Ho pensato – forse non per la prima volta nella vita – che si potrebbe utilizzare anche i pretesti stupidi per scegliere la buona musica nella mia rubrica del sabato. Perché è il risultato che ci interessa!
Ed ecco ho selezionato due serenate di Wolfgang Amadeus Mozart ahahaha…
La prima che ho scelto è quella più largamente nota (soprattutto per la sua prima parte): la Serenata № 13 in sol maggiore, chiamata «Piccola serenata notturna» («Eine kleine Nachtmusik»), composta nel 1787.
La seconda serenata di Mozart che ho scelto per oggi è la Serenata per orchestra № 7 in Re maggiore, composta nel 1776 (è chiamata anche «Serenata Haffner» perché commissionata dall’amico del compositore Sigmund Haffner il Giovane per i festeggiamenti del matrimonio di sua sorella Marie Elisabeth).
Bene, forse sono riuscito anche in questa missione di selezione.
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Mi ero messo a preparare il post musicale del sabato in un momento in cui il mio umore era un po’ in stile Edvard Grieg. E allora ho deciso di postare due delle sue suite sinfoniche composte nel 1875 per la rappresentazione teatrale del drama «Per Gynt». Probabilmente sono le due suite più note di tutta la serie, ma sono sempre belle, non è male ricordare della loro esistenza.
Inizio con la suite «Nell’antro del re della montagna», un bel esempio del heavy metal norvegese del XIX secolo (sì, anche da quelle parti hanno delle lunghe tradizioni culturali ahahahaha):
E poi aggiungo la suite «Il mattino», comporta sempre per il drama «Per Gynt». Questa potrebbe sembrarvi più tradizionale.
Bene, spero che migliorino l’umore almeno di qualcuno di voi.
La Sonata № 20 in do minor di Franz Joseph Haydn è la sua prima composizione alla quale lo stesso Haydn definì «sonata». Composta nel 1771, è dedicata alle sorelle pianiste Katharina e Marianne Auenbrugger.
Ma il musicologo americano Howard Pollack sostiene che la Sonata n. 20 fu originariamente scritta per clavicordo. Se fosse vero, il primo movimento della sonata potrebbe suonare così:
Per ora non ho trovato su YouTube una versione completa e di qualità soddisfacente della Sonata n. 20 suonata con un clavicordo. Volendo, potete cercare anche voi.
Bene, è giunto – da tutti i punti di vista – il momento di tornare alle «Quattro stagioni di Buenos Aires» del compositore argentino Ástor Piazzolla. Infatti, questa volta nella mia rubrica musicale è il «turno» dell’«Invierno Porteño» («Inverno a Buenos Aires») composto nel 1969.
Inizierei dalla versione live dell’autore stesso:
E poi aggiungo una sorprendente interpretazione sinfonica: quella della Nederlands Philharmonisch Orkest.
Qualsiasi musica può essere suonata bene con qualsiasi strumento (o insieme di strumenti). Non sono gli strumenti che dobbiamo ascoltare.
Visto che quest’anno la festa milanese di Sant’Ambrogio capita di sabato, ho pensato di dedicare la coincidente puntata della mia rubrica musicale a qualche composizione particolarmente legata a Milano… Ma, allo stesso momento, scegliere qualcosa di non particolarmente noto e/o banale.
Non è stato un compito tanto facile, ma alla fine sono riuscito a trovare una cosa veramente rara: la musica a più voci di Giulio Cesare Ardemanio, pubblicata da Graziadio Ferioli nel 1628, che rappresenta la prima testimonianza superstite di musica per il teatro composta da un milanese, stampata a Milano e ivi rappresentata in una circostanza nota (la visita in città di san Carlo Borromeo nel periodo di carnevale del 1628).
Su YouTube sono riuscito a trovare, di Giulio Cesare Ardemanio, solo la breve canzon a quattro «La Inquieta»:
Ora bisogna capire chi e come motivare per cercare e caricare qualche altra composizione: per gli storici della musica dilettanti potrebbe essere una cosa molto utile e interessante.
Mentre per ora non ho la possibilità di aggiungere il tradizionale secondo video.
La mia scelta di oggi della composizione musicale da postare nella rubrica musicale deriva, come a volte succede, dalla osservazione di quello che succede nel mondo nel preciso momento storico.
Negli ultimi giorni (o settimane) ho la sensazione che sia stato raggiunto un nuovo livello di idiozia globale, quindi mi è venuta in mente una delle composizioni classiche più cupe e deprimenti che conosco: la «Apotheosis of this Earth» del compositore ceco/statunitense Karel Husa. Pubblicata nel 1970, questa composizione si riferisce a una catastrofe globale come l’uso dell’arma nucleare (una interpretazione purtroppo non obsoleta nemmeno oggi), nulla ci vieta di ascoltarla tenendo in mente anche alcuni altri sviluppi…
Oppure si può ascoltarla senza alcun legame con gli eventi – storici o potenziali – della vita reale.
Quest’anno ho pensato di dedicare il tradizionale post musicale pre-Halloween alla composizione di Franz Schubert il Quartetto per archi n. 14 in Re minore (D 810), chiamata anche «La morte e la fanciulla». La prima versione di questa composizione fu un breve tema per pianoforte scritto dallo stesso Schubert nel 1817: in quella occasione si trattò di un breve dialogo tra una giovane ragazza, che cerca di convincere il Tristo Mietitore a non toglierle la vita, e la Morte, che si definisce amica e afferma di aver portato con sé solo il dolce sogno dell’oblio.
Quella prima composizione fu però solo il primo passo verso la creazione di qualcosa di più grande. In una buona misura la nuova composizione – il Quartetto, appunto – riflette lo stato d’animo del compositore in quel momento della sua vita. Nel 1824, all’epoca del lavoro sulla creazione del suddetto Quartetto, Schubert – che già non fu portatore di una buona salute – si ammalò gravemente e si fu ricoverato in ospedale. I pensieri sull’approssimarsi della morte lo visitarono spesso (in più fu pure praticamente in bancarotta e questo aspetto non contribuì al miglioramento dell’umore).
Il Quartetto è composto da quattro movimenti che rappresentano un’unica storia sulla vita, la morte e la successiva resurrezione dell’anima.
Questa composizione, eseguita per la prima volta nel 1826 in una casa privata di Vienna, fu presentata al grande pubblico nel 1831: ormai tre anni dopo la morte del compositore. Ma è oggi meritatamente considerata uno dei pilastri del repertorio cameristico.
Negli ultimi tempi mi capita, con una certa periodicità, di leggere qualcosa sulla creazione delle opere d’arte ai tempi di guerra: da parte degli artisti che vivono negli Stati-aggressori e quelli che vivono negli Stati-vittime. Sono delle letture lunghe, spesso interessanti, a volte discutibili, e in ogni caso difficili. Di conseguenza, almeno per ora non tento di riassumerle: richiederà un impegno al quale non sono pronto io e, molto probabilmente, nemmeno la maggioranza dei potenziali lettori.
Allo stesso tempo, da quelle letture posso ricavare qualche idea «pratica», qualche opera artistica bella e interessante indipendentemente dalle circostanze nelle quali è stata creata. Prendiamo uno degli esempi che ho scoperto di recente: il «Quartetto d’archi» del compositore francese Jacques Ibert…
Nel 1937 Ibert fu nominato direttore dell’Accademia di Francia a Roma (la prima volta dal 1666 che un musicista veniva nominato a questa carica). Con l’inizio della Seconda guerra mondiale, Ibert ricoprì il ruolo di addetto navale presso l’Ambasciata francese a Roma. Il 10 giugno l’Italia entrò in guerra e il giorno successivo Ibert, insieme alla sua famiglia, partì da Roma con un treno diplomatico. Già nell’agosto del 1940 fu collocato a riposo, con un decreto speciale del governo di Vichy il suo nome fu cancellato dall’elenco degli ufficiali di marina e le sue opere furono vietate. Per i quattro anni successivi, Ibert visse in condizioni di semi-legalità pur continuando a comporre e, tra le altre cose, nel 1942 completò il Quartetto per archi che aveva iniziò nel 1937.
Si era dedicato a quello che sapeva fare meglio, aveva raggiunto dei risultati interessanti e, sicuramente, trovava del tempo per contribuire anche alla soluzione delle questioni attuali per quegli anni.
Proprio questo sabato capita un anniversario musicale che avreste potuto saltare: i 150 anni dalla nascita del compositore britannico Gustav Holst.
Come tutti i compositori rilevanti, pure Holst aveva iniziato a comporre musica da adolescente, ma, a differenza di molti, non era mai riuscito a trasformare la composizione nella propria attività professionale principale. La sua musica veniva eseguita in pubblico, riceveva delle buone recensioni, ma rendeva poco dal punto di vista economico. Di conseguenza, Holst aveva sempre affiancato la composizione ad altri lavori musicali: orchestrale trombonista fino al 1903 (aveva iniziato lo studio del trombone da ragazzino nel tentativo di combattere gli attacchi dell’asma) e insegnante di musica nelle scuole fino alla propria morte nel 1934.
Solo nel 1921 aveva avuto una improvvisa parentesi di grande popolarità da compositore: dopo la pubblicazione della sua suite per grande orchestra in sette movimenti «The Planets» (composta negli anni 1914–1916 ed eseguita per la prima volta il 10 ottobre 1918).
Proprio quella suite è il «tema» del post musicale di oggi:
Gusta Holst, però, si era dimostrato totalmente impreparato e indisponibile alla popolarità: rifiutava tutti gli onori e le interviste, era stato addirittura categoricamente contrario al firmare gli autografi.
Sempre tormentato da problemi di salute, è morto il 25 maggio 1934 a Londra a causa di un’insufficienza cardiaca dovuta a un intervento chirurgico per un’ulcera intestinale.
E io penso di dedicargli ancora almeno un post musicale. Ormai, la popolarità non potrà più infastidirlo!
Dopo avere pubblicato il post musicale dedicato alla compositrice francese Louise Farrenc, mi sono accorto di non avere mai postato alcunché del compositore tedesco Felix Mendelssohn. Non è assolutamente giusto!
Infatti, nonostante una vita relativamente breve (1809–1847), Mendelssohn ha fatto in tempo a comporre una buona quantità di musica interessante e diventare uno dei maggiori rappresentanti del romanticismo nella musica (sicuramente è successo anche grazie al fatto che i genitori, pur appartenendo al mondo pratico e pragmatico bancario non hanno mai ostacolato – anzi! – lo sviluppo degli interessi artistici del figlio). Anche le tipologie delle composizioni di Mendelssohn sono abbastanza numerose e varie: sinfonie, opere liriche, concerti, oratori, musica per organo, musica da camera…
Però per il primo post dedicatogli vorrei selezionare qualcosa di realmente famoso di Felix Mendelssohn.
Come prima composizione del post metterei la marcia composta nel 1842 per la commedia shakespeariana «Sogno di una notte di mezza estate». Non conosco abbastanza bene le tradizioni italiane in materia (e non ho avuto l’occasione di raccogliere abbastanza osservazioni empiriche), ma in diversi Stati – la Russia compresa – questa marcia si usa largamente in qualità di marcia nuziale.
La seconda composizione di Felix Mendelssohn che metterei oggi è la Sinfonia n. 1 in Do minore. Il compositore la terminò a marzo del 1824 – all’età di 15 anni – ma nella primavera del 1829 sostituì la sua terza parte. Proprio questa versione modificata della sinfonia ebbe un ruolo importantissimo nel riconoscimento internazionale di Mendelssohn in qualità di un bravo compositore.
Bene, così la prossima volta – quando capita – mi dedico a qualche composizione più grande di Felix Mendelssohn.