Alcuni sostengono che i massicci bombardamenti russi delle città ucraine avvenuti nelle ultime due notti sarebbero delle «risposte» alla esplosione del ponte di Crimea. Se fosse vero, non possiamo non constatare una grande banalità: si tratta di un «dialogo» lungo sette mesi e mezzo.
Alcuni altri, poi, sottolineano che il generale Sergey Surovikin – il nuovo comandante delle forze armate russe sul fronte ucraino nominato l’8 ottobre – sarebbe un grande sostenitore degli attacchi agli obiettivi civili sul territorio nemico.
Purtroppo, ci troviamo in una di quelle situazioni in cui due eventi verificatisi a poca distanza temporale non dovrebbero essere legati tra loro. Nel senso che la scelta del nuovo comandante (e delle scelte tattiche presumibilmente preferite) non una conseguenza della esplosione sul ponte, ma una semplice continuazione del modo putiniano di condurre questa guerra. Infatti, abbiamo già visto in molte occasioni che l’esercito russo non vede alcun problema nel colpire gli obbiettivi palesemente civili: perché dovrebbe smettere di farlo proprio ora, quando si sente in una difficoltà ancora più grande a combattere contro l’esercito ucraino?
Capisco che l’ipotesi suona male, ma non possiamo comunque escludere il tentativo di costringere la controparte alle trattative per evitare ulteriori grandi quantità delle vittime tra i civili. Non penso proprio che funzioni. Anzi, proprio al contrario.
L’archivio del tag «guerra»
Come sapete già benissimo anche voi, il regalo degli ucraini per il 70-esimo compleanno di Putin è arrivato con un giorno di ritardo:
Un altro video da una prospettiva diversa:
In sostanza, è esploso un tir carico, secondo le dichiarazioni ufficiali, di «nastro in plastica per gli imballaggi dei bancali». L’esplosione è avvenuta pochissimi minuti dopo le 6 della mattina dell’8 ottobre sulla carreggiata automobilistica in direzione Crimea; a causa della esplosione sono crollate tre arcate. Inoltre, a causa della esplosione si sono incendiate delle cisterne sulla parte ferroviaria del ponte (il ponte è fatto di quattro parti separate: una automobilistica e una ferroviaria per ogni direzione). Non si capisce se i controlli del tir all’entrata sul ponte siano stati realmente eseguiti secondo la procedura prestabilita:
La situazione sul ponte nel pomeriggio di ieri ripresa da diverse persone da prospettive diverse:
Beh, quello che conta è il pensiero, non il prezzo o la tempistica perfetta del regalo. Anche gli ucraini sapevano benissimo quanto ci tiene Putin alla Crimea e al ponte…
P.S.: il video finale di questo post riccamente illustrato sarà utile, alle persone che non conoscono il russo, prevalentemente per individuare il punto esatto della esplosione.
Joe Biden sostiene di conoscere bene Putin e temere, per questo presunto motivo, l’Armageddon nucleare.
Noi, i semplici osservatori estranei – anche se con un grado di coinvolgimento emotivo molto vario –, non possiamo dire conoscere bene Putin, ma possiamo dire di comprendere pienamente la sua totale irrazionalità (egli l’ha dimostrata chiaramente già con l’inizio della guerra in Ucraina). Certo, sulla base della propria visione del mondo Putin potrebbe essere convintissimo di essere la persona più razionale del pianeta, ma noi non siamo obbligati a essere d’accordo con una mente perversa. Quello che conta è: l’uso del nucleare a scopi bellici da parte di Putin ci deve sembrare probabile non perché conosciamo bene il personaggio, ma perché possiamo facilmente presumere che nella sua mente malata quel passo estremo potrebbe apparire come la soluzione di tutti i suoi problemi.
Fissato in mente il semplice principio di cui sopra, passiamo subito al secondo principio: il già menzionato Armageddon non potrà necessariamente causato dalla/e bomba atomica. Per la nostra enorme fortuna (o sfortuna?) nessuno sa con certezza in quali condizioni tecniche si trovano le bombe atomiche russe e tutta l’infrastruttura connessa. Potrebbe non saperlo Putin, al quale – come abbiamo visto – non arrivano le informazioni veritiere su qualsiasi aspetto della vita nel mondo. Potrebbero non saperlo i militari russi, i quali fanno (se tutto va bene) solo la manutenzione prevista dalla documentazione, ma non le prove di funzionamento (provate a immaginarle!). Potrebbero non saperlo i servizi segreti americani (ovviamente, fino al momento adatto non ci diranno alcunché di reale sull’argomento). L’unico aspetto sicuramente noto ai militari russi è la regolarità della manutenzione dell’arsenale. Proprio a questo aspetto devono essere legate le nostre timide speranze: dato che nell’esercito russo si ruba e si vende più o meno tutto (i fondi per la manutenzione dei mezzi blindati, il cibo e l’uniforme dei militari etc. etc.), al costoso arsenale nucleare russo poteva toccare la stessa sorte: già anni o decenni fa.
«In compenso», dobbiamo ricordare che l’esercito russo controlla ancora la centrale nucleare di Zaporižžja. Alla quale, per esempio, potrebbe succedere, in qualsiasi momento, un incidente più o meno grave del quale si potrà incolpare – secondo la logica putiniana! – gli ucraini (un «sabotaggio del personale», una «bomba lanciata dall’esercito ucraino», un «intervento dei partigiani-fascisti-ucraini» etc.).
Di conseguenza, i timori di Biden e di tutti gli altri sono abbastanza fondati in ogni caso.
Ovviamente, nemmeno l’ottavo pacchetto delle sanzioni europee contro la Russia putiniana poteva nascere senza una palese minch idiozia nel proprio testo. Intendo questo passaggio:
The existing prohibitions on crypto assets have been tightened by banning all crypto-asset wallets, accounts, or custody services, irrespective of the amount of the wallet (previously up to €10,000 was allowed).
Proviamo a immaginare chi viene colpito dal provvedimento in questione.
I politici e i funzionari russi che vorrebbero salvare i propri soldi? Per quei personaggi 10 mila euro sono spiccioli. Inoltre, sanno benissimo di non poter usare i propri soldi e i propri beni materiali all’estero. Sul territorio russo, invece, utilizzano tranquillamente i rubli.
I militari russi? La maggioranza schiacciante di loro non ha dei soldi da salvare. Gli alti ufficiali, oltre a trovarsi nella stessa situazione degli alti funzionari, non ha il diritto di viaggiare all’estero.
I poliziotti e i membri di altre strutture di sicurezza? La loro situazione è simile a quella dei militari.
I civili che sostengono il regime di Putin? Le sanzioni europee non prevedono alcun strumento per riconoscerli.
I civili che partono dalla Russia per scappare dalla mobilitazione, dalle persecuzioni politiche o, semplicemente, dall’ambiente moralmente pesante? Sì, cazius, rimangono proprio loro. Quelle persone che ora si trovano senza una abitazione fissa, spesso senza un lavoro e senza troppi contanti, molto probabilmente senza [almeno per ora] carte bancarie pienamente funzionanti (per queste ultime le opzioni sono tante, il fatto generale è che non tutti hanno un conto bancario europeo). Quelle persone che, pur essendo partite, molto spesso devono in qualche modo sostenere economicamente qualche parente rimasto in Russia (sì, le transazioni bancarie dirette sono, ehm, problematiche in entrambe le direzioni). Esattamente quelle persone che sono contrarie alla politica di Putin.
È veramente strano che qualcuno debba ancora essere illuminato sul fatto che la popolazione russa non è composta solo da Putin e dai suoi servi fedeli.
Ci sono dei momenti in cui inizio a dispiacermi anche per la triste sorte dei futuri studenti delle scuole (o delle Facoltà universitarie dove si studia la storia). Per esempio, quando immagino lo studio di quel pezzo del manuale di storia nel quale verrà descritta l’annessione dei nuovi territori ucraini da parte della Russia putiniana. Infatti, la cronologia dei fatti sarebbe questa:
– alla fine di maggio del 2022 l’esercito russo conquista un altro pezzo del Donbass, compresa la città ucraina di Lyman;
– il 30 settembre 2022 Vladimir Putin e i capi delle repubbliche autoproclamate del Donbass e delle amministrazioni occupanti delle regioni ucraine firmano, al Cremlino, i «documenti» sulla «entrata delle repubbliche nella Federazione Russa»: i «documenti» parlano della realizzazione del diritto alla autodeterminazione dei «popoli» di quelle regioni ucraine;
– il 1° ottobre 2022 l’esercito ucraino libera la città di Lyman;
– il 2 ottobre 2022 la Corte costituzionale russa ha ritenuto legittima l’annessione dei territori ucraini, motivando il proprio giudizio con un mini-trattato storico-politico-sociale (giudizio mio: un trattato di qualità ehm… molto dubbia);
– il 3 ottobre 2022 la Camera bassa del «parlamento» russo (la Duma) ratifica i «documenti» del 30 settembre con 413 voti a favore dei 408 deputati presenti (rileggete bene, non ho sbagliato);
– nessuno si accorge che sarebbe stato annesso anche un territorio non controllato più nemmeno dall’esercito russo;
– gli stessi «documenti» vengono ratificati all’unanimità anche dalla Camera alta del «parlamento» russo (il Consiglio federale);
– l’unico Stato a riconoscere i nuovi territori come parte della Russia è l’autorevolissima Corea del Nord.
Non se serva una continuazione – il cervello di una persona normale potrebbe esplodere già dopo i pochi punti appena elencati –, ma, purtroppo, potrebbe arrivare…
Il venerdì 30 settembre il presidente ucraino Zelensky ha dichiarato di avere firmato una richiesta di adesione accelerata alla NATO. («Accelerata» significa aggirando il cosiddetto Piano d’azione per l’adesione alla NATO preparato individualmente per ogni potenziale candidato). Per il momento provo a essere diplomatico e dico di non sapere se la presentazione di tale richiesta possa avere degli effetti sperati. Tanto, volevo scrivere di altro.
La domenica 2 ottobre i presidenti di Montenegro, Repubblica Ceca, Estonia, Lituania, Lettonia, Macedonia del Nord, Polonia, Romania e Slovacchia hanno affermato – nella loro dichiarazione comune – il sostegno alla adesione dell’Ucraina alla NATO. Il documento è pubblicato sul sito della presidenza polacca.
Ecco, la lista degli Stati con la reazione così veloce e netta mi sembra molto logica e prevedibile: è composta dagli Stati che si sentono più in pericolo a causa della vicinanza geografica con la Russia; si sentono in pericolo nonostante il fatto che l’esercito russo si sia dimostrato infinitamente meno forte di quanto si pensasse fino a poco più di sette mesi fa. Sperano dunque che una presenza maggiore della NATO nella regione possa aumentare la loro sicurezza. Anche se capiscono che alla guida della Russia c’è un personaggio per nulla razionale, sempre meno razionale, capace di colpire in qualche pure la NATO. Allo stesso momento, non so se capiscono che Zelensky – il presidente di uno Stato lontano e non enorme – sta costringendo la NATO in generale e gli USA in particolare a prendere (e manifestare) finalmente una decisione circa la partecipazione diretta nella guerra in corso. Biden e Stoltenberg non saranno felicissimi di questo fatto…
Ma ancora meno sarà felice Putin, qualora dovesse scoprire di contare – agli occhi dei leader occidentali – meno di Zelensky. Sarà il colpo finale per il suo stato mentale (che ormai non mi azzardo a definire con il termine «salute»). Spero che le persone che prendono le decisioni non se ne preoccupino più di tanto.
A qualcuno il video di oggi potrebbe sembrare non particolarmente informativo e/o interessante. Mentre in realtà mostra quell’esatto momento in cui Putin ha definitivamente chiuso a sé stesso ogni strada di uscita da questa guerra. Vi sembrava che lo avesse fatto già tempo fa? Come al solito, ha saputo fare la mossa peggiore del peggio concepibile dalla mente umana.
In sostanza, con la firma dei «documenti» sulla annessione dei territori ucraini – il video contiene proprio il processo della firma – ha dichiarato ufficialmente e per sempre i reali obbiettivi della guerra in Ucraina. E, ovviamente, ha definitivamente reso impossibile l’interruzione della guerra tramite una trattativa con l’Ucraina: da ora in poi, o tratta la resa lui o tratta la resa l’Ucraina (la seconda opzione mi sembra impossibile perché l’Ucraina viene in qualche modo appoggiata da quasi tutto il mondo sviluppato, mentre il regime putiniano no).
P.S.: fino a qualche mese fa non pensavo di scendere a questi livelli, ma ora lo scrivo: il muso di quella creatura non sembra proprio appartenere a un essere mentalmente sano.
Non so se tutti hanno già letto la interessante (e in una certa misura pure curiosa) intervista del comandante in capo delle Forze armate ucraine Valerii Zaluzhnyi alla rivista Time.
Naturalmente, per ora non bisogna aspettare – dalle interviste del genere – delle rivelazioni tecniche su molti aspetti della guerra in corso (potrebbero rivelarsi utili non solo ai lettori civili), ma il testo mi è sembrato comunque molto bello.
Negli ultimi due giorni mi è capitato più di una volta di leggere una osservazione che, molto probabilmente, ai tempi normali avrebbe potuto sembrarmi solo un classico esempio di «dietrologia». Ma i tempi di adesso non sono normali, dunque prendiamola pure in considerazione.
Guardiamo la mappa dei gasdotti russi indirizzati verso l’Occidente e prestiamo una attenzione particolare che attraversano l’Ucraina. Come ben sapete, al giorno d’oggi sono gli unici a fornire il gas russo all’Europa.
Come potete vedere, i due gasdotti principali che partono dal territorio russo passano a nord e a sud della città di Kharkiv, dunque nella zone dove l’esercito ucraino sta riconquistando con una buona velocità i territori occupati dall’esercito russo.
Ma se ora qualcuno – sentendosi forte con la mobilitazione dei civili – dovesse tentare di organizzare una nuova offensiva russa proprio lungo il percorso del tubo, quel qualcuno potrebbe sperare l’Occidente chieda all’Ucraina di difendersi con molta cura, senza danneggiare il tubo. Difendersi senza «sparare» nulla di particolarmente potente a bersagli vicini al tubo del gas…
Quanto appena scritto è un altro argomento da aggiungere alla raccolta di considerazioni su chi avrebbe voluto far saltare i gasdotti del Baltico. Qualora l’ipotesi dovesse essere vera, provate a immaginare i suoi costi (anche in termini delle entrate economiche mancate) e i potenziali rischi dell’insuccesso.
Come ben sapete, la notte tra il 25 e il 26 settembre sui gasdotti «Nord Stream 1» e «Nord Stream 2» nel Mar Baltico sono state registrate le strane perdite simultanee. Le indagini sono ancora in corso, ma tutti gli indizi disponibili indicherebbero un intervento dall’esterno: in sostanza, un sabotaggio. I probabili autori del danno, secondo alcuni, potrebbero essere la Russia e l’Ucraina.
A questo punto potremmo provare a ragionare e chiederci: a chi dei due conviene?
Alla Ucraina – che si sta difendendo da una invasione militare – conviene inviare dei sabotatori in un mare lontano per danneggiare due gasdotti non funzionanti del nemico? Conviene farlo mentre sul suo stesso territorio continua a funzionare un gasdotto russo indirizzato verso l’Europa?
Alla Russia – che spera di costringere l’Europa ad abolire le sanzioni e, allo stesso tempo, comprare le materie prime a condizioni russe – conviene danneggiare i propri gasdotti costati decine di miliardi di euro?
Apparentemente, in entrambi i casi la risposta sarebbe uguale: no. Anche se, per esempio, alla Ucraina potrebbe convenire essere l’unico territorio di transito del gas russo, mentre alla Russia potrebbe convenire avere una accusa in più contro il «regime di persone cattive» ucraine.
Purtroppo, decenni di osservazioni mi hanno insegnato due cose. Prima di tutto, vedo che Putin sa solo distruggere. Dall’inizio di questa guerra lo avrete visto anche voi: per realizzare le proprie fantasie perverse, con la tenacia di un maniaco Putin sta distruggendo non solo l’Ucraina, ma pure la Russia. Sta distruggendo la sua economia, scienza e cultura. Sta distruggendo le vite di centinaia di migliaia di persone. In questo contesto i due gasdotti sembrano quasi degli spiccioli. In secondo luogo, Putin segue da anni la logica «africana»: intervenire con durezza all’interno della Russia per intimorire (o apparire un duro) all’esterno: lo si è visto all’inizio del secolo negli interventi contro i terroristi islamici-caucasici, lo si è visto quest’anno durante la guerra in Ucraina.
Insomma, mi sembra infinitamente più probabile che i gasdotti siano stati danneggiati su ordine del Cremlino. Ma ancora una volta è stata una scelta incomprensibile per noi, per le persone razionali. Possiamo solo aspettare quale strana spiegazione inventino, prima o poi.