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Un anno di guerra

Ed ecco che siamo giunti al primo anniversario della guerra in Ucraina.
Avrei preferito che questo anniversario non ci fosse mai stato. Che non ci fosse stato quel punto di partenza del cronometraggio. E che non ci fosse stato tutto ciò che è successo tra le due date. Ma, purtroppo, questo inferno sta continuando e io non so quanti altri anniversari della guerra in corso ci aspettano ancora. Dall’ultimo discorso di Putin alla Assemblea Federale abbiamo appreso, tra le altre cose, che l’unico obiettivo finale di questa guerra è la vittoria: una vittoria che dovrebbe una forma della quale nemmeno Putin stesso ha una idea precisa. Ma, allo stesso tempo, è già chiaro che l’Ucraina non si arrenderà (in primo luogo, perché non vuole farlo; in secondo luogo, perché è sostenuta da tutto il mondo civilizzato) e che Putin non spaccerà per la vittoria almeno i pochi risultati raggiunti (altrimenti tutti gli eserciti russi – quello ufficiale e quelli privati – non si andrebbero costantemente in nuovi attacchi). Di conseguenza, finché c’è Putin ci sarà anche la guerra, e finché c’è la guerra, ci sarà anche Putin.
A questo punto il mio desiderio personale principale – quello che considero realizzabile in tempi immaginabili – è che questa guerra non possa essere definita una «guerra della Russia» o una «guerra dei russi» in Ucraina. Quello che voglio è che venga riconosciuta unicamente come una guerra di Putin in Ucraina e che egli rimanga sul suo lato del fronte sempre più solo. Più piccolo sarà il suo esercito fascista (sia quello armato, sia quello dei «commentatori sui social»), più sarà vicina la fine dell’inferno, più sarà vicina quella vittoria che voglio io. Questo è l’obiettivo che mi sono posto un anno fa scendendo nella mia piccola trincea digitale.
Ne sono infinitamente stanco, ma la mia stanchezza è imparagonabile a quella degli ucraini, quindi non posso arrendermi. E poi, a volte mi sembra di vedere dei piccoli risultati.


Le rivelazioni di Putin

Ieri – quando mancano tre giorni al primo anniversario della guerra in Ucraina – Vladimir Putin ha pronunciato il suo messaggio annuale alle Camere riunite del Parlamento russo (in base alla Costituzione lo avrebbe dovuto fare l’anno scorso, ma non voleva distrarsi). Logicamente, tante persone si aspettavano di sentire qualcosa di nuovo o almeno forte in quel messaggio… In realtà, non molto logicamente: nelle dichiarazioni di Putin a volte compaiono delle nuove giustificazioni e dei nuovi obiettivi della guerra in corso, ma ogni volta sono noiosamente lontani da ogni somiglianza con la realtà.
Il discorso di ieri non è stato una eccezione. Anzi, peggio: non è stato inventato alcunché di nuovo. Di conseguenza, l’intero discorso può essere riassunto in una frase: «L’Occidente ci ha costretti a fare la guerra in Ucraina».
Per le persone in cerca di maggiori informazioni posso aggiungere altri concetti sorprendenti: «sono cattivi tutti tranne noi», «le nostre armi sono le più potenti anche se nessuno le vede», «le elezioni presidenziali del 2024 saranno democratiche»…
Se non ci fosse una guerra, avrei controllato il calendario per vedere se è già il primo di aprile. Ma sul mio calendario, da quasi un anno, è quotidianamente il 24 febbraio.


Biden a Kiev

La visita di Joe Biden a Kiev è un evento bellissimo in tanti sensi, ma ha un aspetto che più o meno tutti trascurano o interpretano male.

Il fatto è che in realtà noi non sappiamo di cosa è stato avvisato «il Cremlino». In tanti presumono che sia stato avvisto esplicitamente del volo e della visita di Biden, ma ufficialmente (almeno al momento della scrittura di questo post) nessuno ha detto che il contenuto dell’avviso sia stato esattamente quello.
Di conseguenza, possiamo solo presumere – oppure «sperare» – che l’Ambasciata statunitense a Mosca abbia comunicato (tradotto in linguaggio parlato) qualcosa del genere: «L’aereo del Presidente sta per fare la tratta X. Hai i coglioni per fare qualcosa?»
Abbiamo visto tutti la risposta.


Le foto di un parcheggio

Il giornale tedesco Nordsee-Zeitung ha pubblicato sul proprio sito un articolo riccamente illustrato con delle foto scattate nel porto di Bremerhaven (Germania). Se siete capaci di leggere in tedesco o, almeno, usare i traduttori online, leggetelo pure. Ma in realtà potrebbe essere interessante anche solo guardarlo.

In sostanza, si tratta di una piccola parte degli aiuti Continuare la lettura di questo post »


Yahoo News scrive che un ingegnere russo – che dal 2018 al 2021 avrebbe collaborato alla costruzione bombardiere strategico Tu-160 a Kazan – alla fine di dicembre 2022 ha chiesto l’asilo politico negli USA presentandosi al confine messicano. Dai documenti ottenuti i giornalisti hanno potuto scoprire l’identità della persona, e proprio questo fatto è sembrato a loro abbastanza strano: solitamente i personaggi del genere – se e quando giudicati attendibili – vengono protetti con più efficienza.
A me, un semplice lettore attento delle notizie, l’accaduto non sembra invece strano: molto probabilmente – anche se non posso averne l’assoluta certezza – si tratta di un nuovo e logico passaggio nella guerra mondiale di informazione. In sostanza, attraverso un canale giornalistico (anche se non tra i più popolari a livello mondiale) si è voluto lanciare un nuovo messaggio a tutti quei russi che attualmente collaborano con il proprio Stato nell’ambito militare: «scappare non è ancora tardi, vi accoglieremo». Sarebbe uno dei modi (o tentativi) di indebolire la macchina bellica russa. Uno dei modi tradizionali che potrebbero avere un effetto positivo, indipendentemente dalla sua portata.


Le “grandi vittorie”

Ormai è impossibile notare una tendenza che avrei chiamato, se non si fosse verificata nel corso di una vera guerra, con il termine ridicola. In sostanza, l’esercito russo ha preso la moda di vantarsi della conquista dei centri abitati minuscoli. Ricordiamo benissimo il recente esempio del paese Soledar (10.490 abitanti ai tempi della pace) la cui presa è stata spacciata per un enorme successo strategico militare russo. Ora, invece, è arrivato il turno di Krasnaja Gora (5504 abitanti): un paesino nelle vicinanze di Bachmut.
È evidente che in entrambi i casi si sta tentando di mascherare – attraverso la propaganda – l’incapacità di conquistare Bachmut stesso, ma sono dei tentativi che possono funzionare solo con un pubblico molto superficiale. Soprattutto quando notiamo che Krasnaja Gora è stata dichiarata conquistata ben due volte in poche ore: prima da Wagner e poi dalle squadre d’assalto dei volontari con il supporto di fuoco delle truppe missilistiche e dell’artiglieria del Gruppo di forze «Sud». Non penso proprio che i combattenti del Wagner si siano messi a difendere la località appena occupata dall’esercito russo…
Insomma, provate anche voi, se vi ricordate, osservare gli sviluppi di questa tendenza nel parlare dei «successi militari».


La proposta inglese

The Telegraph scrive che i rappresentanti di alto livello dell’industria militare britannica stanno discutendo con i loro colleghi ucraini la possibilità di una produzione congiunta di attrezzature e armi sul territorio ucraino.
Gli esperti militari, logicamente, si dividono tra due opinioni: con la produzione delle armi sul posto l’Ucraina diventa più indipendente dagli aiuti occidentali e risparmia il tempo prezioso, ma, allo stesso tempo, rischia di vedere arrivare i razzi russi proprio sulle (future?) aree industriali in questione (le quali non possono nemmeno essere piccole).
Gli osservatori civili (uno dei quali ha scritto il presente post) si possono invece fare una domanda probabilmente logica. Quale delle due opzioni è più facile e veloce:
a) costruire (o convertire una esistente) fabbrica per la produzione degli armamenti moderni e istruire i suoi futuri operai;
b) produrre le armi laddove li sanno già fare e poi portarli in Ucraina?
In ogni caso, l’industria militare modernizzata sarà abbastanza utile alla Ucraina dopo la vittoria in questa guerra. Per esempio, perché la avvicinerà alla NATO. Ma si tratta dei piani per un futuro per ora indefinito. Purtroppo.


La SpaceX prende una posizione

La società statunitense SpaceX ha limitato l’accesso dell’esercito ucraino alle comunicazioni satellitari Starlink nell’ambito del controllo dei droni. Lo ha dichiarato la presidente dell’azienda Gwynne Shotwell: in base a quanto sostiene, la SpaceX non vuole che la sua tecnologia venga utilizzata per gli scopi offensivi.
È evidente che si tratta di una logica molto forte. Significa che la Starlink permette, molto generosamente, agli ucraini di rispondere al fuoco quando essi vengono massacrati. Quando, invece, gli ucraini stanno per scacciare gli orchi putiniani dal proprio territorio — quindi quelle creature che occupano, torturano, stuprano e uccidono quotidianamente i civili — la Starlink si oppone. Non vorrebbe che gli ucraini liberassero i propri territori occupati dove i civili vengono massacrati. Per qualche motivo la signora Gwynne Shotwell non vuole che gli ucraini si comportino in questo modo: è meglio che stiano in trincea a sparare che magari Putin si stufa a giocare alla guerra e ferma tutto da solo.
Ovviamente, a questo punto non riesco a pensare che pure il CEO della azienda — il quale sicuramente c’entra in qualche modo con la suddetta scelta — stia diventando un personaggio sempre più strano. In un senso nettamente negativo.


I Leopard 1

Der Spiegel scrive che il Consiglio federale di sicurezza tedesco ha approvato l’invio di 178 carri armati Leopard 1 all’Ucraina. Sempre secondo l’articolo menzionato, i primi carri armati dovrebbero arrivare d’estate, mentre la maggioranza non prima del 2024 (principalmente perché dovrebbero essere riparati e/o preparati per l’utilizzo).
La notizia è sicuramente positiva. È positiva almeno quanto quella riguardante i Leopard 2 e gli Abrams. Ma, soprattutto, è positiva perché ora sono pronto a fare una scommessa almeno con me stesso: la massa principale dei Leopard 1 arriverà prima del previsto. Lo penso perché secondo gli esperti militari i carri armati sono più vulnerabili durante la fase di trasporto; in più, è abbastanza difficile (per non dire impossibile) trasportarne di nascosto tanti insieme in una volta. Quindi se dici quando arrivano, la Russia inizia ad aspettarli con i missili pronti.
Qualcuno vuole fare una scommessa?

P.S.: poi gli stessi esperti dicono che in guerra i carri armati sono poco utili e ancora meno durature senza il supporto della aviazione. Chi decide sulla fornitura degli armamenti sicuramente lo sa benissimo e prende le decisioni tenendolo in mente.


I partigiani ucraini

Prima che io mi dimentichi dell’argomento menzionato nel post di sabato, metto in evidenza un altro aspetto scontato della guerra in corso in Ucraina (e non solo di questa guerra): oltre all’esercito ucraino, a combattere contro gli invasori sono i partigiani. I partigiani che, ovviamente, svolgono tutte le attività tipiche al loro «mestiere» non solo sui territori ucraini temporaneamente occupati dall’esercito russo, ma anche sul territorio tradizionalmente russo. Di conseguenza, non è da escludere il loro merito in alcune perdite russe non spiegabili (o non ancora spiegate) in altri modi.
Bene, ora posso comunicarvi di avere scritto quelle righe di banalità solo per segnalarvi l’interessante intervista con alcuni partigiani pubblicata da The Observer. Quando trovate del tempo, leggetela almeno per avere una idea sugli obbiettivi e sulla autovalutazione delle proprie possibilità dei combattenti non ufficiali ucraini.
E, ovviamente, non credete a certi personaggi che vorrebbero appropriarsi dei successi di quelle persone.