Non so se tutti se ne siano accorti, ma alla fine di aprile in Ucraina l’esercito russo ha iniziato a utilizzare i missili anti-nave P-800 Oniks anche contro gli obiettivi di terra (lo sottolinea anche il statunitense Institute for the Study of War). Il 30 aprile, per esempio, tali missili sono stati utilizzati per colpire l’aeroporto di Odessa.
Il fenomeno stesso dell’utilizzo improprio di quei missili ci porta a una conclusione molto semplice e logica: l’esercito russo sta finendo le scorte di altri tipi di missili. Sta finendo quelle scorte anche perché all’inizio della invasione — essendo convinto di vincere in tempi brevissimi — ha utilizzato i missili «normali» con una «generosità» spensierata: probabilmente vi ricordate, per esempio, dell’utilizzo tecnicamente inspiegabile dei missili ipersonici Kh-47M2 Kinzhal.
Pensate che questa conclusione sia un fenomeno positivo, una possibile fonte di speranze positive? Non illudetevi.
Ora, per produrre i nuovi esemplari dei missili più adatti alla tipologia della guerra in corso ci vogliono i soldi (per ora non mancano), il tempo (la sua disponibilità dipende dalla velocità di rifornimento dell’esercito ucraino) e alcune componenti di produzione estera (potrebbero scarseggiare a causa delle sanzioni occidentali). Data la tendenza di condurre questa guerra con gli strumenti della metà del secolo scorso (i carri armati nel XXI secolo inoltrato!) potremmo dunque presumere due modi di alimentare la continuazione della guerra stessa: provare a schiacciare il «nemico» con la massa umana o utilizzare le armi di distruzione di massa.
La prima opzione viene di fatto confermata dalle voci degli ultimi giorni. Quelle voci, in base alle quali Putin sarebbe intenzionato a dichiarare ufficialmente guerra alla Ucraina il 9 maggio e dare quindi il via alla mobilitazione di massa.
La seconda opzione preoccupa molte persone da diverso tempo. Il rischio esiste, ma i suoi effetti potrebbero rivelarsi di importanza locale (ma il fatto stesso rimarrebbe grave).
Purtroppo, questa guerra non avrà mai dei periodi noiosi.
L’archivio della rubrica «Russia»
Ora che l’imprenditore russo Oleg Tinkov sta diventando noto nel mondo anche per delle questioni diverse da quelle sportive, io – da commentatore autoproclamato delle notizie russe – mi trovo in una situazione un po’ difficile. Da una parte, non posso non ricordare che la banca Tinkoff è stata, nel corso di tutta la sua storia (2006–2022) una delle più imbroglione della storia russa recente (solo negli ultimi sei anni circa ha iniziato a emmettere delle carte interessanti, mentre i profitti principali sono sempre stati fatti con le clausole abbastanza onerose e mal formulate, contenute nel «testo scritto con i caratteri minuscoli» dei contratti di prestiti alle persone fisiche). Dall’altra parte, capisco che in uno Stato normale Tinkov (il fondatore della suddetta banca e di tantissime altre attività) avrebbe potuto diventare un super miliardario ammirato da tutti, un po’ come il suo amico Richard Branson. Perché, in sostanza, è un self-made man che nel corso di oltre tre decenni ha saputo costruire diverse aziende di successo e venderle al momento giusto. È un personaggio molto eccentrico, spesso poco lineare nei suoi comportamenti pubblici, a volte antipatico, ma spesso interessante.
In Russia un imprenditore non può esistere senza avere dei rapporti più o meno stretti con il potere. Più è grande l’imprenditore, e più e grande il rappresentante del potere locale o statale che lo «cura». Se il rapporto viene meno, l’imprenditore cessa di esistere almeno nella sua veste professionale (se è molto fortunato). Quindi anche Oleg Tinkov non poteva non avere quei rapporti, ma nelle condizioni della guerra con l’Ucraina mal riuscita (per gli obiettivi di Putin), quei rapporti erano naturalmente cambiati. Immagino facilmente i motivi: la guerra rivelatasi lunga e la necessità di mascherare gli effetti reali delle sanzioni occidentali richiedono soldi; gli imprenditori hanno iniziato a rendersi conto del fatto che nel contesto delle sanzioni internazionali le attività ei patrimoni non si salvano solo grazie ai buoni rapporti con lo Stato russo.
Quindi, probabilmente, Oleg Tinkov si era reso conto di non poter difendersi su due fronti. Il 19 aprile – il 55-esimo giorno della guerra – si era «improvvisamente illuminato» e si era per la prima volta espresso contro la guerra: molto logicamente si era schierato con l’Occidente (che alla fine vincerà) e non con Putin (che con questa guerra prima o poi perderà tutto). Si è schierato, nonostante fosse arrivato – nel 2020 – a incoronare Putin come imperatore.
Di conseguenza, dopo quanto è successo non posso escludere che sia stato realmente costretto «dal Cremlino» a vendere la propria quota della banca a un prezzo bassissimo (il 3% del valore reale, come sostiene lui). Ma almeno ora è libero da ogni forma di prudenza nei rapporti con lo Stato russo. E io spero tanto che faccia in tempo a sfruttare questa libertà.
So benissimo che in questo periodo milioni di persone in giro per il mondo aspettano la (e sperano in) morte di Vladimir Putin. In astratto sarebbe un sentimento negativo, ma nella situazione creatasi capisco benissimo chi lo prova. Di conseguenza, capisco benissimo anche tutti coloro che si apprestano a credere facilmente in un imminente intervento chirurgico che dovrebbe impedire a Putin di esercitare almeno temporaneamente il suo potere. La speranza e la gioia (anche quelle segrete) non devono però renderci ciechi.
La notizia sul presunto intervento chirurgico a Putin – ripresa anche da alcuni giornali italiani tradizionalmente seri – è stata diffusa per prima da «The Sun», un giornaletto che da decenni non si riesce proprio a sospettare di una minima serietà. A sua volta, «The Sun» ammette di avere appreso la notizia dal canale telegram russo «General SVR»…
Io a questo punto rido come un matto impazzito. Rido perché conosco da anno il suddetto canale. Esso è di proprietà di un presunto ex generale dei servizi segreti esteri anonimo che si specializza nell’accontentare i vari teorici della cospirazione e dei burloni. I contenuti del canale riguardano solitamente delle voci esageratamente cupe (e spesso quasi scandalistiche) sul governo, sul coronavirus e sul presidente russo, venendo comicamente intervallati dai messaggi pubblicitari su come fare soldi e promuoversi sul web. In molti sospettano che il reale proprietario del canale sia il noto frick mediatico Valery Solovei: un ex professore universitario di relazioni pubbliche che si guadagna da vivere con le interviste, le conferenze e le pubblicazioni proprio di quel genere.
Insomma, si tratta di una fonte attendibilissima, proprio come «The Sun».
Detto tutto questo, devo ammettere che noi non abbiamo delle informazioni certe e verificabili sullo stato di salute di Vladimir Putin. A tutti i dettatori della storia sono state attribuite, in varie fasi della loro attività, delle malattie più o meno gravi. In alcune occasioni quelle voci si erano rivelate azzeccate, mentre in alcune altre no. Con Vladimir Putin succederà la stessa cosa.
C’è chi comunica, giustamente, che in Russia i prezzi stanno crescendo velocemente, i beni di produzione occidentale iniziano a sparire dal commercio e i negozi di marca (delle aziende che hanno deciso di lasciare il mercato russo) chiudono in massa; la produzione di molti prodotti «russi» si sta fermando o calando di qualità perché stanno finendo le scorte delle numerose componenti di produzione occidentale. Tutto questo è vero: sono le conseguenze della guerra in Ucraina in parte logiche e prevedibili e in parte preannunciate dalle aziende stesse. Prima o poi scriverò in dettaglio degli esempi più interessanti.
Allo stesso tempo, però, in pochi comunicano che nei negozi russi stanno iniziando a comparire anche dei prodotti nuovi. Già ora posso fare due esempi… diciamo interessanti.
L’esempio n. 1: in alcuni negozi di Ekaterinburg sono comparsi – in vista del Giorno della Vittoria (9 maggio) – dei camion-giocattolo con la ormai famosa «Z». nella descrizione ufficiale di questo giocattolo si sostiene: «Il bambino sarà entusiasta di questi veicoli. Giocando con questi mezzi di trasporto, il ragazzo si inventerà molti scenari eccitanti». Ecco la foto di questi giocattoli di merda:
L’esempio n. 2… Un avviso importante: al fine di evitare delle situazioni imbarazzanti, accertatevi di essere soli davanti allo schermo. Continuare la lettura di questo post »
Segnalo un articolo che molto probabilmente non avreste trovato da soli (oppure trovato con un certo ritardo): l’indagine della «Mediazona» su chi siano stati quei militari russi la cui morte nella guerra in Ucraina è [più o meno] ufficialmente nota al giorno d’oggi. Metto il link alla versione inglese dell’articolo.
Il testo riporta tanti dati: sono descritti in un modo abbastanza comprensibile e illustrati con tanti grafici. L’indagine in generale mi è sembrata fatta abbastanza bene.
Se vi dovesse capitare, in questi giorni, di leggere della «lista dei corrotti e dei guerrafondai» russi (quasi sei mila nomi) stilata dai colleghi di Alexey Navalny al fine di segnalare all’Occidente i nomi dei futuri destinatari delle sanzioni personali, non illudetevi. Per ora si tratta di una lista molto, molto provvisoria. Infatti, anche una lettura non particolarmente attenta di quella proposta consente di notare una serie di imperfezioni. Per esempio, alcuni nomi vengono ripetuti in più sezioni della lista. Alcuni nomi, poi, evidentemente sono stati inseriti in fretta e per sbaglio (perché sono delle persone normali che tempo fa hanno avuto qualche forma di contatto con qualche organo di propaganda russa). Alcuni nomi apparentemente evidenti, al contrario, mancano.
Però si tratta dell’inizio di un lavoro importante. Un lavoro sulla ricerca di quelle persone che devono essere non «riprese» o «punite», ma fermate. Fermate per rendere impossibile il loro sostegno alla guerra in Ucraina e, quindi, avvicinare più possibile la fine della guerra stessa.
Purtroppo, nel nostro mondo imperfetto molto spesso si incontrano tra loro le persone che non sanno scrivere le notizie e le persone che non sanno leggere le stesse notizie…
Per esempio: oggi molti giornali italiani hanno scritto del fatto (fatto?) che l’ENI starebbe considerando l’opzione di rispettare il decreto di Putin e pagare quindi il gas russo in rubli. Di questa notizia, però, bisogna scrivere e capire una cosa semplicissima: l’ENI indipendentemente dalla decisione presa, NON pagherà il gas russo in rubli. La spiegazione di tale fenomeno curioso non è difficilissima.
Infatti, bisogna ricordare che:
– il decreto presidenziale di Putin sui pagamenti in rubli è un tentativo di cambiare unilateralmente il contratto firmato dalle aziende private (contratto che, tra l’altro, prevede anche la valuta di pagamento) con una norma di rango inferiore a una legge ordinaria russa: quindi dal punto di vista puramente giuridico quel decreto è la carta igienica sporca;
– di conseguenza, l’ENI ha tutto il diritto di ignorare quel decreto, continuare a pagare in euro come ha sempre fatto e, in caso di problemi, andare dal giudice e vincere la causa;
– naturalmente, nella vita reale l’ENI ha bisogno (per ora) del gas russo, quindi sta cercando delle soluzioni che non compromettano la continuità della sua attività;
– lo stesso decreto di Putin stabilisce, in breve, che lo stesso Gazprom apre dei conti nella propria banca per ogni azienda-cliente non russa, riceve i pagamenti in euro o in altre valute (come ha sempre fatto prima della guerra in Ucraina) su quei nuovi conti e poi converte la valuta ricevuta in più passaggi (ma ormai senza alcuna partecipazione della azienda-cliente) in rubli;
– quindi «pagare in rubli» significherà, per l’ENI, versare gli euri su un nuovo conto della Gazprombank.
Basta, tutto qui.
Però la propaganda russa avrà l’occasione per dire che «l’ENI è stata costretta a pagare in rubli».
Abbastanza prevedibilmente sulla Wikipedia è comparso l’articolo – disponibile già in 25 lingue – dedicato alla ideologia chiamata «rascismo». Metto il link alla versione inglese dell’articolo perché quella italiana non esiste ancora (penso che si tratti solo di una questione di tempo), mentre quella russa viene puntualmente cancellata o seriamente danneggiata, nei suoi contenuti, dai personaggi anonimi legati indovinate a chi.
Il suddetto articolo può e deve essere ampliato perché parla di un fenomeno ampio e importante (purtroppo) per la realtà socio-politica russa e internazionale. Ma già ora potete leggere la sua prima versione: è utile per farsi una idea generale dell’argomento.
L’unica cosa che in un certo senso mi ha sorpreso nell’articolo è la proporzione dello spazio dedicato alla figura di Aleksandr Dughin. Ammetto che si tratta di un personaggio che mi è fortemente antipatico per le sue idee – ma che deve comunque essere menzionato in quel contesto – ma allo stesso tempo non posso non riconoscere che nei suoi scritti e discorsi orali la forma prevale fortemente sui contenuti dal punto di vista quantitativo e qualitativo. In sostanza, è tecnicamente un buon oratore con pochi e mal approfonditi concetti teorici. Beh, la sproporzione potrebbe finire a essere superata in seguito.
Ora lascio tutti gli interessati alla lettura.
P.S.: ho scelto bene il giorno per scriverne…
Anche oggi provo ad aggiungere qualche elemento interessante al ritratto di Vladimir Putin…
Non so se vi sia capitato di leggerlo da qualche parte, ma ieri Putin ha ufficialmente concesso alla 64a Brigata motorizzata indipendente (una formazione tattica dell’esercito) il titolo onorario di «Brigata delle guardie».
Il testo del decreto presidenziale, tra l’altro, dice:
Per l’eroismo e il coraggio di massa, la fermezza e l’audacia dimostrati dal personale della brigata in azioni di combattimento per difendere la Patria e gli interessi dello Stato nei conflitti armati, risolvo: assegnare alla 64a Brigata Motorizzata Indipendente il titolo onorifico di «Brigata delle Guardie» e d’ora in poi di chiamarla 64a Brigata Motorizzata Indipendente delle Guardie.
Molto probabilmente sarete sorpresi a scoprire che si tratta della Brigata che ha operato sul territorio di Bucha prima del ritiro delle truppe russe dai territori vicini a Kiev.
Se avete letto e visto almeno una minima parte delle testimonianze arrivati da Bucha dall’inizio di aprile, ora sapete in cosa consistono – secondo Vladimir Putin – l’eroismo, il coraggio, la fermezza e l’audacia.
Ehm… so che in Italia esistono [ancora] dei putiniani convinti…
No, ci ho ripensato: non ho proprio voglia di vedere o sentire la loro reazione…
Ora che più o meno tutti hanno letto la (o sentito parlare della) intervista di Mario Draghi pubblicata ieri, posso dire che nel mondo c’è almeno una persona in più che ha finalmente capito tutto. Perché questa frase è un ritratto sintetico ma preciso di Vladimir Putin:
Comincio a pensare che abbiano ragione coloro che dicono: è inutile che gli parliate, si perde solo tempo.
Dopo averla letta, mi sono improvvisamente ricordato delle parole di Angela Merkel sullo stesso personaggio, dette – come sostengono i giornalisti – a Barak Obama: «non sono sicura che Putin abbia mantenuto il contatto con la realtà». Quel commento era stato pronunciato all’inizio di marzo del 2014, dopo una conversazione telefonica tra Merkel e Putin dovuta alla invasione russa della Crimea (la quale era in corso proprio in quel periodo).
Aspettiamo altri otto anni per la prossima illuminazione? O acceleriamo un po’ il ritmo?