Oggi sarebbe il 200° anniversario dalla nascita di Karl Marx. Non sono un grande fan delle sue opere pseudo-scientifiche e, allo stesso tempo, ritengo poco utile sprecare tempo per la critica delle sue teorie obsolete da tutti i punti di vista.
L’unico motivo veramente valido per continuare oggi a discutere della sua figura è la curiosa situazione in cui si trova l’insegnamento della economia in molte università del nostro pianeta. A tutti coloro che si sono laureati molto tempo fa o hanno evitato gli esami di economia il fatto potrebbe sembrare incredibile, ma è reale: sui libri universitari di economia si trovano ancora moltissime tracce del pensiero di Marx.
Si tratta di un fatto reale e tragico. Infatti, moltissime persone dotate di un basso livello di pensiero critico si fanno installare nei propri cervelli una visione di quel mondo che non esiste più da oltre un secolo. Per di più, valutano quel mondo remoto nel tempo (come s esistesse ancora) servendosi delle teorie economiche non completamente sensate.
Gli esempi concreti sono innumerevoli, partendo già dalla stranissima affermazione che un lavoratore dipendente venderebbe il proprio lavoro in cambio del salario. Ciò potrebbe in una certa misura essere vero in una economia caratterizzata da un alto impiego della manodopera non/poco qualificata (per una buona parte del XIX secolo fu ancora così), ma nel XXI secolo non è assolutamente vero. Se l’affermazione marxista fosse vera, il lavoro più conveniente per i «padroni» sarebbe quello delle scimmie: potrebbe essere pagato con poche banane al giorno. Ma alla economia dei nostri giorni non serve il lavoro delle scimmie. Non serve nemmeno il lavoro degli umani che hanno un simile livello di istruzione. Alla economia di oggi servono le conoscenze e le competenze che gli umani sono disposti a vendere e/o condividere. Quelle conoscenze e competenze che permettono di sfruttare le conquiste del progresso e portarlo avanti. E quindi non rimanere indietro nella competizione tra le aziende, tra gli Stati e tra le zone geografiche. Di conseguenza, un umano consapevole ha tutte le possibilità di uscire dalla condizione di essere una merce attraverso la cultura. Più competenze ha una persona, più pregiata diventa, sempre più una merce per pochi, fino a diventare uno status-symbol di cui qualsiasi azienda sarebbe fiera.
Certo, è importantissimo ricordare la differenza tra le conoscenze e le abilità (saper creare e prendere le decisioni è sempre più importante del saper svolgere le operazioni ripetibili secondo le istruzioni imposte), ma questo è l’argomento di un altro lungo post.
Ai fini del post di oggi, invece, possiamo costatare una cosa poco felice. Le zone geografiche nelle quali prevale la vendita del lavoro da parte dei lavoratori si avvicinano sempre più alla concezione del Terzo Mondo. Le zone geografiche dove prevale invece la vendita delle conoscenze son più vicine alla concezione del Primo Mondo. Non dobbiamo dunque prendere il cattivo esempio dagli ammiratori di Marx: lo spostamento delle industrie al di là dei confini dei nostri Stati è una tendenza economica positiva. Essa testimonia un buon livello di progresso economico, sociale e culturale.
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Come probabilente avete già letto, l’ultima porzione delle sanzioni statunitensi nei confronti della Russia ha prodotto dei forti effetti finanziari. Questo, per esempio, è il crollo delle azioni di Rusal alla borsa di Hong Kong:
Rusal è uno dei maggiori produttori di alluminio al mondo; attualmente il suo azionista principale è Oleg Deripaska (48,13%).
Mentre le perdite dei russi più ricchi stimate da Forbes sono queste (riporto solo la cima della lista):
Perché tutte queste informazioni sono potenzialmente interessanti ai miei lettori? Perché i miei lettori hanno studiato l’economia e quindi sanno che le azioni vanno comprate proprio nei momenti come questo.
Inoltre, molti dei miei lettori sanno o immaginano che anche le Società colpite dalle sanzioni occidentali sono in grado di riprendersi dal colpo iniziale di lavorare con successo per decenni.
Oggi Michail Putin, il figlio del cugino di Vladimir, è stato eletto al consiglio direttivo della Gazprom (per ora la notizia è presente solo sulla versione russa del sito aziendale, quindi non posso aggiungere il link comprensibile per a voi). Inoltre, è stato subito nominato il vice-presidente del consiglio stesso.
È molto pacificante scoprire che nel mondo esistono delle famiglie fortunate con le varie forme delle elezioni…
Un caloroso salute a tutti coloro che hanno investito nei bitcoin.
Bambini! Ricordatevi che nessuna risorsa sana può crescere con una velocità simile a quella ha caratterizzato i bitcoin negli ultimi mesi.
Allo stesso tempo, non possiamo non riconoscere l’importanza delle criptovalute in generale. Venti anni fa, per esempio, furono in pochi a comprendere (o immaginare) le potenzialità dell’internet nella economia mondiale: i primi tecnici-sviluppatori furono costretti a spendere ore e giorni del proprio tempo per convincere gli imprenditori del fatto che un sito web aziendale sia una cosa utile, bella e redditizia. Appena due anni dopo scoppiò la famosa crisi dei dotcom: successe perché l’internet divenne di moda senza essere compreso dalla maggioranza degli attori del mercato. In sostanza, tutti volevano investire nell’internet senza sapere cosa sia e come sfruttarlo economicamente.
Si verificherà lo stesso susseguirsi delle fasi anche nella storia delle criptovalute: la moda e la conseguente smisurata crescita di valore – l’incomprensione – la crisi – il normale sviluppo – lo status di uno dei fondamentali strumenti della economia.
Ho appena scoperto che il 19 luglio il Governo ucraino ha deciso di procedere alla liquidazione – la quale dovrebbe avvenire entro due mesi – del grande (in vari i sensi) produttore degli aerei «Antonov». Le tre fabbriche del produttore verranno assegnate al gruppo industriale «Ukroboronprom» che esegue i lavori per il Ministero della Difesa ucraino.
Il motivo della operazione è la crisi dell’"Antonov«, che pur avendo firmato accordi per la costruzione di 18 aerei, ne aveva costruiti appena 2 (due) nel 2015 e ben 0 (zero) nel 2016.
Volete sapere il motivo dei ritmi così lenti? Il motivo è la guerra con la Russia, dalla quale non arrivano più le componenti necessarie per la costruzione degli aerei. Nel 2015, con la costruzione degli ultimi 2 aerei, le scorte si erano esaurite.
In questa occasione volevo parlare non della guerra e dei suoi effetti, ma di un curioso fenomeno economico-sociale. Come probabilmente alcuni di voi sanno, ai tempi dell’URSS fu molto diffusa la pratica di costruire in ogni repubblica socialista e quasi in ogni regione russa una (spesso unica) enorme realtà industriale. Ognuna di queste grosse aziende dipendeva però totalmente dalle forniture di materie prime e di vari prodotti provenienti dagli altri produttori sovietici geograficamente lontani. In sostanza, fu uno dei modi di «cucire» insieme un enorme territorio quale fu l’URSS. Dopo il crollo di quest’ultimo, però, molte delle sue ex repubbliche si trovarono con delle industrie apparentemente inutili: prive di fornitori nazionali e di mercato consolidato, ma in presenza di una alta concorrenza dei produttori esteri prima banditi dall’URSS.
Ovviamente, al giorno d’oggi – vivendo in un mondo globale – ci rendiamo sempre più conto che anche gli Stati dovrebbero specializzarsi nella produzione solo di alcuni beni senza sprecare le risorse nell’inutile tentativo di essere autosufficienti in tutto. L’"Antonov" poteva dunque benissimo rimanere l’unica industria seria dell’Ucraina. Ma porcamucca, perché in 25 anni non hanno diversificato i fornitori?! La capitolazione dell’URSS di fronte al mondo globale doveva servire anche a quello!
Mentre ci riflettete su questa Grande Domanda, io vi faccio vedere l’aereo dell’"Antonov" più conosciuto al mondo: l’AN-225.
Su quest’ultima foto l’AN-225 sta trasportando la navicella spaziale sovietica «Buran»:
La sera del mercoledì 7 giugno, passando in piazza Duomo a Milano, avevo notato una fila delle vecchie Fiat 500 davanti alla Rinascente.
In un primo momento avevo pensato che si trattasse di un evento legato, in qualche modo, ai 100 anni del negozio. Grazie a una breve ricerca su internet avevo invece scoperto che le auto servivano per girare uno spot televisivo dedicato ai 60 anni della Fiat 500 (anche se la Fiat 500 C «Topolino» della foto precedente è del 1949; il primo «Topolino» fu prodotto nel 1936).
Ma la domanda che mi sono posto non cambia in relazione al motivo per il quale le belle Fiat d’epoca si trovavano in quel luogo e in quel momento. La Fiat è già stata multata per aver fatto circolare delle auto «Euro 0» in piena Area C? A me risulta che non siano previste delle deroghe per le auto storiche (e questa è per me una enorme stronzata). Inoltre, non mi risulta che le multe si applichino solo ai cittadini privati (sarebbe una notevole stronzata).
Di conseguenza, mi sembra di capire che la situazione a Milano sia la seguente:
1) i milanesi sono obbligati a comprarsi una auto nuova ogni volta che vengono aggiornati gli standard ecologici;
2) i milanesi appassionati delle auto storiche sono pochi e viaggiano in auto troppo raramente, quindi il Comune guadagna più multandoli che facendoli pagare i «ticket» della Area C;
3) certe aziende, anche quelle extramilanesi, non vengono multate perché già pagano bene.
Insomma, meno male che la Milano è governata dalla sinistra.
P.S. Lo stesso discorso vale per gli autobus.
Mi è già capitato di scriverlo in passato: nell’Unione Europea (come è oggi) è impossibile la nascita delle grandi aziende innovative. Il motivo principale e sufficiente è la burocrazia europea tendente a regolamentare ogni particolare di ogni aspetto della vita. Si arriva al punto di indicare alle aziende private — sia comunitarie che addirittura straniere — come devono condurre la propria attività interna.
Oggi, per esempio, abbiamo potuto apprendere la notizia sulla multa da 110 milioni di euro a Facebook per la sua gestione dei dati dell’acquisito WhatsApp.
Porco Digitus! Se io compro un appartamento e installo una porta trasparente nel bagno, la mia moglie ha la possibilità di fare una scelta tra scappare verso una casa migliore o accettare di contemplare tutto ciò che faccio dentro. La stessa libertà hanno gli utenti di un qualsiasi servizio. Si chiama il libero mercato. Ma in Europa ci si sta ormai dimenticando cosa significhi tale espressione.
Al problema della burocrazia si aggiunge poi la dominante concezione della politica fiscale comunitaria: vedere l’intero settore privato come una mucca da mungere senza pietà al fine di finanziare la burocrazia stessa e le preoccupanti tendenze socialiste comunitarie.
Tutti i fattori elencati nel presente post mi fanno pensare al periodo fascista (ebbene sì, quello italiano) quando lo Stato si permetteva di ficcare il naso nel settore privato con gli obiettivi sostanzialmente molto simili.
Dopo il post sul Giorno dei cosmonauti di ieri, provo a rimanere, in qualche modo, nell’argomento spaziale. Ecco la comparazione dei costi di trasporto di 1 kg di beni per razzi.
Non tutti gli imprenditori privati sono in grado di investire in un settore così economicamente impegnativo. Ma quelli che ci riescono, dimostrano che l’iniziativa privata è sempre più efficiente.
Alcuni anni fa il Ministero dello Sviluppo Economico ha diffuso un documento interessante: «Indagine sulla percezione dei consumatori rispetto alla contraffazione». Si tratta di un rapporto di facilissima lettura, ricco di dati quantitativi sul rapporto tra gli italiani e i prodotti contraffatti che si trovano sul mercato.
Di recente mi è capitato di leggerlo per una ricerca accademica. Ora condivido con voi due passaggi che mi hanno colpito in modo particolare.
Il passaggio № 1 (alla pagina 22).
Comunque chi ne è cosciente [di comprare i prodotti agro-alimentari contraffatti] è ben contento della sua scelta e definisce la qualità dell’alimento contraffatto uguale a quella dell’originale (53,6%) e il rapporto qualità/prezzo uguale a quello dei prodotti originali (53,6%).
Io sono sempre stato convinto che la gente comprasse i prodotti contraffatti per risparmiare. E invece, come dimostra la ricerca del Ministero, più della metà delle persone compra i prodotti contraffatti spendendo le stesse somme solo per fare un dispetto ai produttori onesti e allo Stato (il quale in questo modo incassa meno tasse). Molto interessante!
Il passaggio № 2 (alla pagina 28).
A tutti gli acquirenti dichiarati di prodotti contraffatti abbiamo chiesto quali sono i vantaggi che traggono da questo tipo di acquisto.
Il risparmio (76,6% delle risposte che diventa il 95,5% tra i disoccupati) è senz’altro la principale motivazione. Ma anche la possibilità di acquistare una maggiore quantità di prodotti (22,1%) – che è una ulteriore maniera di risparmiare – o di comprarli con leggerezza, senza pensarci troppo (21,5%).
Come cazzo si concilia questo 76,6% con il 53,6% del primo passaggio?!
Mi spiego meglio: se la qualità dei prodotti originali e quelli contraffatti è uguale e, allo stesso tempo, è uguale anche il rapporto qualità/prezzo, logicamente è uguale anche il prezzo!
Purtroppo non si tratta di un errore fatto nel corso della indagine. Si tratta di un problema enorme: la gente comune (cioè i consumatori) prende le decisioni utilizzando i cervelli contraffatti. Quelli «Made in China».
Guardate bambini, questa signora danese si chiama Margrethe Vestager e nella vita fa la grande burocrate commissaria europea per la concorrenza. Oggi si parlerà del suo fantastico operato volto all’impoverimento dell’Europa.
Il 30 agosto sul sito della Commissione europea è stato pubblicato un dettagliato comunicato stampa sulla decisione della Commissione stessa circa le relazioni tra il fisco irlandese e due controllate della Apple (Apple Sales International e Apple Operations Europe). In un altro documento, pubblicato sempre il 30 agosto, troviamo i commenti della euro-commissaria Vestager.
Si tratta di una curiosa decisione in stile socialista. In sostanza, la Commissione ha osservato una usanza instaurata più di 25 anni fa e in conformità con la legge, l’ha definita illegale post-factum, e ha infine «ordinato» alla Apple di restituire allo Sato irlandese 13 miliardi di euro più gli interessi.
Perché è successo ciò? E’ successo perché nel 2013 gli eurocrati hanno inventato dei principi della tassazione «giusta» e nel 2014 hanno ingaggiato la danese di sinistra Margrethe Vestager per lo svolgimento delle indagini sui regimi fiscali degli Stati come Belgio, Irlanda, Lussemburgo o Paesi Bassi. Le indagini e le conseguenti decisioni della Commissione si basano sul presupposto che ogni regime favorevole alle grandi imprese (come Amazon, Apple etc) violino il concetto della «tassazione equa». In tale ottica non viene fatta alcuna distinzione tra una impresa che apre in Europa una sede fittizia e una impresa che assume personale locale e investe nelle infrastrutture e nella istruzione.
La differenza tra i due tipi di aziende è però ben chiara a quegli Stati europei che cercano ancora di attirare gli investitori di un certo livello. Più di 25 anni fa tale differenza è stata compresa in Irlanda e gli effetti si vedono. Andiamo a vedere i dati ufficiali.
Nel 1991 (l’anno in cui è stata adottata la prima versione del regime fiscale favorevole alla Apple) l’Irlanda era uno Stato con la popolazione poverissima. Infatti, il PIL pro capite era di 14.073 USD (nel 1985 era di 6005 USD).
Nel 2013, cioè 22 anni dopo l’introduzione della pressione quasi nulla per la Apple, il PIL pro capite irlandese era di 50.503 USD.
Come potete facilmente immaginare, non la sola Apple beneficia in Irlanda di un trattamento fiscale favorevole. Il trattamento fiscale in questione è uno dei fattori fondamentali del famoso «boom innovativo» irlandese, del quale vi è sicuramente capitato di leggere negli ultimi anni. per la Commissione europea, però, la ricchezza della popolazione, l’innovazione tecnologica, la ricerca scientifica e tecnologica, l’istruzione e la crescita economica sono nulla nei confronti della riscossione delle tasse alte. Gli Stati-membri dell’UE vengono quindi invitati a far pagare le tesse ugualmente alte a tutti, facendo dunque fuggire gli investitori e tornando alla povertà. Con le tasse raccolte, intanto, prima delle ennesime elezioni si potrà fare qualche regalino ai cittadini rimasti senza lavoro.
Pensate che il modo sia talmente globalizzato che i grandi investitori non abbiano più delle destinazioni verso le quali migrare in cerca delle tasse meno alte? Triplo ahahaha! Ricordatevi che anche Stati sono in concorrenza.
Penso che in questi giorni il Governo irlandese stia (ri)facendo delle serie riflessioni sulla esperienza del Brexit. E non condannerei la loro eventuale decisione di rimanere fuori dall’UE.