Ho appena appreso della morte dello scrittore Tom Wolfe… E devo ammettere che si tratta di una non rara occasione in cui il mio primo pensiero è stato «non pensavo che fosse ancora vivo».
Nonostante una certa dimenticanza (almeno nei limiti del mio campo visivo nella vita culturale/sociale statunitense contemporanea), non smetto di essere grato a Wolfe. Il suo romanzo «The Electric Kool-Aid Acid Test», letto circa vent’anni fa, mi ha fatto abituare anche alla letteratura non tradizionale. Il che comportò, a sua volta, ulteriori benefici culturali.
Ah, direi che almeno il libro appena citato può essere consigliato a tutti i miei lettori.
L’archivio del 2018 год
Il 9 maggio nell’Unione Europea è la Festa dell’Europa. In Russia e in molti altri dell’ex URSS il 9 maggio è invece il Giorno della Vittoria (l’anno scorso avevo già spiegato il motivo storico di tale data). In Russia, in particolare, tale festa assume sempre più un carattere aggressive. Nei primi mesi di Maggio di ogni anno, infatti, la propaganda statale si impegna in un modo particolare nell’alimentare la militarizzazione della società e nel ricordare che il Paese sarebbe «circondato dai nemici che vogliono aggredirci e dividersi i nostri territori». La parata militare del 9 maggio sulla Piazza Rossa rappresenta sempre lo stesso messaggio: «siamo pronti a respingere gli attacchi».
La propaganda quotidiana, rafforzata a maggio, produce degli effetti particolarmente curiosi sulle menti deboli. Oggi faccio un esempio in formato video. A Irkutsk pure le foche festeggiano il Giorno della Vittoria:
Il gruppo statunitense The Ventures si è formato nel 1958 in un modo solitamente tipico alle band adolescenziali. Un giorno Bob Bogle si è presentato nel negozio delle automobili usate del suo amico Don Wilson e gli disse:
«A noi entrambi piace la musica, organizziamo un gruppo!»
«E come facciamo? Non sappiamo suonare!», rispose Don.
«E vabbè, suoniamo la musica come la sentiamo e vediamo cosa ne viene fuori…»
La conseguenza di questo dialogo (solo riassunto da me) sono stati diversi decenni di storia pieni di brani di una buona qualità. Ne metto, ormai da tradizione, solo due: scelti tra quelli degli album iniziali.
Prima il «Rebel – Rouser»:
E poi «Honky – Tonk»
Dopo oltre due settimane di utilizzo delle scarpe nuove mi sono accorto (perché così tardi?!) di un evento epocale. La Converse ha imparato a fare i lacci di una lunghezza normale!
Oppure sono io che ho due esemplari «difettosi»?
Grazie a una certa attenzione mediatica verso la grande scelta di David Goodall possiamo finalmente comprendere una cosa importantissima: la morte di una brava persona può essere la fonte di speranza e non di tristezza. Intendo la speranza per la società degli esseri umani su questo pianeta.
Ieri, in una clinica specializzata svizzera David Goodall ha girato una valvola, si è fatto una iniezione letale e si è addormentato per sempre. Non era gravemente malato, non soffriva di alcun male. Ma a 104 anni era ormai stanco della vita e della vecchiaia. Voleva morire in modo decente, prima di perdere l’aspetto umano e diventare solo un pezzo di carne da mantenere in attività biologica.
Possiamo sperare almeno un po’ che nel futuro, chissà quanto lontano, quando la medicina sconfiggerà le malattie e la società gli assassini, gli umani andranno via come David Goodall, in modo dignitoso. Magari scherzando e cantando l’"Inno alla gioia".
Come avrete già letto, il lunedì 7 maggio il nuovo Presidente russo Vladimir Putin ha proposto al Parlamento, quasi subito dopo il proprio giuramento, la candidatura del nuovo Premier: un certo Dmitry Medvedev.
Il martedì 8 maggio il Parlamento ha approvato la candidatura con 374 voti favorevoli e 56 contrari. In questi giorni si sta dunque lavorando sulla composizione del futuro Governo (penso che il risultato di tale lavoro interessi ben poco alla maggioranza degli italiani).
Limitandoci anche ai soli nomi di Putin e Medvedev possiamo però constatare alcune cose rilevanti. Per chi ha delle conoscenze molto superficiali dell’argomento è molto facile ridere delle grandi «novità» che avvengono nella politica interna russa. È ancora più facile farlo conoscendo la «qualità» e l’"indipendenza" del precedente Governo guidato da Medvedev. Ma è importantissimo capire una cosa: nelle condizioni politiche attuali il Governo russo non è un organo che governa. Non è nemmeno un organo che esegue gli ordini di una persona determinata (indovinate il nome), perché quella persona è quasi totalmente disinteressata alla politica interna. Il Governo russo è un organo che trasmette le occasionali e non sistematiche Volontà Supreme verso il basso ed i dati (spesso elaborati in modo molto creativo) circa la realizzazione di quelle volontà verso l’alto. L’indice di efficienza del Governo russo è determinato dalla capacità di mettere sulla scrivania di una persona ben determinata le cartellette con dei dati belli (il che non presuppone affatto che siano dati reali).
La candidatura di Dmitry Medvedev non è dunque stata nuovamente scelta per le tradizionali qualità di un dirigente. Ma nemmeno perché il suo Governo precedente era stato bravo a presentare dei dati belli. La grande verità sta nel fatto che Dmitry Medvedev è stato nuovamente scelto in qualità del Vice-Presidente. In base alla costituzione russa, infatti, il Primo ministro russo diventa il facente funzioni del Presidente in tutte le situazioni qualora quest’ultimo sia impossibilitato a svolgerle.
Di conseguenza, abbiamo avuto un’altra grande prova del fatto che Dmitry Medvedev sia l’unica persona ad avere la piena (o forse addirittura infinita) fiducia di Vladimir Putin. Molto probabilmente questa fiducia si basa in parte sulla evidente tendenza di Putin a seguire il metodo induttivo («una cosa che ha funzionato ieri funzionerà anche domani»), ma in parte deve basarsi anche sulle qualità di Medvedev. E sono proprio le qualità di Medvedev che non mi sono ancora chiare. La fiducia di una persona attaccata al potere non si acquista una volta per sempre (per esempio custodendo la poltrona presidenziale per un mandato), va confermata tutti i giorni. E se Medvedev fosse un semplice lecca[qualsiasipartedelcorpo], sarebbe stato solo uno dei tanti. Non so ancora quali qualità politiche gli permettono di rimare l’unico.
Stamattina il leader della opposizione armena Nikol Pashinyan è stato eletto Primo ministro dal Parlamento: 59 voti favorevoli e 42 contrari (in totale il Parlamento armeno ha 105 deputati).
Martedì 1 maggio, al primo tentativo, il risultato era stato negativo: solo 45 voti favorevoli su 53 necessari (è richiesta la maggioranza dei deputati).
Sia oggi che una settimana fa Pashinyan è stato l’unico candidato sottoposto al voto parlamentare. Se anche la votazione di oggi non avesse portato alla elezione di un premier (quindi di Pashinyan), il Parlamento armeno avrebbe dovuto essere sciolto.
Secondo me la situazione nella quale attualmente si trova Nikol Pashinyan è più che curiosa. Da una parte, in qualità di un vero leader dell’opposizione e della protesta è riuscito a far dimettere il premier Sargsyan e farsi nominare al suo posto con i voti del partito politico a cui si trova, appunto, in opposizione. Non è a questo punto molto chiaro come intende governare (per i tonti: senza l’appoggio del Parlamento si combina un tubo).
Suppongo – ma potrebbe essere uno schema politico molto primitivo – che il partito di maggioranza attuale abbia accettato di nominarlo al capo del Governo per poi bocciare ogni sua iniziativa e dimostrare, in tal modo, la sua cosiddetta «incapacità di governare il Paese». Insomma, fargli perdere la popolarità acquistata nelle ultime tre settimane di proteste.
Dall’altra parte, al neoeletto Nikol Pashinyan non sarebbero più convenienti nemmeno le elezioni politiche anticipate. Egli ha certezza di essere il leader di una minoranza attiva, ma non ha alcuna certezza di poter contare sulla maggioranza degli elettori. Infatti, alle ultime elezioni politiche (2 aprile 2017) il suo partito è arrivato terzo, conquistando appena 9 seggi su 105. Nonostante l’entusiasmo per il successo della protesta, sarebbe troppo azzardato sperare in un risultato anche solo doppio rispetto alla volta scorsa.
Tra tentare di governare senza essere stato eletto per farlo e perdere nuovamente le elezioni (nel senso di non raggiungere comunque i numeri per governare), la scelta è caduta sulla prima. Non sono sicuro che per Nikol Pashinyan sia la scelta migliore.
Stamattina al Cremlino si è svolta la quarta cerimonia di insediamento di Vladimir Putin in qualità del Presidente. Il fatto stesso non è certamente una notizia, la cerimonia è stata abbastanza noiosa. Avrei dunque facilmente evitato di scriverne, se non ci fosse un piccolo dettaglio storico da sottolineare.
Come probabilmente sapete, la Costituzione russa impone il limite massimo di due mandati consecutivi per la medesima persona alla Presidenza della Federazione Russa. Ed è per questo che tra il secondo e il terzo mandato presidenziale di Putin ci fu quello di Dmitry Medvedev (dal 2008 al 2012). Con la riforma costituzionale del 2008 la durata del mandato presidenziale è stata portata da quattro a sei anni. Di conseguenza, nel 2024 finirà il secondo mandato consecutivo (della seconda coppia) di Putin e ci sarà nuovamente il bisogno di affidare a qualcuno l’incarico presidenziale per un mandato, fino al 2030.
Nel 2030, però, Vladimir Putin avrà 77 anni e, probabilmente, già ora prevede il rischio di non riuscire a reggere l’attesa. Ed ecco che arriviamo al punto interessante: dopo l’ultima vittoria elettorale Vladimir Putin ha dichiarato di «non voler, per ora, cambiare la Costituzione russa». Insomma, chi si è stupito per il carattere poco democratico dello schema Putin-Putin-Medvedev-Putin-Putin, entro i prossimi sei anni rischierà di rimanere ancora più sorpreso per l’immensa fantasia costituzionale del «nuovo» presidente russo.
La pubblicità della polizia neozelandese è abbastanza curiosa, sicuramente atipica per una istituzione statale:
Il mercoledì 2 maggio il grande direttore d’orchestra russo Valerij Gergiev ha compiuto 65 anni. Quindi per il post musicale di oggi ho scelto la suite sinfonica «Shahrazad» scritta dal compositore russo Nikolaj Rimskij-Korsakov nel 1888 e diretta – nel nostro caso specifico – da Gergiev a Salisburgo nel 2005.