Il cantante e musicista Little Richard appare oggi come un grande romanzo classico: tutti lo conoscono, ma quasi nessuno lo legge ascolta. Oppure lo dico solo perché non sono abbastanza anziano? Boh… In ogni caso, non è possibile negare che Little Richard sia stato uno dei primi rocker «praticanti» al mondo: sia dal punto di vista musicale che quello estetico rappresenta la versione canonica del rock l’n roll. Di quel rock l’n roll che all’ascoltatore di oggi potrebbe sembrare un po’ ingenuo e quasi primitivo.
Purtroppo, Little Richard non ha saputo tenere il passo della evoluzione della musica in generale e del suo genere preferito in particolare. Di conseguenza, viene prevalentemente ricordato come una leggenda degli anni ’50 del secolo scorso.
Ma tutto questo non significa che non dobbiamo conoscere le origini di uno dei generi musicali più fortunati della storia. Quindi per il post musicale di oggi ho scelto due canzoni abbastanza scontate.
La prima è la «Long Tall Sally» (dall’album «Here’s Little Richard» del 1957):
E la seconda è la «Keep A Knockin’» (dall’album «Little Richard» del 1958):
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A volte si potrebbe mettere anche qualcosa di più leggero nel tradizionale post musicale del sabato. Per esempio, qualche composizione suonata dalla orchestra moscovita «Kush»…
Non so per quale motivo non abbiano tradotto il loro sito almeno in inglese (eppure sono giovani), ma le loro caratteristiche musicali non dipendono dalla lingua. Quindi scrivo solo che l’orchestra suona la musica propria e uno dei soliti suona la balalaika. Mi sorprendo ogni volta che sento produrre qualcosa di originale con questo strumento primitivo.
Un altro esempio della musica della stessa orchestra è una composizione che riprende in modo interessante i motivi spagnoli:
Proverò a seguirli.
Il settembre del 2020 è il mese di un grande anniversario: cinquant’anni fa era uscita, ancora sotto la forma di un album, la prima versione della opera rock di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice «Jesus Christ Superstar». Purtroppo, non posso indicare il giorno preciso della pubblicazione perché le varie fonti da me consultate indicano delle date diverse. Ma un giorno in più o un giorno in meno non influiscono particolarmente sul fatto stesso: è incedibile, ma è già passato mezzo secolo.
In questi decenni il «Jesus Christ Superstar» è stato rappresentato in tantissimi teatri di tutto il mondo, è stato registrato più volte in audio e almeno per due volte è diventato un film.
Ma io, per la mia enorme fortuna, circa venticinque anni avevo scoperto questa opera epocale proprio nella sua prima – secondo me la migliore – versione. Quella versione-album del 1970 dove il ruolo di Gesù è interpretato (oppure è meglio dire cantato?) dal cantante dei Deep Purple Ian Gillan. Quest’ultimo è stato bravo quanto tutti gli altri cantanti — spesso meno famosi — impegnati nella registrazione.
E ora provate a indovinare da quale album proviene il brano che ho scelto per il post musicale di oggi…
Io metterei l’aria di Gesù-Gillan «Gethsemane (i only want to say)». Il filmato è fatto male, ma a noi interessa l’audio:
Le persone che hanno vorranno ascoltare l’opera intera e preferiranno farlo su YouTube, potranno servirsi del video seguente:
I cinque ragazzi su questa foto del 1959 sono i membri del gruppo musicale scolastico indiano The Hectics.
Il gruppo suonava il rock and roll alle feste scolastiche, «discoteche» dell’epoca e piccole feste.
Al centro della foto è il cantante del gruppo Farrokh Bulsara, arrivato per motivi di studio da Zanzibar. Poco più di due anni dopo lo scatto della foto, Farrokh fu bocciato agli esami e, non potendo accedere al livello successivo degli studi, tornò dai genitori sull’isola natale. Dopo altri due anni su Zanzibar iniziò la rivoluzione e la famiglia Bulsara fu costretta a fuggire in Gran Bretagna con il bagaglio costituito solo da due valigie di vestiti.
Ricordatevi questa «storia triste» ogni volta che il destino sembra essere contro di voi.
Ma ricordatevi anche che non bisogna stare sempre in una attesa passiva.
Giuseppe Verdi è stato un grandissimo compositore ma, secondo la mia opinione personale, la sua eredità musicale è un po’ abusata nell’Italia contemporanea. La sua musica viene ficcata da tutte le parti anche quando si potrebbe tranquillamente farne a meno. Così, per esempio, l’importanza di Verdi non verrebbe assolutamente sminuita se qualcuno osasse di fare una Prima in meno con qualche sua composizione. Anche tra i soli compositori italiani possiamo facilmente ricordare diversi candidati altrettanto validi.
Considerato tutto questo, direi ci tenevo tantissimo a postare qualche composizione strumentale di Giuseppe Verdi meno conosciuta delle altre. O, almeno, meno conosciuta al pubblico «comune»…
Insomma, per oggi ho scelto il Quartetto per archi in mi minore (composto nel 1873):
Bene, finalmente mi sono anche espresso in merito.
Oggi il gruppo britannico The Swinging Blue Jeans viene spesso definito come «il gruppo di una hit». Questa definizione, però, non è del tutto corretta. In primo luogo, oltre alla canzone più famosa canta da loro, anche alcune altre avevano raggiunto una certa popolarità verso la metà degli anni ’60. In secondo luogo, bisogna riconoscere che tutte le canzoni meglio riuscite al gruppo – compresa quella più famosa – erano originariamente scritte e/o interpretate da altri gruppi o cantanti (spesso molto più noti e professionalmente più longevi).
Di conseguenza, sarebbe forse più opportuno dire che The Swinging Blue Jeans sia stato un gruppo composto dalle persone capaci ma sfortunato con i manager. Questi ultimi, infatti, non hanno saputo organizzare bene il lavoro del gruppo e procurare del materiale musicale di valore, utile nella dura missione di fare la concorrenza a The Beatles (popolarissimi proprio in quel periodo storico).
In ogni caso, bisogna riconoscere il ruolo del gruppo nella storia della musica leggera del XX secolo.
La prima canzone scelta per il post di oggi è quella unica che oggi viene associata al nome del gruppo: «Hippy Hippy Shakes» (dall’album «Hippy Hippy Shakes» del 1960).
E la seconda è la «Don’t Make Me Over» (dall’album «Don’t Make Me Over» del 1966):
Reinhold Glière è logicamente considerato un compositore russo, seppure sia nato a Kiev (all’epoca una città dell’Impero Russo) da genitori tedeschi e abbia acquisito la cittadinanza russa solo all’età di ventidue anni. Effettivamente, ha passato la maggior parte della propria vita fisica e professionale tra l’Ucraina zarista/sovietica e la Russia.
Molto meno logico è associare il nome di Reinhold Glière solo con il titolo del «padre del balletto sovietico» o con i numerosi incarichi accademici e/o amministrativi che ha ricoperto durante la sua lunga vita professionale. Nonostante l’indiscutibile dato storico del suo grande riconoscimento ufficioso e istituzionale durante il periodo stalinista (i riconoscimenti del genere hanno un loro costo per la persona), non possiamo non riconoscere che sia stato anche un compositore di alta qualità. Gli artisti hanno la fortuna di rimanere nella storia – soprattutto nel lungo periodo – con ciò che vale realmente nella lunghissima storia dell’umanità: con le loro opere. Lo si può dire anche di Reinhold Glière.
Quindi per il post musicale odierno ho scelto il suo Concerto per arpa e orchestra (composto nel 1938) suonato dalla orchestra sinfonica moscovita «Filarmonica russa»:
Il gruppo britannico UFO, nato nel 1969 e cambiato più volte nella sua composizione (l’unico membro costante è il cantante Phil Mogg), durante i decenni della sua attività ha influenzato diversi gruppi del hard rock e del metal. Io, però, l’ho scoperto relativamente tardi (alla fine degli anni ’90), anni dopo alcuni altri gruppi alla qualità dei quali mi ero già abituato. Di conseguenza, ho sempre classificato gli UFO come un gruppo di rango inferiore rispetto, per esempio, ai Scorpions: questi ultimi, secondo me, hanno raggiunto dei risultati decisamente più interessanti nel hard rock. Non so se sia anche il merito di Michael Schenker – fratello più piccolo di Rudolf – che ha suonato prima con gli UFO e poi con i Scorpions.
Ma è comunque importante conoscere le origini della musica amata e ascoltata anche nelle epoche passate della vita (da circa dieci anni i miei interessi sono limitati a alcuni altri generi). Quindi per il post musicale di oggi ho scelto le seguenti due canzoni degli UFO:
La prima è «Doctor Doctor» (dall’album «Phenomenon» del 1974):
E la seconda è «Let It Roll» (dall’album «Force it» del 1975):
Non abbiamo tantissime informazioni biografiche sul compositore franco-fiammingo Josquin Desprez e pure la sua paternità di molte opere precedentemente attribuitegli viene – da circa quarant’anni – messa in discussione. Ma, in ogni caso, possiamo constatare che fu stato uno dei più grandi compositori della sua epoca, quindi del periodo corrispondente all’ultimo quarto del XV secolo e i primi decenni del XVI secolo.
Dal punto di vista stilistico – ma anche quello tecnico – la musica di Josquin Desprez rispecchia tutta la varietà dell’epoca storica indicata. Scegliendo le sue composizioni per il post di oggi mi sono però concentrato sulla musica mondana.
Quindi la prima composizione di oggi è la frottola «Scaramella va alla guerra» (la canzone è di Loyset Compère):
Mentre la seconda composizione è la frottola «El grillo» (oggi alcuni la ritengono, inspiegabilmente, la più famosa):
Anche la musica un po’ antica può essere leggerissima da ascoltare 🙂
La Neopoleon Studio è una azienda russa che produce i film, le serie televisive, la pubblicità e la musica. Per alcuni anni, fino al 2016, i cinque personaggi-chiave dello studio hanno lavorato anche in qualità di un gruppo musicale, registrando la musica per i film prodotti. Ed è proprio grazie a uno di quei film che ho finalmente scoperto, qualche settimana fa, le loro canzoni (il brano principale mi era sembrato meritevole di attenzione).
Quindi oggi potrei provare a selezionare due canzoni ascoltabili per il tradizionale post musicale del sabato.
La prima sarà «Not a loser»:
E la seconda sarà la versione live di «My lord»:
Molto probabilmente si tratta di una novità anche per voi.