India Today e NDTV scrivono, citando le loro fonti, che il primo ministro indiano Narendra Modi avrebbe raggiunto un accordo con Vladimir Putin sul licenziamento dal servizio militare russo degli indiani che sono stati ingannati per partecipare all’invasione dell’Ucraina. Secondo i due media, la Russia faciliterà anche il ritorno in patria delle persone reclutate. Putin e Modi hanno preso questa decisione durante la visita del primo ministro indiano a Mosca.
Come avrà fatto Modi a convincere Putin a lasciare finalmente in pace quei «utili sacchi di carne» stranieri? Io potrei avanzare almeno due ipotesi.
In primo luogo, Modi avrebbe potuto raccontare a Putin — ovviamente in un modo molto diplomatico — che attualmente su questo pianeta non ci sono molti grandi acquirenti diretti del petrolio russo. Certo, il mercato globale del petrolio non può, almeno per ora, fare a meno del petrolio russo, ma la modalità di vendita va comunque concordata con qualcuno disposto a comprare più o meno apertamente.
In secondo luogo, potrei sospettare che avevano in qualche misura ragione coloro che sostenevano che a metà giugno Putin avrebbe raggiunto un accordo con Kim Jong-un sulla fornitura allo Stato russo di un po’ di nuovo materiale umano coreano: da utilizzare anche sul fronte ucraino.
In ogni caso, posso già fare auguri a Modi e a tutti gli indiani ingannati.
L’archivio del tag «guerra»
La mattina dell’8 luglio l’esercito russo esegue uno dei più grandi attacchi missilistici su Kiev. Un missile russo, in particolare, colpisce un ospedale pediatrico: è stata colpita la parte dell’edificio dove i bambini stavano ricevendo la dialisi (depurazione del sangue per l’insufficienza renale).
Sempre nella mattinata dell’8 luglio l’agenzia di stampa governativa russa TASS comunica: un attacco missilistico russo ha colpito un magazzino dello stabilimento militare Artem di Kiev. L’impianto Artem produce missili aria-aria e attrezzature per aerei.
Certi russi – ma per fortuna non tutti! – continuano chiedersi: «perché l’esercito ucraino ci colpisce?».
È solo uno dei 865 giorni della guerra (il numero si riferisce alla data di ieri). Continuare la lettura di questo post »
Il martedì 2 luglio il premier ungherese Viktor Orban era andato a Kiev per presentare a Zelensky il proprio «piano di pace»: cessare il fuoco e cercare di trattare con Putin. Tradotto nel linguaggio degli esseri umani: smettere di opporre resistenza (perché non ha iniziato l’Ucraina a fare la guerra) e accettare le condizioni di Putin per la «pace» (la quale, come sospettiamo, non sarà assolutamente duratura). Zelensky aveva trovato le forze per rispondere a Orban in un modo diplomatico.
Il venerdì 5 luglio, invece, il premier ungherese Viktor Orban si è presentato a Mosca da Putin per «continuare la missione di pace». Dalle dichiarazioni pubbliche di Orban e Putin, però, non sono riuscito a capire quale «piano» il primo abbia presentato al secondo. Putin ha ripetuto il proprio vecchio mantra secondo il quale «è sempre disposto a trattare» (tradotto nel linguaggio umano: disposto a imporre le proprie condizioni alla Ucraina), mentre il suo portavoce Peskov ha dichiarato che Orban avrebbe iniziato i suoi viaggi di pace per l’iniziativa propria.
Ecco: la politica estera del premier Orban esercitata nel corso degli anni mi fa sospettare fortemente che il contenuto delle sue «proposte di pace» non sia nato nella sua testa. Perché, appunto, coincide troppo con i desideri di Putin. Allo stesso tempo, non escludo che l’iniziativa di viaggiare in giro per il mondo con le suddette proposte sia realmente sua. Infatti, potrebbe avere capito di avere una chance di aumentare il proprio peso politico in Europa, assumendosi il ruolo perso da Lukashenko. Il ruolo di una persona che ha ancora la voglia e la capacità di parlare con tutti, compresi gli esponenti peggiori della politica internazionale (cioè Putin). L’"ultimo dittatore d’Europa" Lukashenko ha esagerato un po’ con le repressioni interne e non viene più accettato in Europa nemmeno in qualità di un addetto allo spurgo diplomatico. Orban, invece, vede la possibilità di guadagnarci qualcosa (non importa se politicamente o economicamente) da tutte le parti: da suo amico Putin e in Europa che pensa di rappresentare.
C’è solo un piccolo dettaglio da precisare: i suoi sforzi difficilmente porteranno a dei risultati utili nell’ottica della pace, e prima o poi se ne accorgeranno tutti.
Un cannone antiaereo sovietico S-60 montato su un veicolo trasporto truppe cingolato MT-LB e carico di munizioni coreane fa un effetto bellissimo:
Se fosse sempre così…
Finalmente! Finalmente posso condividere con voi i dati aggiornati e credibili sulle perdite tra i militari russi nel corso della invasione della Ucraina.
A differenza di tante altre «fonti», l’articolo segnalato non sostiene che tutto l’esercito russo sia già stato sterminato più di una volta, ma propone una metodologia di calcolo logica e, di conseguenza, con i risultati che sembrano realistici.
Ovviamente, non sono contento per il dato meno alto di quello che tanti vorrebbero spacciare per vero (ma nemmeno dispiaciuto per un dato «troppo basso»). Sono contento per avere uno strumento in più per la comprensione dell’andamento di questa guerra cretina.
Vladimir Zelensky non ha escluso, nella recente intervista, che Vladimir Putin possa essere invitato al prossimo vertice di pace organizzato dall’Ucraina. Secondo Zelensky, se la Russia e l’Ucraina riusciranno a trovare un modo per sedersi al tavolo dei negoziati, non egli si aspetta che Putin vi partecipi «nel prossimo futuro» perché ritiene che il presidente russo sia «troppo spaventato per venire».
Indipendentemente da quello che intende Zelensky con quanto appena riportato, sospetto che Putin potrebbe avere paura di presentarsi al summit di pace per il banale motivo della sicurezza personale. Infatti, non ha paura della guerra perché – purtroppo, non senza motivo pensa che l’Occidente non abbia il coraggio di entrare in conflitto serio con lui; non ha paura che le sue richieste territoriali folli (le cosiddette «condizioni di pace») non vengano soddisfatte perché tale negazione non incide in alcun modo sulle sue condizioni attuali; non ha paura di essere costretto a fare qualcosa perché, ripetiamo ancora una volta, vede che l’Occidente non fa alcun tentativo di serio di farlo nemmeno con la forza.
Invece il mandato di arresto internazionale non è considerato un scherzo. L’Occidente «debole» ha paura, per una serie di motivi, di usare la forza militare, ma potrebbe non avere paura a mandare dieci persone fisicamente preparate a immobilizzare le guardie del corpo di Putin.
C’è un modo di contrastare questa paura / non paura di Putin? È un altro argomento enorme.
Il Washington Post scrive, citando un documento del Ministero delle Situazioni di Emergenza della regione russa di Belgorod (al confine con l’Ucraina) ottenuto dall’intelligence ucraina, che gli aerei da guerra russi avrebbero accidentalmente sganciato 38 bombe sulla regione di Belgorod nei 12 mesi dall’aprile 2023 all’aprile 2024. Secondo il documento, quattro bombe sono cadute proprio sulla città di Belgorod e altre sette nelle sue immediate vicinanze. La maggior parte delle bombe cadute non è esplosa ed è stata successivamente ritrovata dai residenti locali.
Purtroppo, la maggioranza del materiale bellico russo arriva però sul territorio ucraino; ogni singola unità porta provoca – o rischia di provocare – dei danni gravissimi. Allo stesso tempo, la notizia riportata dal Washington Post ci informa bene sulla efficienza dell’esercito russo, in qualche modo conferma le statistiche che è capitato di leggere a tutti noi e ci permette di pensare che poteva andare anche molto peggio. Se non si trattasse di una vera guerra, avrei anche riso delle capacità dei piloti russi…
Il Financial Times scrive che gli USA, l’Israele e l’Ucraina stanno negoziando il trasferimento a Kyiv di un massimo di otto sistemi di difesa aerea Patriot: si tratta del numero di sistemi che Israele aveva previsto di dismettere perché avevano superato i 30 anni di vita utile. Era prevista la sostituzione dei sistemi dismessi con altri nuovi, ma sulla pratica non sono ancora stati dismessi. Il giornale attribuisce questo fatto al timore di Israele che le tensioni con Hezbollah in Libano possano degenerare in una guerra attiva.
A questo punto, mi sono ricordato le domande di molte persone che mi era capitato di sentire all’inizio della invasione russa della Ucraina: perché l’Israele non aiuti l’Ucraina con la costruzione di un analogo locale della «Cupola di Ferro». Gli esperti militari avevano spiegato tale fatto con tre motivi (o forse erano di più? io me ne ricordo tre…):
1) per costruire un sistema del genere ci vuole del tempo;
2) è stato progettato per respingere gli attacchi con i missili primitivi costruiti «in casa»;
3) si ha paura che il segreto del sistema venga spiato dalla Russia e passato a immaginiamo chi.
Già questi tre motivi mi sembrano logici e sufficienti.
Allo stesso tempo, mi sembra logico che pure l’Israele ha molte armi «quasi scadute» da regalare. Purtroppo, è arrivato il momento in cui lo si può organizzare anche dal punto di vista pratico: sia per effetti diplomatici, sia per la crescente necessità di rinnovare le armi utilizzate.
A volte capitano delle situazioni in cui mi trovo a dover spiegare che il termine pazzo applicato a qualche funzionario politico o amministrativo russo non è (solo) un insulto o una affermazione eccessivamente emotiva. È evidente più o meno a tutti che il funzionario principale non è molto sano di testa, mentre sugli altri potreste avere ancora qualche dubbio. E allora io mi rivolgo alla mia collezione degli esempi concreti che sto raccogliendo dalle varie fonti che ritengo attendibili.
Così, ieri ho letto che a Sebastopoli (in Crimea) Sofia, la figlia di 9 anni del vicesindaco della città russa di Magadan Oleg Averyanov è morta a causa della caduta di detriti da un missile ucraino abbattuto sopra la spiaggia dove si trovava con i genitori.
Rileggete il capoverso precedente. Rileggetelo più volte se non pensate di notare qualcosa di «strano».
Per coloro che continuano a non capire: quei due geni sono andati (e hanno pure portato la figlia di 9 anni) a passare le vacanze in una zona che viene regolarmente (e ragionevolmente, direi) colpita da missili ucraini. Capisco che si sono rotti tutto quello che avevano a passare tutto l’anno in una città dove fa quasi sempre freddo. Capisco che sul territorio russo internazionalmente riconosciuto pure le spiagge del sud sono più scarse di quelle della Crimea. Non capisco cosa hanno (oppure avevano? per ora non ho delle notizie sulla loro sorte) al posto del cervello.
P.S.: per essere obiettivo, devo aggiungere che in Crimea ci vanno pure diversi russi «comuni». I deficienti ci sono in tutto il mondo.
Come vi ricordate, il 15 e il 16 giugno nella località alpina di Bürgenstock, vicino a Lucerna, si era tenuto il summit di pace [in Ucraina], al quale avevano partecipato quasi cento Stati. Ovviamente, l’obbiettivo (e il risultato) di tale summit non poteva essere il raggiungimento della pace: anche se la Russia fosse stata invitata (e avesse partecipato), nel migliore dei casi sarebbe stato firmato un documento bilaterale che avrebbe richiesto un lunghissimo lavoro/tempo di preparazione fuori dal summit.
L’obiettivo del summit era evidentemente quello di «fare il punto della situazione» corrente: da dove siamo partiti, dove ci troviamo ora e cosa serve per raggiungere il risultato sperato. È una cosa che periodicamente va fatta anche nelle situazioni infinitamente meno drammatiche.
Ecco, l’articolo segnalato per questo sabato racconta come le autorità ucraine valutano ciò che Kyiv è riuscita a ottenere nel corso del suddetto summit nel contesto degli obiettivi realistici del summit stesso. Perché molto probabilmente, la loro valutazione è non meno importante di tutte le analisi che possiamo fare noi o gli esperti occidentali di cui ci fediamo.