Non so se tutti abbiano già letto di una nuova grande vittoria del «tattico geniale» (ahahaha, ormai posso iniziare a pubblicare una serie di post specifici sull’argomento). Questa volta mi riferisco all’uso del gas naturale in qualità di una arma economica contro l’Occidente.
Ebbene, il giugno è stato il primo mese nella storia – praticamente dagli anni ’70 del secolo scorso – in cui l’UE ha importato più gas sotto forma di GNL dagli Stati Uniti che attraverso i gasdotti dalla Russia.
Ma dato che quasi sicuramente ve ne siete già accorti tutti, posso aggiungere qualche altra piccola osservazione utile, anche se non tanto sconosciuta. In sostanza, in questo periodo la Gazprom si sta autocancellando dal mercato europeo. In parte questo fenomeno è dovuto alla volontà di Putin di ricevere i pagamenti in rubli, in parte a causa delle sanzioni occidentali e in parte a causa delle «sanzioni di risposta» russe. Il risultato di tutto questo è molto curioso:
1) gli Stati europei hanno deciso – logicamente – di porre fine alla dipendenza dalle risorse naturali russe, ma si sono rese conto di realizzare tale progetto in pochi mesi: di conseguenza, i prezzi sono cresciuti bruscamente;
2) la Gazprom (tradotto in italiano parlato significa Putin) ha deciso di non sfruttare la situazione: anzi, insiste nel ridimensionare la propria posizione sul mercato europeo per non incassare troppo.
Ed ecco che è arrivato il momento della domanda di fine capitolo: contro chi viene utilizzata la famosa arma economica?
Proviamo a rispondere senza ridere.
L’archivio del tag «gas»
In tanti sanno che la Gazprom ha ridotto le forniture del gas via il North Stream, ma non tutti hanno capito bene il vero motivo.
È vera quella parte della notizia secondo la quale si è rotta una delle turbine (della Siemens) utilizzate per «pompare» il gas nel gasdotto. Ma è solo una parte della notizia più ampia. In realtà, la Siemens è una di quelle numerosissime aziende occidentali che hanno lasciato il mercato russo dopo l’inizio della invasione militare della Ucraina. Di conseguenza, la Russia sta seriamente rischiando di rimanere non solo senza i nuovi prodotti della Siemens (treni, macchinari ospedalieri, attrezzature per il trattamento delle materie prime etc.), ma pure senza i pezzi di ricambio. Senza i pezzi di ricambio, come potete facilmente immaginare, molte attività rischiano di fermarsi. Anche il trasporto del gas.
Non so ancora se e come possa essere trovata una soluzione – più o meno legale – del problema con le forniture via il North Stream. Ma posso già constatare che nel valutare l’efficacia delle sanzioni adottate contro la Russia bisogna prendere in considerazione anche quelle introdotte dalle aziende private per l’iniziativa propria. Potrebbero rivelarsi più sensibili e capaci di produrre effetti in tempi più stretti.
Purtroppo, nel nostro mondo imperfetto molto spesso si incontrano tra loro le persone che non sanno scrivere le notizie e le persone che non sanno leggere le stesse notizie…
Per esempio: oggi molti giornali italiani hanno scritto del fatto (fatto?) che l’ENI starebbe considerando l’opzione di rispettare il decreto di Putin e pagare quindi il gas russo in rubli. Di questa notizia, però, bisogna scrivere e capire una cosa semplicissima: l’ENI indipendentemente dalla decisione presa, NON pagherà il gas russo in rubli. La spiegazione di tale fenomeno curioso non è difficilissima.
Infatti, bisogna ricordare che:
– il decreto presidenziale di Putin sui pagamenti in rubli è un tentativo di cambiare unilateralmente il contratto firmato dalle aziende private (contratto che, tra l’altro, prevede anche la valuta di pagamento) con una norma di rango inferiore a una legge ordinaria russa: quindi dal punto di vista puramente giuridico quel decreto è la carta igienica sporca;
– di conseguenza, l’ENI ha tutto il diritto di ignorare quel decreto, continuare a pagare in euro come ha sempre fatto e, in caso di problemi, andare dal giudice e vincere la causa;
– naturalmente, nella vita reale l’ENI ha bisogno (per ora) del gas russo, quindi sta cercando delle soluzioni che non compromettano la continuità della sua attività;
– lo stesso decreto di Putin stabilisce, in breve, che lo stesso Gazprom apre dei conti nella propria banca per ogni azienda-cliente non russa, riceve i pagamenti in euro o in altre valute (come ha sempre fatto prima della guerra in Ucraina) su quei nuovi conti e poi converte la valuta ricevuta in più passaggi (ma ormai senza alcuna partecipazione della azienda-cliente) in rubli;
– quindi «pagare in rubli» significherà, per l’ENI, versare gli euri su un nuovo conto della Gazprombank.
Basta, tutto qui.
Però la propaganda russa avrà l’occasione per dire che «l’ENI è stata costretta a pagare in rubli».
Ieri, l’8 marzo, Joe Biden ha annunciato il divieto dell’import del gas e del petrolio russi. Si tratta di una sanzione logica, ma dobbiamo ricordare che gli Stati Uniti (così come il Canada) non sono l’importatore principale delle materie prime russe in questione. L’importatore principale è l’Europa…
Ed ecco la Commissione europea propone agli Stati membri una bozza del piano di rinuncia al gas e al petrolio russi «molto prima del 2030». In particolare, le misure proposte dovrebbero ridurre la dipendenza europea dal gas russo di due terzi già entro la fine del 2022. Ehm… Non sarei in grado di valutare – velocemente, almeno – se sia un piano realistico, ma supponiamo pure che lo sia. Anche questa sanzione è logica. Sarà, soprattutto, una sanzione molto sensibile per l’economia russa in generale e per l’economia personale di molti personaggi vicini a Putin. [Potrebbe rivelarsi sensibile anche per l’economia europea, ma la pace, la libertà e i principi umani hanno un costo: nella vita ci sono dei momenti in cui non bisogna cercare di sottrarsene.] Di conseguenza, si può dire che sarebbe una sanzione pienamente («la più», direi) azzeccata. Nell’attesa di una redazione più e meglio definita del piano (del quale si potrà discutere con più serietà), vorrei solo ricordare ai miei lettori un altro aspetto.
Il gas e il petrolio russi sono attualmente già colpiti da sanzioni che io chiamerei «indirette». Infatti, gli acquirenti europei – e non solo quelli europei – già oggi hanno paura o addirittura non possono pagare il gas e il petrolio russi. Perché si tratterrebbe di fare dei pagamenti in dollari o in euro alle aziende russe che si trovano sotto le recentissime sanzioni.
Comunque sia il piano europeo di cui sopra, speriamo che l’inverno prossimo sia caldo!
E ancora di più speriamo – io lo spero – che la situazione odierna si risolva presto.
Perché tutti parlano della energia solare e nessuno parla della energia nevosa? Boh…
E, soprattutto, perché l’entusiasmo popolare è ancora tanto alto da oscurare i limiti di quella solare in certe zone geografiche?
Ah, no: l’entusiasmo non è solo popolare. Ai dirigenti dell’UE era bastata una sola estate con tanto sole e vento per dimenticare che la quantità del vento e delle giornate soleggiate varia di anno in anno (ma pure nei periodi più brevi), decidere dunque di poter non rinnovare le scorte del gas (inducendo quindi gli ex fornitori a dedicarsi ad altri mercati), e, di conseguenza, trovarsi – a grandissima sorpresa – nella situazione di dover affrontare il prezzo di oltre mille euro per mille metri cubi del gas…
Come forse avete già sentito, la Russia ha trovato un nuovo modo di ricattare l’Ucraina.
In sostanza, il 19 febbraio l’Ucraina aveva richiesto di portare e forniture giornaliere a 114 metri cubi entro due giorni. (Attualmente la compagnia ucraina Naftogaz è contrattualmente vincolata a anticipare i pagamenti per il gas ogni mese, avendo però il diritto di richiedere con due giorni di anticipo l’ampiezza della fornitura giornaliera).
La Gazprom, da parte sua, non ha soddisfatto la richiesta, aumentando le forniture solamente alle regioni ora controllate dai separatisti. Secondo la controparte ucraina, però, le forniture alle regioni incontrollabili (iniziate il 19 febbraio) non farebbero parte del contratto, dunque quel gas non dovrebbe essere «scalato» dalla quantità prepagata dalla Ucraina.
Cosa posso dire sull’argomento? E’ ovvio che se l’Ucraina considera le regioni di Donetsk e Lugansk come proprie, dovrebbe pagare il gas fornito a esse. Allo stesso tempo, però, sono delle regioni occupate sul territorio delle quali gli agenti dell’ucraino Naftogaz non possono verificare l’effettivo adempimento del contratto e il volume reale del gas richiesto da parte dei consumatori finali. Di conseguenza, le due regioni possono facilmente essere trasformate in una specie di «buco nero».
La difficile situazione creatasi avrà delle conseguenze per l’Europa. Nel peggiore dei casi arriverà meno gas dalla Russia. Nel migliore dei casi l’Europa dovrà sponsorizzare l’Ucraina, fornendole i soldi pretesi dalla Russia per il gas fornito ai propri combattenti sul territorio ucraino.
Come saprete dalle notizie dei giorni scorsi, la realizzazione del progetto South Stream è stata congelata da Vladimir Putin. Il motivo formale è costituito dagli ostacoli burocratici posti dalla Bulgaria. Questi ostacoli, però, derivano dalla posizione dell’Unione Europea che ha insistito, tra l’altro sulla modifica tecnica del progetto.
Ora che la decisione è stata presa e tutti (l’UE compresa) si sono agitati, io vorrei fare tre osservazioni:
1) Se l’Europa vuole ridurre la propria dipendenza dal gas russo, dovrebbe essere contenta della chiusura del progetto;
2) Se invece la costruzione il South Stream avrà (prima o poi) inizio, come si potrà conciliare l’esecuzione dei lavori con le future sanzioni promesse «contro la Russia»?;
3) La storia assomiglia tanto a quella delle sanzioni attualmente già applicate. Quando, per esempio, l’UE vieta la fornitura alla Russia dei macchinari e loro componenti per l’estrazione del petrolio, dobbiamo ricordare una cosa semplice: devono essere prodotti, trasportati e installati. Dunque si tratta di una sanzione che colpisce oggi l’Europa e solo tra qualche anno la Russia. Con South Stream potrebbe succedere la stessa cosa: l’UE di fatto blocca il progetto, quindi tra circa un anno la Russia non inizierà a vendere più gas, mentre le società europee già oggi perdono i contratti relativi alla costruzione del gasdotto.