La sociologia da arsenale

Non è la prima notizia del genere che mi capita di leggere e di condividere con voi, ma questo aspetto non la rende meno interessante.
In Polonia dal 28 giugno sta continuando la raccolta dei fondi per l’acquisto dei «Bayraktar» da donare alla Ucraina. La campagna di crowdfunding è in corso sulla piattaforma Zrzutka.pl, dove oltre 200 mila persone in meno di un mese hanno già raccolto quasi 5 milioni di euro (più di 23 milioni di złoty). La raccolta dei fondi è stata promossa da Slawomir Sierakowski, un giornalista e politologo polacco, il quale ha detto che essa – la campagna – continuerà ancora per diversi giorni, nonostante l’obiettivo inizialmente dichiarato sia già stato raggiunto: perché «c’è un gran numero di persone desiderose ad aderire». I soldi raccolti oltre l’obiettivo prefissato saranno trasferiti sul conto delle Forze Armate dell’Ucraina presso la Banca Nazionale Ucraina.

A questo punto penso che la raccolta dei fondi per l’acquisto degli armamenti costosi da donare alla Ucraina possa anche essere trasformata in una forma di ricerca sociologica. Una ricerca avente per l’obiettivo rispondere alla domanda «quanti residenti/cittadini dello Stato X sono disposti a sostenere attivamente l’Ucraina?». Probabilmente, molte persone vedranno per la prima volta nella vita l’utilità pratica della sociologia (anche se in realtà è utile anche in tanti altri sensi).


L’ansia per l’attesa

Ai tempi pre-pandemici e pre-bellici Vladimir Putin amava incontrarsi con i più importanti leader mondiali (non aveva la paranoia del coronavirus e non era considerato, in sostanza, un criminale di guerra). Allo stesso tempo, amava fare dei ritardi colossali (di almeno tre ore) per quegli incontri, ma so non precisamente il perché: a causa della completa incapacità di gestire i propri impegni o per affermare in tal modo la propria superiorità… In questo momento vorrei dedicarmi a un altro argomento.
Nel corso della visita ufficiale a Teheran del 19 luglio Putin doveva incontrare anche il presidente turco Erdoğan. Ma il «grande» «amico» e «alleato» Erdoğan ha fatto aspettare Putin per ben 50 secondi. Il seguente video dimostra che a Putin quei 50 secondi sono sembrati una eternità:

Dicono che un paio d’anni fa Putin avrebbe fatto aspettare Erdoğan allo stesso modo a Mosca: il fatto sarebbe stato mostrato anche sui canali televisivi federali. Pare che Erdoğan abbia una buona memoria.


La musica del sabato

L’11 luglio all’età di 94 anni è morto il compositore inglese Norman Monty, noto al pubblico odierno prevalentemente per avere composto nel 1962 il tema musicale di quasi tutti i film sull’"agente 007«. In generale non sono sicuro che per un qualsiasi artista sia bellissimo essere ricordato per una sola opera (anche se famosa e apprezzata dal pubblico), ma Norman Monty dovette lottare anche per questo risultato. In almeno due occasioni fece causa a chi indicò John Barry come il vero autore di quella musica (mentre in realtà Barry l’aveva solo arrangiata per il volere dei produttori del film «Dr. No»). Quindi a Norman Monty sarebbe piaciuto sentire ripetere che questa musica è sua:

Allo stesso tempo penso che a Norman Monty sarebbe piaciuto che qualcuno ricordasse anche altre sue composizioni, per esempio quelle scritte per i vari musical… Ma dato che è abbastanza difficile scegliere e postare un musical intero, ho pensato di condividere con voi il brano «Bad Sign, Good Sign» scritto per il musical «A House for Mr Biswas» mai messo in scena.

Secondo lo stesso Norman Monty il brano appena riportato in alcuni punti ricorda la melodia del «tema del James Bond».


Gli 8 anni del MH17

Quasi una settimana fa, il 17 luglio, c’è stato l’anniversario di un avvenimento che sta rischiando di finire un po’ dimenticato con la guerra putiniana in Ucraina: l’abbattimento del Boeing della Malaysia Airlines MH17, avvenuto nel cielo dell’est ucraino nel 2014. Eppure, oggi lo potremmo considerare uno dei primi atti realmente folli di una guerra iniziata già oltre otto anni fa.
Proprio a questo argomento è legata la lettura che vi consiglio per questa settimana: le storie di cinque famiglie olandesi che hanno perso i propri figli in Ucraina nell’articolo «Our children were killed by Putin too» di Ekaterina Glikman.


Le prime condanne in Estonia

Nel mondo ci sono tantissime notizie che ci vengono raccontate a metà: nel senso che i giornalisti ci parlano di un episodio e poi, travolti dalla valanga delle notizie successive, si dimenticano di raccontarci in che modo è finito. Di conseguenza, provo una certa soddisfazione ogni qualvolta riesco a leggere (purtroppo, raramente) le conclusioni delle notizie vecchie (ma anche perché spesso quelle conclusioni mi piacciono tantissimo) e apprezzo tanto l’impegno di chi le pubblica.
Oggi faccio un esempio concreto. Probabilmente vi ricordate che alla fine di maggio in Estonia era stato arrestato un cittadino estone/russo che aveva tentato di comprare dei droni e di inviarli all’esercito russo. Ebbene, ieri il tribunale estone della contea di Harju ha condannato Vladimir Shilov (sì, si chiama così) a cinque anni di reclusione. In particolare, Shilov dovrà passare quattro mesi in carcere e altri otto in libertà vigilata con un periodo di messa alla prova di quattro anni. I due complici Ilya e Ruslan Golembovsky – che hanno aiutato Shilov – sono stati condannati a una pena sospesa di cinque mesi con un anno e otto mesi di libertà vigilata.
Finché sono costretto a leggere della guerra in Ucraina, spero di leggere anche più notizie come quella appena riportata.


Ci vorrebbe un po’ di serietà

Ho letto che il Comitato dei Rappresentanti Permanenti dell’UE (Coreper) ha approvato il settimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. Tali sanzioni dovrebbero entrare in vigore oggi, il 21 luglio.
Da quello che ho letto fino a questo momento, le uniche sanzioni in qualche modo per me interessanti sono quelle contro 48 persone fisiche e istituzioni. Tra le persone fisiche ci sarebbero politici, militari, imprenditori e propagandisti… In particolare, ci sarebbero anche i membri del club di motociclisti «Nochnye Volki» («Lupi notturni»).
Ecco, quest’ultimo dettaglio è veramente ridicolo. Infatti, da una parte è vero che il club in questione è un gruppo di buffoni pro-putiniani (ma i bikers come caz*o possono essere pro-governativi?! è un classico esempio di ossimoro!), guidati da un famosissimo idiota completamente dislessico (Aleksandr Zaldastanov). Ma, dall’altra parte, non posso non constatare che negli ultimi anni questo club è stato un po’ dimenticato dagli abitanti del Cremlino: le sue iniziative non vengono più finanziate come una volta e non vengono pubblicizzate dalla televisione di Stato. In sostanza, i «Nochnye Volki» sono stati «scaricati» addirittura ben prima della pandemia, ma gli autori delle sanzioni europee non se ne sono proprio accorti e hanno quindi fatto ridere un po’ anche quei russi che non hanno mai appoggiato la politica di Putin. Perché con tutto quello che sta succedendo in Russia e nel mondo negli ultimi anni il club «Nochnye Volki» era stato quasi dimenticato dalla gente. Mentre l’UE dimostra di essere a) poco aggiornata e b) ormai incapace di inventare delle sanzioni più serie.


Un’altra forma dell’anonimato

Sabato mi era già capitato di consigliarvi un articolo sull’anonimato di fatto imposto agli alti ufficiali russi che partecipano alla guerra in Ucraina. Da oggi la descrizione di tale situazione può essere integrata da un nuovo elemento curioso.
Il Ministero della «Difesa» russo ha diffuso la notizia sulla ispezione, fatta dal ministro Sergey Shoygu, del raggruppamento militare russo «Zapad» («Occidente» in italiano), che sta combattendo in Ucraina. Il ministro avrebbe visitato il posto di comando e avrebbe ascoltato il rapporto del comandante del raggruppamento, il tenente generale Andrey Sychevoy. Uno degli aspetti più interessanti della notizia consiste nel fatto che non è stato precisato dove e come combatte il raggruppamento «Zapad» (e nemmeno da quando viene comandato da Andrey Sychevoy).
Più o meno tutte le persone che hanno fatto degli studi — accademici o personali — delle materie militari si ricordano uno dei principi-base: ogni militare che partecipa a una guerra inizia a sentire, prima o poi, la necessità di essere riconosciuto come eroe. La mia osservazione potrebbe sembrare un po’ preoccupante, ma non posso non farla: nel termine medio-breve il suddetto principio potrebbe costituire una fonte di speranza.


Un nuovo campionato importantissimo

Io, personalmente, non seguo lo sport professionale in generale e il calcio in particolare, ma a qualcuno dei lettori potrebbero interessare la «notizia» e la tendenza da essa potenzialmente derivante.
Il Ministero dello Sport russo sta progettando di creare un campionato di calcio che coinvolga club della Crimea, delle autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk, dell’Ossezia del Sud, dell’Abkhazia e dei territori occupati delle regioni ucraine di Kherson e Zaporozhye. Secondo la dichiarazione ufficiale del vice-ministro dello sport Odes Baisultanov, al campionato in questione parteciperanno i club delle «repubbliche amiche» e le squadre delle università russe. La prima stagione è prevista per il 2023.
Si precisa che il futuro campionato non sarà affiliato all’Unione calcistica russa (RFU), alla Federazione calcistica internazionale (FIFA) e all’Unione delle associazioni calcistiche europee (UEFA). Ma questo dettaglio, ormai, non ha alcuna importanza: il 27 febbraio la FIFA ha vietato le partite di calcio internazionali in Russia, mentre il giorno dopo, il 28 febbraio, la FIFA e l’UEFA hanno sospeso le squadre nazionali e i club russi dalla partecipazione alle competizioni sotto la propria egida.
Ecco, pianificare qualcosa del genere anche per il 2023 è, per i funzionari russi, un segno di grande ottimismo e di grande convinzione della propria fortuna. Ma questo non significa che non possano pianificare i campionati simili anche per gli altri tipi di sport. Di conseguenza, i miei lettori psicologicamente forti e stabili possono provare a seguirne qualcuno. Sarà una esperienza un po’ estrema ma breve. Sospetto fortemente che la qualità di calcio (o di, per esempio, basket) del campionato «indipendentista» sarà simile al campionato italiano di hockey, ma almeno potrete raccontare ai vostri nipoti di avere visto delle oscenità sportive inimmaginabili.


Un personaggio non occasionale

Probabilmente qualcuno dei lettori si ricorda di Marina Ovsjannikova, una dipendente del «Primo canale» della TV di Stato russa che il 14 marzo aveva invaso – con un cartello contro la guerra – lo studio del notiziario durante la diretta.

Dopo quella occasione Ovsjannikova aveva perso il lavoro (non penso che ne sia molto dispiaciuta almeno dal punto di vista morale) ed era stata multata. Poteva andarle peggio, anche se le leggi sulla responsabilità amministrativa e penale per ogni forma di protesta contro la guerra in Ucraina hanno iniziato a essere applicate in modo severo più tardi.
Ebbene, in questi giorni sono stato contento a scoprire che Marina Ovsjannikova non si è fatta spaventare e, anzi, ha dimostrato che il suo gesto non era stato occasionale, non semplicemente dettato dallo shock per l’inizio della guerra. Il venerdì 15 luglio aveva manifestato con un nuovo cartello sul lungofiume di Moscova davanti al Cremlino:

Il cartello dice: «Putin è un assassino. I suoi soldati sono dei fascisti. 352 bambini sono stati uccisi. Quanti altri bambini devono essere uccisi poiché vi fermiate?». Si tratta della seconda – in termini di visibilità – manifestazione contro la guerra di Ovsjannikova (ma si è espressa pubblicamente in diverse altre occasioni). Quello che non mi è ancora molto chiaro, è perché non sia stata fermata dalle forze «dell’ordine» già venerdì.
È stata fermata solo ieri (pare per una brevissima intervista televisiva) vicino alla sua casa, portata in un luogo sconosciuto, multata e rilasciata la sera del giorno stesso.

Ma se le cose vanno avanti così, per qualche motivo si potrà ancora scrivere di lei.
P.S.: per tutti coloro che lo avessero perso o dimenticato, aggiungo il famoso video del cartello in diretta: Continuare la lettura di questo post »


Con i pugni

C’è chi dice che Biden si sarebbe allenato per più giorni nel nuovo saluto per non stringere la mano al principe della Arabia Saudita (ritenuto responsabile della uccisione di Jamal Kashoggi). Ma io non vedo una particolare differenza dal punto di vista simbolico…

Eppure, un saluto alternativo va inventato: potrebbe essere utile in diverse occasioni.