Fino a quale fine

Dopo quasi due anni di guerra l’alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrel ha finalmente iniziato a capire qualcosa e ha dichiarato, in una intervista a The Guardian:

Putin cannot be satisfied with a piece of Ukraine and to let the rest of Ukraine belong to the European Union, but he cannot be satisfied with a limited territorial victory. He will not give up the war, especially not before the American election, which may present him with a much more favourable scenario. So we must prepare for a conflict of high intensity for a long time.

Si vede che l’impegno di alcuni politici d’opposizione russi esiliati ha iniziato a produrre i suoi primi risultati positivi… Ma ci sono ancora delle cose da spiegare qualche migliaio di volte. Infatti, nella stessa intervista Borrel dice:

Putin has decided to continue the war until the final victory.

Il problema che nel corso di tutti i propri discorsi pubblici Putin — ma anche i suoi complici più o meno stretti — ha di fatto mostrato tre cose:
1) gli obbiettivi dello Stato russo nella guerra in Ucraina mutano nel corso del tempo (resistono solo la «denazificazione» e la «demilitarizzazione» della Ucraina);
2) non è mai stato definito il concetto della vittoria (la «denazificazione» e la «demilitarizzazione» della Ucraina non possono essere dei sinonimi della vittoria perché, se ci pensate bene, sono due fenomeni non misurabili);
3) da quanto la conquista di Kiev in pochi giorni è diventata un obbiettivo irraggiungibile, parla della guerra come di una condizione di vita permanente.
Di conseguenza, Putin non continuerà la guerra fino alla vittoria. Continuerà la guerra fino alla fine. Bisogna solo vedere se fino alla fine della vita propria, della Russia, dell’Occidente o del pianeta. L’opzione destinata a realizzarsi dipende anche dall’impegno di Borrel.


Buon Natale

Buon Natale a tutti coloro che ci credono.
Tanti regali a tutti coloro che non ci credono ma approfittano comunque delle utili tradizioni.
Ma, comunque sia la vostra categoria di appartenenza, spero che dopo lunghi tempi difficili vi siate meritati una grande e buona compagnia!

Finalmente sono arrivate le feste con le alte partecipazioni!
Prima o poi torneranno a essere legali le feste con le alte partecipazioni!


La conferenza stampa di Zelensky

È in corso uno dei rarissimi periodi dell’anno in cui mi sento un po’ più autorizzato a postare un video di lunghezza notevole. Per le persone non sanno proprio come passare questi giorni, pubblico la conferenza stampa di fine anno (tenutasi il 19 dicembre) del presidente Zelensky tradotta in inglese. Può essere vista a pezzi e/o solo nei punti che interessano più degli altri.

Le persone più pignole possono provare a confrontare le cose apprese con la sempre recente esibizione di Putin.


La musica del sabato

Penso che tutti – tranne forse le persone sorde dalla nascita – conoscono la canzone natalizia «Jingle Bells»: fu composta nel 1857, divenne presto popolarissima, col tempo (ma non da subito) venne associata al Natale e nei suoi quasi due secoli di storia è stata cantata da tantissimi cantanti famosi e non. È talmente ben conosciuta che mi sembra inutile dedicarne un post.
Allo stesso tempo, trovo che spesso viene ingiustamente trascurata la erede, l’«estensione» (relativamente al testo e alla musica) del vecchio classico natalizio chiamata con il nome «Jingle Bell Rock». La paternità del testo e della musica è contestata da un gruppo di musicisti i cui nomi troverete facilmente su internet: io in questa sede vi risparmio questa parte della storia per non dilungarmi sui dettagli giuridici. Ai fini del mio post musicale – che deve anche essere festivo – conta prevalentemente il fatto che la canzone «Jingle Bell Rock» è stata per la prima volta registrata da Bobby Helms nel 1957. In molti ricordano ancora il cantante proprio per l’interpretazione di questo brano:

Nei decenni successivi alla prima registrazione, anche questa canzone è diventata popolarissima tra i vari cantanti. Per esempio, è notevole l’interpretazione della grande Brenda Lee (inclusa nel suo album «Merry Christmas from Brenda Lee» del 1964):

Il noto duetto Hall & Oates nel 1983 ha fatto della canzone una versione ancora più leggera (essa non fa parte di alcun loro album in studio) e ha girato un video un po’ stupido in tipico stile degli anni ’80:

La quarta – e l’ultima per il post odierno – è l’interpretazione del grande Chet Atkins (inclusa nell’album «Christmas with Chet Atkins» del 1961). Non è diventato un brano strumentale:

Ecco, per oggi potrebbe bastare così, anche se esistono tantissime altre interpretazioni della «Jingle Bell Rock». Volendo, potete cercarle per convincervi di avere già scelto quella (o quelle) preferita.


La lettura del sabato

Prima delle festività di qualsiasi genere il mondo non diventa più buono, dunque nemmeno l’articolo che segnalo questo sabato è tanto «festivo». E, sicuramente, non è natalizio: parla dei numerosi immigrati russi che sono scappati dal rischio di essere mandati in guerra e dalla generale politica putiniana in Serbia, ma si sono trovati di fronte a delle nuove forme di repressione e di caccia. Repressione da parte delle autorità e dei cittadini locali e caccia da parte dei servizi russi.
Un lettore europeo medio potrebbe chiedere: ma perché hanno scelto proprio la Serbia? La risposta includerebbe diversi fattori: alcune somiglianze culturali, una certa facilità nell’ottenere e rinnovare i documenti per il soggiorno, la presenza delle filiali di alcune aziende russe (dunque, molte persone non hanno dovuto inventare dei nuovi modi di lavorare anche in presenza). Insomma, per tante persone era molto più facile andare in Serbia che in qualche Stato dell’UE.
Io, invece, mi chiedo: perché le autorità serbe non sono state abbastanza furbe per sfruttare la situazione creatasi e guadagnare con l’ingresso di tanti «cervelli» e la loro capacità di creare nuova ricchezza. Il regime putiniano che cerca di essere amico con i «fratelli slavi» non è eterno, mentre i vantaggi economici e politici avrebbero potuto essere a un termine molto più lungo.


Smascheriamo gli idolatri

Conoscete tutti il personaggio fiabesco che può essere descritto con le seguenti affermazioni:
– è il figlio di un carpentiere,
– è nato senza essere concepito,
– non annega nell’acqua,
– ha lottato contro il male (seguendo la propria immaginazione del male),
– si esibiva in pubblico,
– era seguito da una varietà di personaggi strani,
– alla fine delle proprie avventure terrestre è sparito senza lasciare traccia,
– nessuno tra i viventi ora lo ha incontrato dal vivo, ma tutti riconoscono la sua immagine,
– in tanti continuano a credere alle stronzate che raccontava.
Ovviamente, avete già capito tutti di chi si tratta! Continuare la lettura di questo post »


La decomunistizzazione procede

Però a volte ci vuole anche qualche notizia leggera dalla Ucraina! Per esempio…
Il sindaco Boris Filatov ha dichiarato che l’ex Segretario generale del Comitato centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica Leonid Brezhnev è stato privato del titolo di cittadino onorario della città ucraina di Dnipro (Dnipropetrovsk fino al 2016). «Perché la decomunistizzazione della città la porteremo a termine anche noi. Non importa quello che dicono gli altri», ha scritto Filatov nella relazione sui risultati dell’ultima sessione del 2023 del Consiglio comunale.
Le autorità di Dnipro hanno fatto notare che nel 1979 Brezhnev fu insignito del titolo di cittadino onorario della città di Dnipropetrovsk. Nel 2017 questo titolo ha cessato di esistere ed è stato sostituito dal titolo di cittadino onorario della città di Dnipro. La privazione del vecchio titolo potrebbe avvenire in due casi: dopo un ricorso personale del cittadino o l’entrata in vigore legale di una condanna nei suoi confronti. Inoltre, ha dichiarato l’amministrazione di Dnipro, Brezhnev è morto molto prima dell’adozione della legge sulla decomunistizzazione e non ci sono motivi per privarlo del suo titolo.
Filatov non ha specificato perché le autorità cittadine abbiano riconsiderato la loro decisione e hanno deciso di reagire a una petizione popolare che a partire dalla sua creazione nel maggio 2023 ha raccolto più di quaranta mila firme.
E invece io specifico che si tratta di uno di quei rari casi in cui appoggio senza alcun dubbio la tendenza ucraina degli ultimi nove anni di cancellare dal proprio territorio ogni cosa che ricordi la Russia. Leonid Brezhnev nacque in Ucraina, ma a causa del proprio incarico (ma, ovviamente, non solo) può essere considerato uno dei simboli della colonizzazione esercitata dal «centro russo» nei confronti delle proprie periferie sovietiche. Di conseguenza, la privazione del titolo mi sembra logica anche in assenza dei criteri formali menzionati sopra.


Una occasione preziosa

La redazione del programma televisivo olandese EenVandaag scrive che Igor Salikov, l’ex istruttore della PMC Wagner e uno dei comandanti della PMC Redut (controllata dal Ministero della «Difesa» russo), è arrivato nei Paesi Bassi e si è detto pronto a rilasciare una dichiarazione alla Corte penale internazionale sui crimini di guerra della Russia. In base alle sue dichiarazioni, Salikov avrebbe preso parte ai combattimenti nell’est dell’Ucraina negli anni 2014–2015. Ai giornalisti dell’EenVandaag Salikov ha raccontato che, quando era nell’esercito si è rifiutato di eseguire un ordine di uccidere dei civili, dopo di che è stato deferito alla corte marziale ma è riuscito a fuggire dalla Russia.
Ovviamente, in questo momento non posso dire se il personaggio stia raccontando la verità e, nel caso di una risposta positiva, non so se possa anche provare le proprie dichiarazioni. Ma posso dire che si tratta di una grande occasione per la Corte penale internazionale e per l’Europa in generale. Infatti, hanno avuto la prima possibilità di dimostrare pubblicamente che ogni militare o militante russo può contare sulla protezione e sulla non-sottoposizione alle sanzioni occidentali in cambio delle informazioni utili (ovviamente veritiere e documentate) sulle azioni dell’esercito russo sul territorio ucraino. Dimostrandolo, riusciranno a incentivare anche le altre persone a lasciare la parte del male: meglio tardi che mai.
In questo modo potremmo sperare di avvicinare almeno per un po’ la sconfitta dell’esercito putiniano.


Una vittoria tattica

Il Financial Times scrive che alcuni funzionari dell’UE stanno valutando la possibilità di sospendere l’Ungheria dal diritto di voto – in base all’articolo 7 del Trattato UE che lo permette di fare nel caso della violazione della normativa comunitaria – per concordare un nuovo pacchetto di aiuti per l’Ucraina.
Se dovesse essere vero (non ho dei motivi per dubitare, ma non ho ancora visto la notizia ufficiale), non posso commentare il fatto dal punto di vista giuridico: per esempio perché avrei bisogno di leggere bene la parte motivazionale. Di conseguenza, posso solo fare le condoglianze e, allo stesso tempo, complimentarmi ancora una volta con Putin: è riuscito a mettere in crisi il principio della unanimità comunitario (un «valore tradizionale», lui ci tiene ai valori tradizionali) e ha spinto l’UE ad abbandonare tale principio spesso inutile, dannoso e ingiusto per quegli Stati-membri dell’UE che effettivamente danno più degli altri. Potrebbe dunque essere l’inizio di un rafforzamento funzionale dell’UE. Per il merito di quel grande piccolo tattico…
Ah, e provate a immaginare quanto sia in questi giorni arrabbiato il presidente Orban: sono giorni che riceve dei calci in c**o politici in Europa!


La sospensione dello status dello sponsor

L’Agenzia ucraina per la prevenzione della corruzione ha annunciato la sospensione della inclusione della Raiffeisen Bank dalla lista degli «sponsor internazionali della guerra» (tale banca è oggi l’unica occidentale a continuare a operare, con delle notevoli limitazioni autoimposte, in Russia). In risposta, secondo le fonti di Reuters, le autorità austriache hanno accettato di approvare il dodicesimo pacchetto delle sanzioni contro la Russia.
A un lettore occidentale non particolarmente informato dei dettagli questo evento potrebbe sembrare puramente tecnico, puramente politico o puramente mercantile. Ma in realtà è infinitamente più importante per la vita quotidiana di molti russi contrari alla guerra e, in una certa misura, per l’andamento della guerra. Infatti, il Governo austriaco – non importa se volontariamente e/o consapevolmente o meno – ha lasciato ai russi in fuga dal regime putiniano quella ultima possibilità di portarsi via anche i propri soldi che ancora avevano. Il trasferimento dei soldi verso l’Occidente attraverso la Raiffeisen Bank è una possibilità abbastanza scomoda e costosa (le commissioni e le somme minime trasferibili sono alte), ma ancora in qualche modo funzionante. Permette di non lasciare le proprie finanze nel sistema interno russo e di garantirsi qualche periodo di stabilità economica nello Stato verso il quale si intende scappare.
Il togliere a Putin i soldi e le persone più attive e capaci dovrebbe essere il vero obbiettivo delle sanzioni occidentali. Di fatto, l’Austria, con la sua insistenza, ha contribuito un po’ al raggiungimento di questo obbiettivo. Da persone educate e da tifosi della Ucraina, dobbiamo ringraziare.