In Minnesota il giudice federale ha respinto il ricorso degli atei che contestavano la presenza della frase «In God We Trust» sulle banconote e monete statunitensi. Secondo i ricorrenti il motto nazionale sarebbe incostituzionale in quanto viola il principio della libertà della fede religiosa. E, purtroppo, non è la prima volta che falliscono nella loro lotta giudiziaria contro quel anacronismo.
Io, da parte mia, spero ancora di fare in tempo a vedere il mondo — almeno quello occidentale — libero da ogni genere di simbologia religiosa negli spazi pubblici. Restino pure le chiese (tanto per me sono solamente degli edifici con un loro valore artistico più o meno alto), ma tutto il resto dovrebbe sparire: i simboli, le immagini, le divise da lavoro dei preti etc. Perché gli umani, essendo dotati della ragione, hanno il compito di comprendere il mondo e non rimanere degli eterni bambini riempiti di favole. Perché ogni religione è una favola, raccontata alla società-bambino per aiutarla a crescere con dei giusti valori e principi nella testolina. Ma nel XXI secolo la (o le?) società occidentale è ormai grandicella per continuare a vivere di favole. Dovrebbe ormai liberarsi delle religioni per non apparire rimbambita.
In questo senso, le mie speranze sono ancora molto legate a quanto succede — o può succedere — negli USA, uno dei più grandi esportatori del progresso degli ultimi decenni (anche se pure la società americana ha delle grandissime stranezze).
L’archivio del 2018 год
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Ah no, volevo scrivere questo:
Oggi la tastiera QWERTY compie 140 anni.
Il 27 agosto 1878 l’americano Christopher Sholes ottenne il brevetto per la sua macchina per scrivere con la disposizione dei tasti che oggi conosciamo come «QWERTY». Secondo una leggenda attualmente molto diffusa, l’unico obiettivo della invenzione di questo tipo della tastiera è la velocizzazione del processo di battitura. Mentre in realtà la disposizione dei tasti dalla quale è caratterizzata è dovuta anche al tentativo di minimizzare il rischio che i martelletti con le lettere più usate si incastrassero (venendo alzati uno dopo l’altro) durante il lavoro.
Secondo un’altra leggenda altrettanto diffusa, con il passaggio dalle macchine per scrivere ai computer, non sarebbe più necessario mantenere la fedeltà a QWERTY e si potrebbe passare a uno schema più comodo. Ma ora che siamo liberi dalle specificità meccaniche del nostro strumento per battere i testi, possiamo anche ammettere la grande verità. La tastiera più comoda è quella alla quale siamo abituati. La maggioranza degli utenti è abituata alla QWERTY, e allora lasciamoli concentrarsi sui contenuti e non sulla posizione delle dita sui tasti.
P.S. Conosco un signore di Mosca molto abituato alla sua tastiera per il desktop del 1994. Egli dice di essere pienamente soddisfatto della forma fisica dei tasti e del loro movimento durante la battitura. Tanto soddisfatto da portare l’amatissima tastiera in tutti i suoi viaggi personali e lavorativi. Quindi negli ultimi 24 anni ha già dovuto modificare tre volte l’attacco del cavo per continuare a usarla.
Oggi il grande compositore e direttore d’orchestra Leonard Bernstein avrebbe compiuto 100 anni. Sarebbe una buona occasione per riascoltare la sua fantastica «West Side Story»! E, oltre a tale banalissima considerazione, ricorderei Bernstein con qualche sua opera meno nota, per esempio «Touches» del 1981.
Una delle malattie mentali più gravi della umanità è dividere il cielo in costellazioni ufficiali. In sostanza, qualcuno ha scelto delle stele a caso, le ha unite con delle linee rette a caso e ha assegnato al risultato dei nomi a caso. Scrivo «a caso» perché non mi è assolutamente chiaro il motivo per il quale esattamente quelle scelte debbano essere accettate da tutti come le uniche possibili (qualora fosse proprio necessario dividere il cielo in costellazioni).
Per fortuna, non sono l’unico ad avere dei dubbi. Il bellissimo progetto «Figures in the Sky» illustra i modi in cui i vari popoli hanno guardato e suddiviso in «costellazioni» il cielo nel corso della storia.
Purtroppo non è una barzelletta. Ieri il Kalashnikov Group ha presentato il concept della propria supercar elettrica CV-1 che dovrebbe fare la concorrenza alla Tesla. La concorrente della Tesla sarebbe questa:
Vediamo anche la parte posteriore:
Le altre foto possono essere contemplate sulla pagina ufficiale della azienda. Io, invece, mi limiterei a constatare altri due aspetti importanti:
1. Quella che vedete sulla foto è la carrozzeria di una Izh-2125 «Kombi» (si veda il mio vecchio articolo sul modello) con un livello di ammodernamento tipico di un box privato (conosco degli artigiani capaci di fare molto più delle cornici cromate e le luci nuove).
2. Per fare la concorrenza alla Tesla ci vogliono tanti soldi di colore verde, tante tecnologie moderne, tanti ingegneri aggiornati e fantasiosi, il clima di concorrenza stimolante sul mercato di interesse. Cioè un insieme di fattori che «Kalashnikov» non ha mai avuto nel corso della propria storia. Il Kalashnikov Group sopravvive grazie agli ordini statali, produce prevalentemente le armi coppiate decenni fa dai modelli analoghi occidentali e non è abituato al concetto stesso della concorrenza. Di conseguenza, il l’annuncio sulla imminente produzione di una supercar elettrica è in realtà solo un ennesimo tentativo di estorcere degli finanziamenti a fondo perso dallo Stato.
Ora siete molto più aggiornati sulle innovazioni tecnologiche russe.
Come saprete, teoricamente non è possibile espellere dal territorio di uno Stato le persone apolide. A meno che non si trovi un altro Stato disposto ad accogliere quella persona. Quindi l’espulsione di Jakiw Palij è una rara e giusta occasione di fare i complimenti a Donald Trump per il lavoro diplomatico svolto.
Ed è una buona occasione per constatare che pure Trump, nato e formato negli USA, non è del tutto privo a quei principi di libertà che stanno ostacolando molte delle sue iniziative presidenziali.
Diciotto anni fa, il 20 agosto 2000, l’ultimo imperatore russo Nikola II, la sua moglie Aleksandra e i loro cinque figli sono stati canonizzati dalla Chiesa ortodossa russa come portatori della passione. Non avrei mai ritenuto necessario scriverne se questa non fosse stata una delle prime importanti «operazioni congiunte» politiche tra la Chiesa ortodossa russa e lo Stato nella storia recente della Russia.
Negli anni ’90 del XX secolo, cioè nel periodo dei preparativi all’evento, la sola idea della monarchia era per nulla popolare nella società russa (divisa in nostalgici del periodo comunista e i sostenitori della democrazia). Inoltre, i 22 anni e mezzo di regno di Nikola II ci forniscono ben pochi elementi per considerarlo – almeno dal punto di vista della morale contemporanea – un santo. Repressioni politiche, guerre, il rammarico più volte espresso per i troppi pochi manifestanti uccisi dalla polizia, il quasi totale disinteresse per propri obblighi «lavorativi» da monarca, la passione per la caccia tale da sparare a ogni animale o uccello incontrato per strada (ebbene sì, i cani e i gatti compresi), una visione particolare della Chiesa ortodossa tanto originale da autoproporsi (all’inizio del ’900) come candidato alla posizione di Patriarca, etc. L’unico pregio indiscutibile: fu un buon padre di famiglia. Ma questa ultima caratteristica non proprio sufficiente per diventare un santo.
Insomma, negli anni ’90 i vertici politici della Russia non avevano il coraggio di riproporre almeno in una minima parte il quadro socio-politico precedente alla rivoluzione (oggi, invece, hanno il coraggio: tra sei anni potremmo avere di nuovo uno zar, indovinate il nome). Quindi avevano deciso di mascherare la riabilitazione dell’istituto stesso della monarchia con la canonizzazione dell’ultimo monarca. E il pretesto «tecnico» capace di soddisfare almeno la metà della popolazione consiste proprio negli ultimi sedici mesi della sua vita. Cioè nel come ha affrontato il periodo più pesante della sua vita: i mesi sotto l’arresto e la morte. Nei suoi diari, infatti, possiamo leggere che Nikola II destituito affronta tutte le difficoltà senza cattiveria o/e sete di vendetta, quasi con umanità e umiltà, accettando tutto come la volontà di colui in chi credeva.
Di conseguenza, è stato canonizzato non per la vita condotta in modo giusto e non come un martire (ucciso dai creatori di un regime politico ancora più disumano del suo), ma come un portatore della passione. Quest’ultima espressione, utilizzata prevalentemente dalla Chiesa ortodossa, indica le persone che affrontano la morte sofferente dalla mano dei loro nemici non per la fede, ma per cattiveria, cupidigia o perfidia.
L’intenzione di fare un primo passo verso la riabilitazione della monarchia è inoltre coincisa con la volontà di canonizzare una vittima esemplare (oppure è meglio dire simbolica?) del regime comunista. In tal senso la scelta è stata fatta bene: in seguito alle turbolenze politiche del 1917 l’imperatore Nikola II ha perso molto più di qualsiasi altro russo.
Una bella pubblicità della Toyota. Avevo temuto una finale in stile Van Damme, ma per fortuna hanno evitato.
Giovedì, all’età di 76 anni (pensavo che ne avesse di più), è morta Aretha Franklin. Non posso non ricordarla nella mia rubrica musicale.
Metto due canzoni scelte quasi a caso.
«I Say a Little Prayer»
«Think» (la quale vi è sicuramente nota per almeno un motivo):