L’archivio del giugno 2022

Un gesto di buona volontà

Dopo gli incessanti attacchi missilistici ucraini sull’Isola dei Serpenti (la cui guarnigione ucraina era diventata famosa, per una bella frase, in tutto il mondo all’inizio della guerra), i militari russi hanno fatto esplodere tutte le attrezzature ancora non danneggiate e si sono affrettati a evacuarsi su barche da sbarco.
Il dettaglio più interessante – e in un certo senso divertente – di questo episodio della guerra in corso è il commento ufficiale del Ministero della Difesa russo. Merita di essere tradotto:

Il 30 giugno, in qualità di un gesto di buona volontà, le forze armate della Federazione Russa hanno completato lo svolgimento dei loro compiti sull’Isola dei Serpenti e hanno ritirato la guarnigione dislocatavi.
Tale atto dimostra alla comunità mondiale che la Federazione Russa non sta ostacolando gli sforzi delle Nazioni Unite finalizzate alla creazione di un corridoio umanitario per l’esportazione dei prodotti agricoli dal territorio ucraino.

Avete apprezzato, vero?


I nuovi membri della NATO

La grande notizia di ieri era in realtà scontata: Erdogan ha «acconsentito» l’adesione della Svezia e della Finlandia alla NATO. Era scontata non solo perché la diplomazia è sempre una trattativa, ma anche e soprattutto perché Erdogan è un uomo dell’est. Un uomo dell’est non vende alcunché senza trattive lunghe, accese e piene di pseudo-rifiuti «categorici» di accettare le proposte della controparte. Molto probabilmente la maggioranza dei miei lettori occidentali conosce poco o per nulla tale modo di fare, mentre per me è sempre stato evidente il concetto di base: Erdogan alla fine accetta, ma bisogna vedere in cambio di cosa.
In sostanza, Erdogan ha ottenuto due cose. La prima era facilmente immaginabile: la Finlandia e la Svezia hanno concordato di «prevenire le attività» del Partito dei Lavoratori del Kurdistan e delle altre strutture che la Turchia considera terroristiche. Inoltre, si sono impegnate a non sostenere la Forza di autodifesa curda siriana (YPG) – affiliata al Partito dei lavoratori del Kurdistan – e il movimento FETO del predicatore Fethullah Gülen.
La seconda cosa ottenuta da Erdogan era un po’ meno ovvia (probabilmente in forza delle nostre dimenticanze), ma sempre logica: la Finlandia e la Svezia hanno accettato di revocare l’embargo sulle armi alla Turchia precedentemente imposto in risposta alle azioni della Turchia in Siria nel 2019.
Direi che in entrambi i casi la vittoria diplomatica di Erdogan può anche essere considerata temporanea (almeno nel lungo periodo: in futuro nessuno impedisce, per esempio, a riavviare le discussioni sul destino dei curdi), mentre l’importante rafforzamento della NATO è permanente.
Tutti, compresi i nuovi due membri, ringraziano vivamente lo sponsor politico principale di tale rafforzamento. Conoscete benissimo il suo nome, quindi è inutile che io lo scriva ancora una volta.


Il problema dell’essere un tattico

Il summit della NATO si terrà a Madrid dal 28 al 30 giugno. Ma già ieri il segretario generale Jens Stoltenberg ha annunciato due delle misure che quasi sicuramente verranno adottate:
1) Le forze di risposta rapida della NATO saranno aumentate da circa 40 mila persone attuali a più di 300 mila (l’aumento è stato richiesto da alcuni Stati dell’Europa dell’Est).
2) Secondo il nuovo concetto strategico della NATO, la Russia sarà indicata come «la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza della alleanza».
Ovviamente si tratta di una nuova grande «vittoria» di Vladimir Putin… Molti di voi avranno già imparato bene la mia (e non solo mia) constatazione che non è uno stratega ma un tattico. Quindi evito di dedicare tanto spazio a tale concetto e passo direttamente a una delle sue conseguenze.
Il fatto è che i risultati de tattici – soprattutto di quelli di qualità non eccezionale – sono facilmente prevedibili. Quindi io prevedo già ora che in Europa aumenteranno anche le armi della NATO. Infatti, alcuni osservatori spiegano la lentezza nelle forniture degli armamenti pesanti alla Ucraina con l’attuale scarsa disponibilità fisica di queste ultime (e questo sarebbe la migliore risposta a tutti coloro che vedono la NATO come una alleanza aggressiva). Ebbene, sarebbe logico prevedere la correzione anche di questo dettaglio.
Anticipiamo dunque altri complimenti a Putin.


La convinzione

Non sono sicurissimo del fatto che tanti media occidentali abbiano scritto del fatto che i militari della Guardia Nazionale della Federazione (uno dei corpi militari russi) alla fine di febbraio entravano in Ucraina con l’uniforme da parata nei bagagli. Infatti, si programmava di fare una parata da vincitori a Kiev dopo pochissimi giorni…
Sono un po’ più sicuro del fatto che quasi nessuno abbia scritto che davanti alla Cattedrale principale delle Forze Armate della Federazione Russa a Kubinka (nella Regione di Mosca) è in fase di costruzione un arco di trionfo!

Immagino facilmente la sceneggiatura dello spettacolo di inaugurazione programmato.
Inizia tutto con un omino un po’ anziano che cammina sotto l’enorme arco al suono delle fanfare. L’omino viene seguito dai trofei conquistati nel corso della guerra: le macchine del sistema Iskander trasportano le lavatrici, i bollitori elettrici, i motori di barche etc. Poi seguono decine di migliaia di «veterani» senza gambe e senza braccia con tante medaglie. Poi una lunga colonna di vedove in nero passerà sventolando gli assegni da x milioni di rubli regalati dallo Stato per i mariti uccisi. Subito dopo passeranno i vari rottami dell’ex «secondo esercito più grande del mondo»: migliaia di carri armati e mezzi corazzati distrutti. Seguiranno centinaia di bossoli sparati contro l’Ucraina. La lunga processione sarà chiusa dall’enorme incrociatore «Moskva» ricoperto di fango e conchiglie. la nave, ovviamente, si incastrerà nell’arco di trionfo. E proprio in quel momento inizieranno i fuochi d’artificio.
Che spettacolo…
Ma stavo dormendo?..


Ben Stiller a Kiev

Zelensky riceve le visite più incredibili. E io inizio a sospettare che qualcuno tra poco cambi incredibilmente il genere dei film:


La musica del sabato

Il chitarrista statunitense Chet Atkins era talmente forte che io, personalmente, non riesco nemmeno a classificarlo come un musicista country. E, in effetti, pure i critici musicali professionali hanno inventato appositamente il concetto del «Nashville sound»: i maggiori rappresentanti / fondatori di questo genere – o corrente? – sarebbero stati Chet Atkins e Owen Bradley, all’epoca legati dai contratti allo studio di registrazione RCA (basato proprio a Nashville). In sostanza, si tratta del «country ammorbidito» più gradevole alle masse.
Quindi per l’occasione del mio primo post musicale dedicato a Chet Atkins ho pensato di concentrarmi proprio sul periodo della affermazione della corrente musicale sopraindicata. Non a caso, tale periodo coincide con la fase della maggiore forma artistica di Chet Atkins, anche se egli fece delle cose interessantissime anche nei decenni successivi. Per oggi ho selezionato due brani dall’album «More of That Guitar Country» (del 1965) e, in realtà, ho fatto un po’ di fatica a compiere la scelta: mi piacciono quasi tutti i brani di quel disco.
Il primo brano di oggi è «Cloudy and Cool»:

Il secondo brano scelto per oggi è «Alone and Forsaken» (che in certi momenti metterei nel regime della riproduzione «a loop»):

Chet Atkins è uno di quei musicisti ai quali tornerò sicuramente ancora su questo blog.


Nel 2020 – l’anno che ora possiamo anche ricordare con una certa nostalgia – c’era, tra l’altro, il 75-esimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale. O, come dicono gli autori e le vittime della propaganda imperiale sovietica/russa, il 75-esimo anniversario della vittoria nella Grande guerra patriottica. Per quella occasione in Russia era stato pubblicato un calendario con le foto dei giovanissimi soldati di leva insanguinati, fucili Mosin, carri armati antichi e altre armi della Seconda guerra mondiale.

Il calendario in questione è stato una «interessante» visualizzazione dello slogan Continuare la lettura di questo post »


I nuovi candidati all’UE

Come era facilmente prevedibile, ieri il vertice dei leader dell’UE ha concordato lo status di candidato all’UE per l’Ucraina e la Moldavia. Ha dunque seguito le raccomandazioni della Commissione europea.
Considerando che nel mondo esistono da tempo anche alcuni altri potenziali candidati allo status di candidato (sono abbastanza sicuro di Azerbaijan, Armenia, Bosnia ed Erzegovina, Georgia, Kosovo), vediamo ancora più facilmente che la scelta dei leader europei è motivata prevalentemente dalle questioni di sicurezza. Infatti, dopo l’Ucraina, la Moldavia rimane lo Stato della zona meno «protetto» da accordi internazionali (nonostante la «cooperazione» con la NATO).
L’aspetto per ora più interessante della notizia di ieri è invece il destino della Georgia. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha infatti annunciato che il vertice dell’UE ha riconosciuto la «prospettiva europea» della Georgia ed è pronto a concederle lo status di candidato una volta che la Georgia avrà soddisfatto una serie di condizioni. Il primo ministro georgiano Irakli Garibashvili, a sua volta, ha dichiarato che il suo Paese «merita lo status di candidato all’UE più di ogni altro candidato». Ma si è dimenticato di precisare che tutti i successi georgiani sulla strada verso la candidatura all’UE sono stati fatti sotto la presidenza di Mikhail Saakashvili (2004–2013). Quest’ultimo si trova ora in opposizione e – sostanzialmente di conseguenza – in carcere. Mentre i governanti georgiani di oggi hanno già disfatto una parte delle modernizzazioni della Georgia volute da Saakashvili.
A questo punto penso che l’Ucraina e la Moldavia non avranno molti concorrenti (o compagni di viaggio?) sulla loro lunga strada verso l’ingresso nell’UE.


Le notizie della cleptomania

Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, alcuni Stati occidentali hanno rinominato le vie in cui si trovano le ambasciate russe. Così, per esempio, alla via dove si trova l’ambasciata russa a Praga è stato attribuito il nome di «Eroi ucraini», alla via analoga di Vilnius è stato attribuito il nome di «Eroi dell’Ucraina», mentre a Riga quello di «Indipendenza dell’Ucraina». In generale, la tradizione di modificare in questo modo gli indirizzi ufficiali delle rappresentanze diplomatiche russe non è nuova. A Washington, per esempio, l’ambasciata russa si trova in piazza Boris Nemtsov: nel 2018 un pezzo della via era stato dedicato al politico di opposizione ucciso nel centro di Mosca nel 2015. Si tratta di un modo «creativo» di esercitare pressione sullo Stato russo, costretto a indicare i nuovi indirizzi provocatori sui propri documenti ufficiali.
Lo Stato russo del XXI secolo ha però elaborato una propria tradizione interessante: rispondere in modo «simmetrico» alle «azioni offensive» degli Stati esteri, come se quelle azioni fossero ogni volta totalmente immotivate. Faccio subito un esempio recentissimo.
Alla fine di maggio il Comune di Mosca ha «deciso» di rispondere alle sanzioni statunitensi (dovute alla guerra in Ucraina) e di copiare finalmente il trucco occidentale del cambio degli indirizzi delle ambasciate. Ha quindi organizzato un sondaggio – tradizionalmente da risultato truccato con i voti obbligatori dei dipendenti comunali – sul nuovo nome da attribuire al pezzo della via dove si trova l’ambasciata USA. Il risultato del sondaggio è stato ufficializzato ieri: dal 22 giugno l’ambasciata statunitense a Mosca si trova in piazza della Repubblica Popolare di Donetsk.
Molto probabilmente non avrei mai scritto di questa ennesima manifestazione del degrado in cui si trovano la diplomazia e la direzione statale russi. Ma mi è sembrato curioso un dettaglio: sui cartelli pubblicitari che annunciano il cambio del nome della piazza è stato utilizzato – ovviamente senza permesso – il font «KTF Jermilov». Quel font era stato elaborato dai designer ucraini Oles Gergun e Yevgeny Anfalov per una campagna di sostegno alla Ucraina…

Non so se l’utilizzo non autorizzato proprio di quel font sia stato intenzionato o accidentale (qualcuno poteva averlo scelto a caso senza conoscerlo), ma in entrambi i casi la situazione diventa ancora più ridicola.


La guerra contro la disoccupazione

Prima o poi (spero prima) a Vladimir Putin verranno riconosciuti anche i meriti nella lotta – o, se preferite, guerra – vittoriosa contro la disoccupazione a livello mondiale. Si tratta della disoccupazione evitata tra le persone altamente qualificate, ma questo dettaglio non rende certamente i meriti di Putin meno importanti.
Faccio solo due esempi.
Inizio dalla notizia più fresca, quella di ieri. Merrick Garland, il procuratore generale degli Stati Uniti, ha annunciato la creazione di un gruppo speciale per le indagini sui crimini di guerra in Ucraina. Tale gruppo sarà guidato da Eli Rosenbaum, il funzionario del Dipartimento di Giustizia che è stato definito il più noto «cacciatore di nazisti» degli Stati Uniti. Negli ultimi quasi quattro mesi abbiamo già appreso abbastanza notizie spaventose (ma pure palesemente parziali) per poter immaginare che il gruppo guidato da Rosenbaum avrà molto da fare nei prossimi anni.
La seconda notizia è un po’ più datata. All’inizio di febbraio la Commissione ONU aveva annunciato il completamento delle riparazioni irachene al Kuwait per la guerra del 1990-91. E, allo stesso tempo, si era constato che i membri della suddetta Commissione hanno maturato una esperienza pratica preziosa che tornerà (spero più prima che poi) in una zona diversa del mondo. Di conseguenza, l’organo non si era «estinto» automaticamente.
Per ovvi motivi sto cercando di trattenermi dall’umorismo eccessivo… Ma chi vuole, può provare a immaginarlo.