Alla corte reale britannica esiste la figura del Master of the Queen’s Music (o Master of the King’s Music). Tale incarico fu creato nel 1626 dal re Carlo I. Il titolare dell’incarico fu originariamente al servizio del monarca d’Inghilterra, dirigendo l’orchestra di corte e componendo o commissionando musica secondo le necessità. Al giorno d’oggi, invece, l’incarico viene ricoperto da persone che si distinguono nell’ambito della musica classica, quasi sempre da compositori. Così, la Regina Elisabetta II ha nominato – durante il proprio regno – quattro Maestri della Musica della Regina, trasformando la nomina a vita in una nomina decennale: al fine di rendere l’incarico più attraente per i compositori contemporanei.
Nel 2014 Elisabetta II ha nominato, per la prima volta nella storia, una donna all’incarico di Master of the Queen’s Music: la compositrice britannica Judith Weir. Le tendenze musicali di Judith Weir sono abbastanza conservatrici, ma i critici musicali sostengono che la signora «sa come rendere misteriose le idee musicali semplici in modi nuovi». Purtroppo, solo gli eventi di cronaca recenti mi hanno spinto ad ascoltare qualche composizione di Weir. Ora provo a condividere con voi due degli esempi scoperti.
Inizio con la «Love Bade Me Welcome» su testi di George Herbert, un poeta metafisico e paroliere spirituale inglese del XVII secolo:
La seconda composizione di Judith Weir selezionata per oggi è la «Ascending into Heaven»:
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Il 22 agosto era il 160-esimo anniversario della nascita del compositore francese Claude Debussy. Per festeggiare la data provo dunque a postare qualche composizione relativamente allegra di Debussy.
Inizio con «Le trimphe de Bacchus» (una suite composta nel 1882):
E poi metto «Le fantasie per piano e orchestra» (composte tra il 1889 e il 1890):
Potrebbe andare bene come un post musicale di auguri? Forse sì.
Nel 1840 il governo francese fu intenzionato a festeggiare, il 28 luglio, il decimo anniversario della Rivoluzione di Luglio. Proprio nella fase di preparazione di tale evento, commissionò al compositore Louis-Hector Berlioz una composizione musicale che avrebbe dovuto essere eseguita per strada. Così nacque la «Grande symphonie funèbre et triomphale». Il 28 luglio 1840 fu diretta dal compositore stesso per le vie di Parigi.
Esistono due versioni di questa sinfonia: quella originale per una orchestra militare di fiati e percussioni e quella rielaborata da Berlioz nel 1842 per aggiungere gli archi e il coro. Io preferisco pubblicare la seconda: perché mi sembra una opera più completa e autonoma.
Questa è l’ultima, nel senso cronologico, sinfonia di Hector Berlioz e, allo stesso tempo, la sua seconda composizione dedicata alla memoria dei caduti durante la Rivoluzione di Luglio: il primo è stato il Requiem del 1837.
Il compositore e pianista francese Erik Satie fu – e in un certo senso rimane ancora oggi – un personaggio molto particolare del mondo musicale. Pur essendo stato un autodidatta (per due volte fu escluso dal conservatorio parigino a causa degli scarsi risultati accademici), riuscì a diventare uno dei riformatori della musica del primo quarto del XX secolo. Così, per esempio, fu il fondatore o precursore delle numerose correnti musicali: l’impressionismo, il primitivismo, il costruttivismo, il neoclassicismo e il minimalismo. Inoltre, alla fine degli anni ’10 del XX secolo inventò il genere della «musica d’arredamento» (musique d’ameublement): quella musica – ora tipica dei negozi e delle mostre – che «non ha bisogno di essere ascoltata» perché fatta di melodie semplici e discrete che vengono ripetute centinaia (se non migliaia) di volte senza pause.
Allo stesso tempo, nei primi cinquant’anni della propria vita Satie fu praticamente sconosciuto al grande pubblico: sarcastico, acrimonioso e ritirato, visse e lavorò lontano dagli ambienti musicali francesi dell’epoca. Divenne dunque ampiamente noto solo grazie a Maurice Ravel, il quale organizzò nel 1911 una serie di concerti di Satie e lo presentò agli editori giusti. Proprio dopo questi fortunati eventi iniziò il periodo di contatto con i più famosi compositori a egli contemporanei e di una certa influenza sui loro stili di comporre la musica.
Tra le importanti composizioni del tardo periodo fortunato di Satie ho pensato di selezionarne, per oggi, una neoclassica. Quindi posto la dramma sinfonica in tre movimenti «Socrate», scritta negli anni 1917–1918 sulla base di tre «Dialoghi» di Platone.
Anche se capisco che nonostante tutta la sua apparente semplicità, a qualcuno potrebbe sembrare pesante…
Ieri era il 140-esimo anniversario dalla nascita di Igor Stravinskij, uno dei miei compositori preferiti. So che la cultura non ha bisogno dei pretesti formali per essere ricordata, studiata o semplicemente contemplata. Però alcuni pretesti vanno comunque sfruttati…
Della eredità musicale ricca e stilisticamente molto varia di Stravinskij ho scelto, per questa volta, l’opera-balletto da camera «L’Histoire du soldat» composta nel 1917. Il nome e il contenuto di questa composizione non c’entrano alcunché con gli avvenimenti di quest’anno o con quelli dell’anno di creazione. La composizione si basa interamente su alcune fiabe popolari russe. In breve, la trama è:
Un soldato povero vende la propria anima (rappresentata da un violino) al diavolo per un libro che permette di predire il futuro. Dopo avere insegnato al diavolo di usare il violino, il soldato torna nel proprio villaggio natale. La conversazione con il diavolo era però durata tre lunghi anni e ora nessuno degli abitanti del villaggio riconosce più il soldato: nemmeno la madre e la ex fidanzata (quest’ultima, nel frattempo, si è sposata). A questo punto il soldato inizia a sfruttare il libro ricevuto dal diavolo e diventa favolosamente ricco. Ricco, ma non felice, quindi si mette a giocare a carte con il diavolo: il denaro contro il violino. Il diavolo vince ma — felice per essersi arricchito — perde il violino. Il soldato si impossessa del violino, cura una principessa malata (promessa dal re a chi riuscirà a liberarla dalla malattia) e scappa con lei dal regno. Alla fine, però, finisce all’inferno per avere disobbedito al diavolo. L’opera termina con il trionfo del diavolo espresso in una sua marcia sarcastica.
Nonostante il genere formale di opera-balletto, «L’Histoire du soldat» è una composizione che non prevede le parti vocali. In più, negli anni successivi Stravinskij aveva scritto, sulla base di questa opera-balletto, due omonime suite:
1) quella del 1919 per pianoforte, clarinetto e violino…
2) e quella del 1920 per i sette strumenti della composizione originale: clarinetto, fagotto, cornetta, trombone, violino, contrabasso e percussioni (un mescuglio molto curioso):
Non sapendo quale delle due possa interessarvi di più, le ho messe entrambe, ahahaha
Il compositore ungherese Bela Bartok (1881–1945) è stato uno dei principali innovatori musicali della propria epoca, ma al giorno d’oggi è ricordato e amato prevalentemente per la seconda grande missione di tutta la sua vita: l’etnografia musicale. Di conseguenza, tra le composizioni di Bartok più eseguite prevalgono ora quelle basate sul folklore ungherese, romeno, bulgaro, slovacco, jugoslavo etc..
Ora riporto solo un esempio di quelle composizioni: le danze popolari romene preparate per una orchestra d’archi.
Ma trovo giusto ricordare anche (e soprattutto) qualche bella composizione originale di Bela Bartok, qualcuna che provenga più dalla sua testa che dai materiali raccolti durante i viaggi e poi rielaborati. Per esempio, potrei postare la «Musica per archi, percussioni e celesta» comporta nel 1936:
Ovviamente, non posso prevedere quale delle due «correnti di Bartok» sia più vicina alle preferenze di ogni singolo lettore/ascoltatore del presente post…
Il pianista e compositore austriaco Carl Czerny era considerato a Vienna, nella prima metà del XIX secolo, uno dei migliori insegnanti di pianoforte. E, infatti, è stato un leggendario metodista, famoso per avere scritto una altissima quantità di studi per il pianoforte. C’è chi sostiene che è impossibile trovare, in tutto il mondo, un pianista degli ultimi duecento anni che non abbia durante la propria vita suonato almeno una composizione di Carl Czerny.
Fino al 1815 Carl Czerny fu un concertista apprezzato sia dai compositori che dal pubblico: Ludwig van Beethoven gli affidò l’esecuzione del suo Terzo Concerto per pianoforte e orchestra. Nel 1815, però, Czerny smise di suonare il pianoforte e si concentrò sulla pedagogia e la composizione.
Per oggi la mia intenzione abbastanza ovvia è stata quella di selezionare due composizioni «normali» (e non degli studi) di Carl Czerny. Il risultato è il seguente.
La prima composizione selezionata è la sonata per due pianoforti in do maggiore, op. 119 («sonata militaire et brillante»):
Mentre la seconda composizione selezionata è la sonata per due pianoforti in sol maggiore, op. 120 («sonata sentimentale»):
Secondo me la tendenza alla pedagogia si percepisce comunque…
Il compositore Pierre Boulez per molti anni è stato uno dei maggiori esponenti dell’avanguardia musicale francese. Non so se questo aspetto abbia realmente favorito la sua popolarità nel senso tradizionale: la musica che componeva poteva spesso sembrare – per l’orecchio di uno ascoltatore medio – troppo «particolare» e quindi troppo difficile. Di conseguenza, al largo pubblico Pierre Boulez è più noto in qualità del direttore d’orchestra: un altro ambito dove ha raggiunto dei livelli notevoli.
Ma io, come al solito, preferisco comunque dedicare il post musicale alle opere originali («primarie») dell’artista, quindi per oggi ho selezionato le seguenti due composizioni di Pierre Boulez…
Inizierei con il «Dialogue de l’ombre double» per il clarinetto e gli strumenti elettronici (composto negli anni 1982–1985; lo stesso compositore aveva successivamente creato una versione anche per il fagotto):
E poi aggiungo la Sonata n. 2 per il pianoforte (composta nel 1948), una delle composizioni più nota tra quelle tipiche dello stile di Pierre Boulez:
Alla sua attività da direttore d’orchestra ci tornerò più tardi…
Un giorno del 1800 il compositore austriaco Franz Joseph Haydn vide presentarsi a casa sua un visitatore-cliente un po’ particolare che fino a quel momento non aveva mai interagito direttamente con il padrone della casa: il macellaio della zona – e, soprattutto, un grande fan di Haydn – che gli chiese di comporre un minuetto per il matrimonio della figlia. Il compositore accettò e consegnò, il giorno concordato, il lavoro svolto. Dopo alcuni altri giorni, poi, Haydn udì provenire dalla strada una esecuzione molto forte e un po’ stonata di quel minuetto. A quel punto si avvicinò alla finestra e vide una orchestra da strada, gli sposi, tanti ospiti e il macellaio con un grande toro a seguito. «Maestro! Il miglior ringraziamento da parte di un macellaio può essere solo il migliore dei suoi tori», esclamò il cliente felice.
È per questo che il minuetto in Do maggiore di Haydn si chiama «Minuetto del toro» (oppure il «Minuetto del bue»):
Un giorno Franz Joseph Haydn fu impegnato a Londra a dirigere l’esecuzione di una delle sue sinfonie. Gli spettatori desiderosi di vedere dal vivo il compositore famoso si radunarono vicino al palco e solo per questo motivo si salvarono da un grande lampadario improvvisamente caduto dal soffitto. Haydn, fortemente impressionato da quanto accaduto, espresse comunque una grande soddisfazione per il fatto che la sua musica salva le vite umane.
Oggi molti storici della musica sostengono che la sinfonia eseguita in quella occasione sarebbe stata la Sinfonia n. 102 in bemolle maggiore (composta nel 1794):
Forse ho trovato un nuovo principio per scegliere le composizioni musicali da postare…
Già diverse settimane fa avevo pianificato per il post musicale di oggi una composizione del compositore statunitense Morton Feldman. Per qualche volontà suprema, al figlio degli immigrati ucraini è capitato questo «onore» proprio nel triste periodo che osserviamo ora…
Non potevo e non volevo ripianificarlo per i tempi migliori. Ho solo preferito cambiare la composizione musicale scelta. Oggi posto le tre «Triadic Memories» (pubblicate nel 1981), tipiche dello stile di Feldman: lento, quasi timido o triste, con diverse ripetizioni.