Oggi è il 220-esimo anniversario dalla nascita del compositore russo Mikhail Glinka, il quale in varia misura influenzò con il proprio lavoro artistico – nonostante una vita relativamente breve, appena 52 anni – lo stile dei principali compositori russi della seconda metà del XIX secolo e dell’inizio del XX. In sostanza, dal punto di vista cronologico fu il primo dei grandi compositori russi attualmente riconosciuti come tali. Diversamente di quanto succede a molti pionieri, Glinka stesso non è però artisticamente a tanti suoi eredi famosi. Non potevo dunque non dedicargli la puntata odierna della mia rubrica musicale.
Mi era già capitato di postare due esempi delle composizioni sinfoniche di Glinka, dunque per oggi ho provato a selezionare due sue composizioni da camera.
La prima composizione scelta è il «Trio Patetico» per clarinetto, fagotto e pianoforte, composto nel 1832 a Milano (durante il viaggio di Glinka in Italia):
La seconda composizione di Mikhail Glinka scelta per oggi è il «Gran Sestetto per pianoforte e archi», composto sempre nel 1832:
Direi che per questo compleanno possa andare bene.
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Il cantante Bobby «Blue» Bland è considerato uno dei più importanti rappresentanti del blues del periodo tra gli anni ’60 e ’80 anche se, in realtà, la sua attività musicale non era limitata a un solo genere: combinava con successo il blues, il soul e il rhythm and blues. Allo stesso tempo, purtroppo, non si può dire che sia stato un cantante particolarmente popolare: iniziò a formare il proprio stile musicale individuale alla fine degli anni ’50, ormai alla soglia dei trent’anni, mentre negli anni ’60 e ’70 fu ormai «all’ombra» dei cantanti e gruppi più giovani (spesso impegnati pure nei generi musicali nuovi e più alla moda).
Fortunatamente, sappiamo che la popolarità non è un sinonimo della qualità e i problemi con la popolarità non sono dei problemi con la qualità. A Bobby «Blue» Bland la qualità musicale non è mai mancata. Di conseguenza, penso che la sua musica vada ricordata e pubblicizzata. Nell’ambito di tale missione ho pensato di selezionare, per il post musicale di oggi, due canzoni da uno degli album migliori di Bland: il «His California Album» del 1973.
La prima canzone scelta è la «This Time I’m Gone For Good»:
La seconda canzone selezionata dallo stesso album è la «Goin’ Down Slow»:
Bene. Mi sa che la prossima volta che mi viene l’idea di ricordare Bobby «Blue» Bland, scrivo di qualche sua fortunata collaborazione con dei musicisti più largamente noti.
A volte – ma più spesso di quanto un lettore medio possa ipotizzare – la mia scelta delle composizioni musicali da postare nella presente rubrica viene dettata dagli eventi che si verificano nella vita quotidiana. In ogni caso, quegli eventi prima o poi si dimenticano, mentre i post musicali rimangono.
Prima o poi si dimenticherà pure il motivo (ben preciso!) per il quale ho scelto le due composizioni di oggi.
La prima composizione di oggi è di Marcel Lucien Tournier (1879–1951), un compositore, arpista e insegnante francese… Quanti di voi erano in grado di immaginare un uomo arpista? Eppure, in questo mondo tutto è possibile! Tournier, in particolare, fu tanto affezionato al proprio strumento musicale da comporre molto per l’arpa sola o, più raramente, inserita all’interno di un ensemble da camera. Così, alla fine degli anni ’40 compose la «Ce que chante la pluie d’automne» (Op. 49):
La seconda composizione che ho scelto per oggi è del compositore italiano Ottorino Respighi (1879–1936). Conosco relativamente poco il compositore, ma conosco bene il grande personaggio che canta la «Pioggia» (che in realtà era composta da Respighi, nel 1909, per pianoforte e mezzosoprano, ma va bene anche così):
Ecco, penso che per oggi possa andare bene così. Almeno sul mio sito la pioggia viene accesa e spenta quando e come lo voglio io, ahahaha
Il 6 ottobre 2023 era uscito il nuovo album di Joe Bonamassa: il «Blues Delux Vol. 2». In quel periodo storico mi ero fatto distrarre da qualcosa – non mi ricordo più da cosa – e avevo dimenticato di dedicare un post musicale al suddetto album. Fa niente: non è ancora tardi per recuperare. Anzi, recuperare proprio questo sabato è anche meglio perché tre giorni fa c’è stato il 46-esimo compleanno del musicista.
L’album in questione è dichiarato come una continuazione dell’album «Blues Delux» del 2003: Joe Bonamassa lo avrebbe prodotto anche con l’obiettivo di capire quanto è progredito come musicista in vent’anni. Come nel caso del primo album della «serie», l’analisi del progresso viene dunque effettuata attraverso un confronto in un certo senso diretto: interpretando dei brani di alcuni grandi esponenti della storia del blues.
Io, da semplice ascoltatore, penso che Joe Bonamassa abbia fatto dei notevoli progressi nel corso della propria carriera musicale e, di conseguenza, per il post di oggi ho selezionato – tra i brani del nuovo album – gli unici due non-cover (brani originali composti appositamente per questo album).
Il primo brano di oggi è dunque il «Hope You Realize It (Goodbye Again)»:
E il secondo brano di oggi è il «Is It Safe to Go Home»:
Ma tutto questo non significa che il progresso possa o debba fermarsi!
Il compositore francese Paul Dukas ebbe una carriera poco fortunata e, di conseguenza, relativamente breve: dall’inizio degli anni ’90 del XIX secolo ai primi anni del XX secolo. Ciò è dovuto in parte alla popolarità arrivata abbastanza tardi e in parte a un graduale spostamento degli interessi professionali di Dukas stesso verso l’insegnamento e la critica musicale. Non ha, dunque, composto tantissimo…
Ma tutti voi, a meno che non siate sordi o neonati, conoscete il suo poema sinfonico «L’apprenti sorcier» («The Sorcerer’s Apprentice» in inglese o «L’apprendista stregone» in italiano) composto nel 1897:
La composizione con la quale Paul Dukas divenne famoso tra i suoi contemporanei è invece l’ouverture «Polyeucte», composta nel 1891 ed eseguita in pubblico per la prima volta il 23 gennaio 1892:
Con queste due composizioni – ma, probabilmente, anche con la sola prima delle pubblicate in questa sede – Paul Dukas si è guadagnato il posto tra i compositori più importanti per la cultura mondiale ahahaha
Il cantante-musicista statunitense Hank Ballard – attivo nei generi rock and roll e rhythm and blues tra gli anni ’50 e ’70 – è oggi ricordato prevalentemente per le canzoni considerate ai tempi della pubblicazione quasi indecenti. Anzi, in una certa misura quelle canzoni possono essere definite poco regolari anche oggi, ma noi siamo ormai un po’ più abituati a sentire certe cose…
Assieme al suo gruppo di accompagnamento The Midnighters, Hank Ballard è stato inserito, nel 1990, nella Rock and Roll Hall of Fame per avere contribuito in un modo determinante al suono del rock and roll. Di conseguenza, avevo inizialmente pensato di postare qualche sua canzone da contenuto «decente» per farvi concentrare proprio sui meriti musicali del personaggio. Ma poi, abbastanza velocemente, ho cambiato idea: prima di tutto bisogna mostrare perché un musicista è apprezzato dal proprio pubblico, e solo dopo perché ha avuto dei riconoscimenti più o meno formali. Se non avesse avuto un proprio pubblico, non sarebbe mai finito nella Hall of Fame!
La canzone più nota della formazione Hank Ballard and The Midnighters è la «Work with Me, Annie» (pubblicata a febbraio del 1954):
In qualità della seconda canzone del post odierno ho scelto l’altrettanto famosa «Annie’s Aunt Fannie» (pubblicata a ottobre del 1954):
Bene, per oggi è andata così, mentre in futuro non ancora ben definito pubblicherò qualche canzone più «accademica» dei Hank Ballard and The Midnighters.
Un giorno mi ero chiesto: perché ci sono molti musicisti rock che tentano di produrre delle loro interpretazioni delle composizioni musicali classiche, ma, allo stesso tempo, ci sono così poche orchestre sinfoniche che facciano delle loro interpretazioni della musica rock? Non è una situazione positiva: in realtà, ogni musicista bravo (o un gruppo di musicisti bravi) è in grado di farci scoprire qualcosa di nuovo in una composizione musicale che ci sembrava ben nota da anni o decenni. Anche se quella composizione in origine non apparteneva al genere musicale in cui il musicista è specializzato.
Non il potere di influire sul comportamento delle orchestre e delle loro amministrazioni – o almeno incoraggiarle a scoprire dei nuovi orizzonti professionali –, ma posso pubblicizzare i rari esempi dell’impegno fortunato dei musicisti classici nella interpretazione del rock. Così, oggi potrei ricordare la lunga esperienza in tale ambito della London Symphony Orchestra, che assieme alla Royal Choral Society ha già registrato 12 album nell’ambito della «Classic Rock series». La maggioranza di quegli album è stata registrata tra gli anni ’70 e ’80, ma io spero ancora che il progetto non venga abbandonato del tutto. Oggi condivido due brani tratti dal primo album della serie: il «Classic rock» pubblicato il 1° luglio 1978.
Il primo brano selezionato è «Bohemian Rhapsody» (in origine è una canzone dei Queen):
Il secondo brano selezionato è invece «Life on Mars» (in origine è una canzone di David Bowie):
Bene, ora le persone interessate possono cercare, in un qualsiasi momento a loro più comodo, il resto dell’album e della intera serie. Mentre io riprenderò l’argomento tra un po’ di tempo…
P.S.: un’altra grandissima domanda è perché nelle orchestre sinfoniche non si usino proprio anche gli strumenti musicali moderni. Esistono dei compositori della musica classica che intenzionalmente compongono per le orchestre arricchite di strumenti moderni, ma sono pochissimi: mi vengono facilmente in mente solo Jon Lord e Paul Romero. Ma questo è un argomento da approfondire separatamente.
Non so per merito di quale delle due date – il 90-esimo anniversario dalla nascita di Yuri Gagarin (9 marzo) o il 63-esimo anniversario del volo di Gagarin sull’orbita (12 aprile) – ma ho finalmente saputo della esistenza della Sinfonia N. 2 del compositore russo/sovietico Vyacheslav Ovchinnikov. Composta nel 1957 (dunque quattro anni prima del volo), è stata rivista dal compositore stesso nel 1973 e dedicata proprio a Yuri Gagarin. Secondo me è una composizione molto tradizionale da tutti i punti di vista, ma da suono adatto anche ai temi spaziali:
Purtroppo, su YouTube non sono riuscito a trovare una versione con l’audio più pulito.
P.S.: Vyacheslav Ovchinnikov (1936–2019) è stato noto al largo pubblico prevalentemente come un compositore delle musiche per film. Probabilmente un giorno ne scriverò in dettaglio.
Come sanno i più appassionati (o si ricordano i più anziani) ieri, il 5 aprile, era il trentesimo anniversario della presunta data di morte – per suicidio – di Kurt Cobain. Il leader dei Nirvana, infatti, non era più avvistato a partire dal 5 aprile 1994 e la mattina dell’8 aprile 1994 il suo corpo era stato per caso trovato nella serra della sua villa; secondo il medico legale la data più probabile del suicidio è proprio il 5 aprile.
Non per sfruttare il destino sfortunato di un personaggio famoso, ma per ricordare un artista importante, oggi dedico la mia rubrica musicale ai Nirvana.
La prima canzone scelta per oggi è la «Somethng in the way» (dall’album «Nevermind» del 1991): abbastanza deprimente, ma in un certo senso adatta all’occasione.
La seconda canzone dei Nirvana scelta per oggi è invece la «Come as you are» (sempre dall’album «Nevermind» del 1991), dove Cobain canta la frase «And I don’t have a gun» in un momento sbagliato a quanto inizialmente previsto.
Ho scelto proprio queste canzoni anche perché altre due famosissime sono già state postate la volta scorsa…
Il gruppo inglese Jethro Tull è noto, tra le altre cose, anche per avere cambiato spesso il proprio stile musicale adottando degli elementi tipici di generi musicali molto diversi tra loro: compresa la musica classica. In alcune rare occasioni, però, aveva proprio suonato dei cover rock delle composizioni classiche. Oggi vi propongo due esempi di quei cover.
Il primo è il «Bourée», la loro interpretazione della composizione strumentale (barocca) per liuto di Johann Sebastian Bach «Tempesta in mi minore» (inclusa nell’album dei Jethro Tull «Stand Up» del 1969).
Il secondo brano è il «Beethoven’s Ninth»: come potete capire facilmente, si tratta della nona sinfonia di Beethoven…
Valide, direi.