Coventry, ricostruita dopo essere distrutta dal bombardamento tedesco durante la Seconda guerra mondiale. Formalmente, il compositore intendeva che il tenore, il baritono e il soprano rappresentassero le tre parti in guerra: Gran Bretagna, Germania e Russia. Britten spera di utilizzare la musica e la poesia di Wilfred Owen – un soldato morto una settimana prima della fine della Prima Guerra Mondiale – per riconciliare le nazioni e salvare il mondo dalla guerra. Per fortuna o purtroppo, l’attualità di questa composizione si aggiorna nel tempo.
Ma è bella anche senza un collegamento alle questioni di attualità.