Ho saputo che il 22 novembre è uscito il film «Belushi»: come potete facilmente immaginare, è dedicato a quel pazzo – nel senso positivo – di John Belushi. Non ho ancora visto il film e non so quando lo farò, ma intanto…
Non sono particolarmente interessato alla televisione, quindi per me John Belushi rimane un interessante fenomeno musicale e cinematografico. Quindi il post musicale di oggi è dedicato a The Blues Brothers, il gruppo creato da John Belushi e Dan Aykroyd nel 1978. Di quel poco (relativamente) che hanno fatto in tempo a comporre prima della morte di Belushi nel 1982, per il post di oggi ho selezionato le seguenti due canzoni.
La prima è la «Hey Bartender» (dall’album «Briefcase Full of Blues» del 1978):
E la seconda è «Riot In Cell Block Number Nine» (dall’album «Made in America» del 1980):
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Giacomo Puccini è un compositore talmente famoso che è inutile tentare di raccontarne qualcosa di originale. Mi sembra invece molto più sensato ricordare che oltre alle opere liriche (per le quali è meritatamente noto e apprezzato in tutto il mondo) ha scritto, durante la sua lunga carriera, anche numerose composizioni di altro genere. Vorrei dunque dedicare il mio post musicale odierno proprio a due esempi di queste ultime. La passione professionale di Puccini verso l’opera lo aveva spinto a prevedere almeno una voce umana anche nei pezzi molto più brevi, ma io, almeno per questa volta, limiterei il campo dello studio alle sole composizioni strumentali.
Inizierei con il «Piccolo Valtzer» per pianoforte composto nel 1894:
E poi metterei la «Scossa elettrica», una marcetta brillante per pianoforte, composta presumibilmente nel 1899:
Più è famoso un autore e più è utile conoscere i suoi lati artistici meno pubblicizzati.
P.S.: anche se avrei potuto aggiungere anche una piccola fantasia personale. Chissà quante volte, recandosi al (o tornando dal) Conservatorio di Milano dove aveva studiato, Giacomo Puccini era accompagnato dal suo grande amico e compagno degli studi Pietro Mascagni. Però, una delle vie che molto probabilmente avevano percorso più volte, ora porta il nome meno scontato tra i due possibili. Io, facendo quella via, a volte rifletto su questo aspetto.
La canzone «Good Golly Miss Molly» è stata in origine scritta per Little Richard e, come tante altre canzoni cantate da quest’ultimo, con gli anni è diventata un grande classico del rock. È dunque stata interpretata da moltissimi altri cantanti e gruppi. Lo stesso Little Richard ne aveva registrato due versioni: una veloce e una lenta. Io metterei la versione veloce perché Little Richard è entrato nella storia proprio con le canzoni veloci.
La versione lenta della canzone (interessante e un po’ psicodelica) che merita di essere pubblicata e ascoltata è quella dei Creedence Clearwater Revival (inclusa nel loro album «Bayou Country» del 1969):
Da ritmo apparentemente intermedio è la versione dei The Swinging Blue Jeans (registrata nel 1963):
Tra queste tre versioni c’è anche la mia preferita, ma per ora preferisco di non dire qual è.
Manuel de Falla è probabilmente il primo tra gli spagnoli a essere entrato nella famiglia dei grandi compositori europei di musica classica come un componente non inferiore agli altri. Per riuscire a farlo non ha dovuto uniformarsi ad alcuna tendenza: semplicemente, ha unito il flamenco spagnolo con la sonorità di una orchestra sinfonica. Nel corso della propria carriera musicale ha scritto delle composizioni di varie tipologie, ma io, per il post di oggi, ho voluto scegliere qualcosa che rappresenti al meglio la sua caratteristica appena menzionata.
Di conseguenza, la prima composizione scelta è la «Danza española» (dall’opera «La vida breve») suonata dalla orchestra ungherese di Budafolk (la solista è la violinista ungherese Katica Illényi). Alcune tendenze al pop di questa interpretazione sono giustificate dal fatto che si tratta pur sempre di una danza.
Mentre la seconda composizione selezionata per oggi è la «Serenata andaluza» (suonata dalla orchestra Frankfurt Radio Symphony, solista Javier Perianes):
Per oggi è così, ma molto probabilmente tornerò ancora a Manuel de Falla.
Il 23 ottobre è uscito il nuovo album di Joe Bonamassa: «Royal Tea». E dato che per me si tratta di un evento culturale importante, non posso non dedicarne un post della mia rubrica musicale.
La prima canzone del nuovo album che ho selezionato è «Why Does It Take So Long to Say Goodbye»:
E la seconda canzone tratta dallo stesso album è «A Conversation With Alice»:
Bene, almeno dal punto di vista musicale non è un anno perso.
Francesco Maria Veracini è stato un compositore e violinista italiano del XVIII secolo particolarmente apprezzato, ai suoi tempi, non solo in patria ma anche in Inghilterra. Oggi non è particolarmente noto alle larghe masse e questo è un motivo ulteriore per proporre qualche sua composizione nel mio tradizionale post del sabato sera.
Per esempio, potrei iniziare dalla Serenata in Fa maggiore per flauto e organo:
E poi aggiungere questa Sonata in Re maggiore:
Come si intuisce facilmente anche dal nome, il gruppo The Allman Brothers Band si è formato attorno ai due fratelli Allman: Gregg e Duane. Inizialmente, negli anni ’60, Gregg era visto potenzialmente più «vendibile» dai produttori musicali, mentre Duane era già un musicista-turnista molto richiesto dai «grandi» del blues, jazz e soul. Al giorno d’oggi, invece, il gruppo formato dai fratelli e alcuni loro amici è considerato uno dei creatori del southen-rock americano: un genere che include alcuni elementi del blues, jazz e country.
Da parte mia posso confermare che la musica dei The Allman Brothers Band è effettivamente interessante, soprattutto quella composta negli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80. Nel post musicale di oggi, pensavo di concentrarmi esclusivamente sui primi anni ’70: il periodo nel quale entrambi i fratelli erano ancora in vita (Duane è morto in un incidente con la moto nel 1971), ma poi ho cambiato idea.
Metto dunque due canzoni che rappresentano due epoche diverse del gruppo (sciolto e riunito più volte).
La prima canzone selezionata per oggi è «One Way Out» (dall’album «Eat a Peach» uscito nel 1972):
E la seconda è «Come On in My Kitchen» (dall’album «Shades of Two Worlds» uscito nel 1990):
Non tutti (o non sempre) si ricordano che il famoso compositore Gaetano Donizetti – al quale avevo già dedicato un post – ebbe un fratello maggiore Giuseppe Donizetti, anche egli compositore: forse non grandissimo, ma sicuramente buono.
La vita da mercenario musicale nel senso stretto del termine aveva portato Giuseppe Donizetti a svolgere il ruolo del maestro della musica militare a corte di ben due sultani turchi nel periodo dal 1828 al 1856 (l’anno della morte di Giuseppe). Precedentemente, invece, aveva prestato il servizio militare-musicale nell’esercito napoleonico e poi in quello sabaudo.
Ma a noi oggi interessa il periodo turco di Giuseppe Donizetti. Perché i due inni nazionali turchi scritti dal nostro protagonista ci mostrano quanto erano importanti per la Turchia dell’epoca, nonostante le differenze estetiche, alcuni valori culturali occidentali. In una certa misura si potrebbe sostenere che oggi si manifesta un processo di direzione esattamente opposta.
Il primo inno nazionale scritto da Giuseppe Donizetti per l’Impero Ottomano è del 1829 e si chiama «La marcia di Mahmudiye» in onore dell’allora sultano Mahmud II:
Il secondo inno scritto da Giuseppe Donizetti per l’Impero Ottomano è del 1839 e si chiama «La marcia di Mecidiye» in onore del nuovo sultano Abdul Mejid I:
Avrei potuto provare a scrivere delle differenze tra i due inni, ma rischio di farlo troppo male pure del punto di vista dilettantistico. In ogni caso, alcune differenze fondamentali si sentono facilmente.
Il cantante statunitense Chubby Checker è stato probabilmente il più noto divulgatore del twist negli anni ’60 del secolo scorso. La popolarità del suddetto genere musicale, non per il merito di Chubby Checker, è durata relativamente poco (meno di un decennio), ma esso non è stato tra i peggiori fenomeni culturali della storia recente. Allo stesso tempo, anche Chubby Checker non ha saputo seguire l’evoluzione della musica e delle preferenze della gente, perdendo dunque la propria popolarità, ma è comunque rimasto nella storia della musica leggera come uno dei cantanti più interessanti della sua epoca. In un certo senso è anche meglio: sarebbe triste se tutti gli artisti facessero le stesse cose, cercando di soddisfare le preferenze della maggioranza.
Per il post musicale di oggi ho scelto le due canzoni più note di Chubby Checker.
La prima è «The Twist» (dall’album «Twist With Chubby Checker» del 1960, ma scritta e pubblicata già due anni prima da Hank Ballard):
E la seconda è «Let’s Twist Again» (dall’album «Let’s Twist Again» del 1961):
Forse ho iniziato a dedicarmi troppo alla musica «d’epoca»? Dovrei cercare a non farlo troppo spesso.
Tutta la biografia del compositore Gioachino Rossini sembra confermare quel strano stereotipo secondo il quale le persone apparentemente più allegre sarebbero in realtà fortemente depresse dentro. Così, Rossini scriveva la musica molto ritmica e quasi sempre allegra, non nascondeva il proprio amore verso la bella vita, ma allo stesso tempo manifestava spesso dei visibili sbalzi di umore nella vita quotidiana e ha sofferto sempre più la depressione negli ultimi anni della propria vita.
Però ancora oggi la sua musica fa stare bene gli altri (almeno io lo ringrazio e ascolto ahahaha).
La prima delle sue composizioni selezionate per il post di oggi è la Sonata I in Sol maggiore (la prima delle sei sonate scritte per due violini, un violoncello e un contrabasso nel 1804):
E la seconda è la Serenata (scritta nel 1823):