A volte le buone notizie ci giungono in un modo inatteso: per esempio, dai comunicati stampa apparentemente di routine. Così, ieri ho scoperto che i vertici militari russi hanno lo stesso coraggio e la stessa attenzione ai dettagli di Putin.
Il Ministero della «Difesa» russo ha comunicato che sabato il ministro Sergei Shoigu avrebbe visitato le posizioni militari russe in Ucraina, avrebbe «sorvolato le aree di schieramento delle truppe» e avrebbe, in prima linea, «parlato con i militari russi e li ha ringraziati per il loro esemplare svolgimento dei compiti di combattimento». Un video che accompagna il comunicato stampa mostra Shoigu in volo su un elicottero…
Ma cosa si vede dall’oblò dell’elicottero? Si vede questo:
L’erba di colore verde estivo? A metà dicembre in Ucraina? Seriously?
Ma noi dobbiamo affrontare tutto in un modo scientifico. Proviamo a vedere che tempo fa ora, in questi giorni, nelle regioni del Donbass «visitate».
Il tempo a Donec’k:
Il tempo a Luhans’k:
Insomma: come al solito, l’unica cosa che sanno fare è mandare al fronte un po’ di massa umana. Ma non andarci in prima persona.
L’archivio della rubrica «Russia»
In tanti hanno notato la cancellazione di due grandi apparizioni tradizionali di fine anno di Vladimir Putin: la conferenza stampa (chiamata anche «linea diretta», viene cancellata per la prima volta dal 2001) e il discorso all’Assemblea federale (cioè alle Camere del Parlamento riunite; tale messaggio annuale è in realtà previsto dalla Costituzione). Alcune fonti dei giornalisti russi avrebbero detto che si tratta di una scelta personale di Putin.
Effettivamente, pure Putin comprende benissimo che l’argomento centrale di entrambi gli eventi avrebbe dovuto essere la guerra in Ucraina: un argomento sul quale non si ha alcunché di positivo da dire. Il carattere negativo della situazione corrente non si limita solo alla avanzata dell’esercito ucraino o alla perdita dei «nuovi territori russi» annessi alla fine di settembre. L’aspetto più difficile – e scioccante per Putin e i suoi collaboratori – è l’inizio degli attacchi ucraini agli aeroporti militari russi nella profondità del territorio tradizionale russo. In sostanza, Putin non saprebbe spiegare perché, nonostante anni di dichiarazioni «fighe», non è capace di «difendere» la Russia dagli attacchi militari concreti. E non saprebbe rispondere a tante altre domande sull’andamento della guerra (si sospetta, abbastanza logicamente, che la classica risposta putiniana «è tutta colpa dell’Occidente» non sarebbe più sufficiente). L’ultimo argomento a favore della cancellazione dei due eventi è la paura per le nuove «azioni di sabotaggio» da parte della Ucraina: si intendono altri attacchi simili a quelli contro gli aeroporti o alla esplosione del ponte di Crimea.
Considerato quanto scritto, non so quanto sia corretto affermare che Putin sarebbe sparito. È meglio dire che si è nascosto da tutti gli impegni che lo costringerebbero a non essere la fonte delle notizie positive. Questo atteggiamento non è assolutamente nuovo per lui. Anzi, è abituale.
Si vede che ieri da qualche parte ha nevicato veramente: i leader del G7, a termine del vertice, hanno diffuso una dichiarazione per nulla «diplomatica» sulla guerra in Ucraina dove, in particolare, leggiamo:
We will hold President Putin and those responsible to account in accordance with international law.
Nella dichiarazione non viene (ancora) specificato in quale modo Putin e suoi complici verranno giudicati (penso che ormai si possa anticipare tale termine), ma l’intenzione è stata finalmente formulata. Sulla pratica questo potrebbe significare da oggi Putin e gli altri alti dirigenti dello Stato russo farebbero bene a non uscire dai confini federali: se dovessero uscire, molto probabilmente non avranno più l’occasione di farvi il rientro. Almeno per la scelta e con i mezzi propri.
Certo, ci ricordiamo bene che Putin – in tutta la sua carriera presidenziale, anche prima della pandemia e della guerra – ha viaggiato pochissimo all’estero. Ma ora non potrebbe andare nemmeno dai suoi finti amici asiatici. Mentre, per esempio, il ministro degli Esteri non potrà più andare alle varie assemblee internazionali per raccontare ai colleghi e ai giornalisti delle «buone intenzioni» dello Stato russo.
Di conseguenza, ora posso cambiare l’oggetto delle mie speranze: mentre prima speravo che qualche collaboratore di Putin si decida di liberare l’umanità dalla sua presenza, ora spero che qualche Capo di Stato o di Governo trovi un modo furbo per fare uscire Putin dalla sua tana…
Nella vita quotidiana di ogni Stato capitano tantissime piccole storie delle quali difficilmente scriveranno i giornali stranieri. Sono le persone private (come me, per esempio) a raccontare al mondo il meglio (ok, diciamo il più interessante) di ciò che i giornali ignorano. Ecco l’ennesimo esempio…
Nella città russa di Tver – 178 chilometri a nord-ovest da Mosca – su uno degli alberi di Capodanno (che in Italia si chiamerebbero «di Natale») è comparso, la sera del sabato, un addobbo un po’ particolare:
Il «decoro» era fatto di carta e, in base a una delle scritte, raffigurava Continuare la lettura di questo post »
Pure in Europa in tanti hanno scritto che «è stata liberata Brittney Griner». Tale interpretazione curiosa è probabilmente dovuta al fatto che la condanna della Griner per il traffico internazionale di droga in Russia è un fatto relativamente recente e giustamente mediatico da vari punti di vista.
Nel contesto dello scambio di prigionieri tra la Russia e gli USA è però più corretto cambiare l’accento: la vera notizia consiste nel fatto che «finalmente» è stato liberato Viktor Bout. Infatti, la sportiva americana era «solo» una prigioniera, sequestrata dalla Russia allo scopo di scambiarla, prima o poi, per qualche personaggio importante e/o utile trattenuto in Occidente (una cosa praticata da anni o decenni, se consideriamo anche il periodo sovietico). Sono ovviamente contento per la sua liberazione, ma allo stesso tempo capisco che si tratta di una notizia relativamente secondaria.
Viktor Bout, fino al suo arresto nel 2008, era un commerciante informale (utilizzerei questo termine neutrale) abbastanza fortunato delle armi russe in giro per il mondo. Chiunque può trovare su internet la descrizione delle sue attività in tale ambito, ma nessuno – tra i comuni mortali – sarebbe ora in grado di dare una risposta concreta e documentata a una domanda: perché la Russia ha insistito, anche a quattordici anni di distanza, per riaverlo indietro dagli USA? Sicuramente Bout ha già raccontato tutto quello che sapeva o poteva logicamente immaginare sul traffico delle armi russe (ed è per questo che non sarebbe più utile agli USA). Sicuramente i suoi contatti professionali hanno perso – durante gli anni passati in carcere – una buona parte della loro attualità (ed è per questo che non sembra un personaggio facilmente utilizzabile da subito). Dopo tanto tempo di assenza dal mercato sarebbe inutile tentare di impedirgli di parlare agli inquirenti americani (per il motivo che ho già scritto) o sperare che possa essere ancora un agente che ispira fiducia nelle controparti (qualcuno sospetterà di parlare con un doppio agente).
Però so due cose: 1) l’attuale regime russo non mai avuto problemi di abbandonare al proprio destino gli agenti ormai inutili; 2) nel contesto della guerra in Ucraina il regime di Putin ha bisogno di acquistare le armi (o le componenti) moderne di produzione estera. Di conseguenza, consiglio di non dimenticare il nome di Viktor Bout. Se dovesse restare in vita dopo il ritorno in Russia, prima o poi salterà fuori da qualche parte.
Nei giorni scorsi avete sicuramente letto che l’UE e i membri del G7 hanno finalmente deciso di imporre un prezzo fisso al petrolio russo. Tale prezzo inizialmente sarà di 60 dollari al barile, ma la somma è in realtà solo un dettaglio poco significativo.
Infatti, dal punto di vista economico l’idea del prezzo fisso non è proprio il massimo. Capisco benissimo l’intenzione di colpire il regime politico russo e il tentativo di non finanziare la guerra, ma il mercato del petrolio rimane sempre globale. Di conseguenza, il prezzo fisso viola le leggi del mercato, aumenta il costo dell’energia e permette agli acquirenti di guadagnare sulla aggressione russa (qualcosa del genere sarebbe successo anche con tutte le altre merci di questo mondo). Mi sembra che sarebbe molto più giusto e sensato permettere alla Russia di vendere qualsiasi quantità di petrolio al prezzo di mercato, ma a una condizione.
Tutto il petrolio russo dovrebbe essere venduto attraverso un fondo speciale, che stabilirà la redditività approssimativa della sua estrazione (più o meno 30 dollari al barile). Tale importo andrebbe trasferito sul conto delle compagnie petrolifere che hanno estratto il petrolio venduto. Altri 5 dollari ricavati dalla vendita di ogni barile andrebbero messi da parte in un conto speciale: la Russia potrà spendere il denaro accumulato su quel conto per l’acquisto di qualsiasi bene umanitario, per esempio medicinali. Tutto il rimanente dalla vendita del petrolio potrebbe essere trasferito alla Ucraina in qualità del risarcimento per i danni della guerra.
Facciamo un esempio pratico. Supponiamo che il normale prezzo di mercato di un barile del petrolio Urals sia di 65 dollari: l’Ucraina riceverà 30 dollari per ogni barile venduto dalla Russia. Si tratterrebbe non solo di una giustizia economica, ma anche di quella psicologica: i residenti del Cremlino osserveranno, con terrore e disperazione, che ogni barile venduto sta aiutando l’Ucraina e non la guerra.
Ovviamente è una soluzione meno facile di quella del prezzo fisso (ma le soluzioni facili funzionano?) e almeno in parte raggirabile (ma lo è pure quella del prezzo fisso), ma può essere in qualche modo provata.
Purtroppo, non sono (ancora) un economista di fama mondiale, ahahahahaha
A volte mi capita venire a conoscenza di ricerche sociologiche/statistiche importantissime, ma poco ovvie per una buona parte dei lettori. Meno male che qualcuno ha una fantasia sufficiente per concepirle e condurle.
Oggi non riesco proprio a trattenermi dal condividere con voi i risultati dell’ultima ricerca del genere che mi è capitato di scoprire.
Ebbene, secondo l’agenzia russa «Sotsialnye seti» [«Social Networks» in russo] nel 2022 gli utenti di lingua russa dei social network hanno pubblicato diverse decine di milioni di messaggi con parolacce. Il giorno con il maggior numero di tali messaggi – 375.000 – è il 27 febbraio. Le pubblicazioni di cui sopra sono state contate sui seguenti social networks: VKontakte, Odnoklassniki, Facebook, Instagram, Twitter, YouTube, Telegram, TikTok, Ya.Zen e LiveJournal. Non è stata presa in considerazione la geolocalizzazione degli autori dei post, ma solo la lingua delle pubblicazioni.
L’uso delle parolacce nelle pubblicazioni sui social ha raggiunto il suo picco alla fine di febbraio – quando è iniziata la guerra in Ucraina –, ma in totale nel corso di quel mese ci sono stati 6,9 milioni di post con le parolacce. Nel mese successivo – marzo – la quantità dei post del genere è salita a 8,8 milioni.
Per il mese di aprile sono stati contati 7,7 milioni di post contenenti parolacce: i picchi si sono registrati nei giorni del 4, del 6 e del 14 aprile: quando sono state diffuse le notizie degli omicidi a Bucha, della morte del leader del partito russo LDPR Vladimir Zhirinovsky (so che negli ultimi trent’anni molti di voi hanno sentito di quel personaggio) e dell’affondamento dell’incrociatore missilistico russo «Moskva».
Tra i mesi di maggio e agosto il numero dei post con le parolacce è variato tra i 6,3 milioni e i 6,9 milioni. A settembre sono stati pubblicati 6,4 milioni di post di questo tipo, di cui 250.000 il 21 settembre: il giorno in cui è stata annunciata la mobilitazione «parziale» dei civili. Dopo l’esplosione del ponte di Crimea, l’8 ottobre, gli utenti hanno pubblicato 225.000 post contenenti le parolacce. In totale, nel mese di ottobre sono stati scritti 6,8 milioni di post di questo tipo.
Ecco, leggendo dei risultati che ha mostrato la suddetta ricerca mi sono sorpreso, in un primo momento, del fatto che la reazione popolare più massiccia si sia manifestata solo il 27 febbraio e non il 24 (il primo giorno della aggressione contro l’Ucraina). Ma poi mi sono ricordato la mia reazione personale e la reazione di alcuni miei amici: effettivamente, nei primi giorni della guerra le teste erano in un certo senso bloccate dallo shock. La gente non riusciva a credere che una ********* del genere fosse realmente possibile, sperava di svegliarsi dall’incubo, stava cercando di capire cosa ***** stesse succedendo e quanto possa essere duraturo e serio. Solo dopo alcuni giorni abbiamo riavuto la capacità di tradurre le emozioni – e le prime considerazioni – in frasi comprensibili, anche se piene di lessico poco serio.
Di conseguenza, il conteggio delle parolacce mi sembra un buon metodo quantitativo per valutare la reazione dei russi alla «politica» putiniana.
Pare che l’ormai tristemente noto pure in Italia «cuoco» Evgeny Prigozhin abbia realmente inviato al Parlamento europeo una custodia per violino con un grosso martello «insanguinato». Lo avrebbe fatto in risposta all’invito – fatto, appunto, da parte del Parlamento al Consiglio – di inserire «nell’elenco dei soggetti terroristici dell’Ue» anche il gruppo di mercenari Wagner fondato e diretto da Prigozhin stesso. In relativamente poco tempo dovremmo scoprire se il pacco sia 1) effettivamente stato spedito; 2) arrivato alla destinazione. Nel frattempo, posso constatare solo una cosa…
Parentesi aperta: (il martello si riferisce al video della presunta esecuzione della «pena capitale» a danni di un mercenario del gruppo Wagner che, una volta imprigionato in Ucraina, avrebbe espresso la volontà di combattere contro la Russia. Il mercenario in questione è stato poi riconsegnato alla Russia nell’ambito di uno scambio di prigionieri e in circostanze non del tutto chiare. Dopo il rientro è stato il protagonista del suddetto video. Non intendo mostrarvi il filmato, cercatelo voi se volete. Parentesi chiusa: ).
Volevo constatare una cosa banale: Evgeny Prigozhin (il quale non è l’unico personaggio del genere in Russia, ma sicuramente il più noto) non avrebbe mai potuto, con le forze proprie, organizzare un gruppo di mercenari (i mercenari sono vietati dalla legge russa) e finanziarlo di tasca propria (è uno di quegli «imprenditori» che in realtà sono bravi solo a prendere i soldi dallo Stato). Di conseguenza, ogni sua azione – comprese le spedizioni postali – va considerata come una azione dello Stato russo attuale. Purtroppo.
Ogni notizia sull’equipaggiamento dell’esercito russo nel 2022 rischia di essere comica. Oggi ne racconto molto brevemente un’altra (perché non so se e quando arrivi ai media italiani).
Gli studenti di una scuola tecnica multidisciplinare di Ostrogozhsk (nella regione di Voronezh) hanno realizzato – nel corso delle esercitazioni didattiche – dei fornelli (oppure è meglio scrivere delle stufe?) da trincea per i militari russi impegnati in guerra in Ucraina. Le materie prime sarebbero state fornite da alcune aziende locali. Eccole:
Gli oggetti altamente tecnologici sono già stati caricati su una Toyota e spediti al fronte.
È stato fatto un altro passo verso la vittoria (ma della parte per la quale tifo io ahahaha).
Dopo l’impiego dei carri armati degli anni ’70, i missili di qualsiasi epoca, i fucili della Prima guerra mondiale e i civili mobilitati «addestrati» in una settimana, l’esercito russo ha raggiunto un altro livello inimmaginabile.
Si è scoperto che nella regione di Samara gli istruttori della federazione locale di strikeball sono impegnati nell’addestramento degli uomini mobilitati per la guerra con l’Ucraina. Secondo Anton Ptichkin, il capo della federazione, gli istruttori hanno iniziato ad allenare i mobilitati in ottobre e da quel momento circa seicento persone hanno superato l’addestramento. Tra quelle persone addestrate sono compresi i soldati di una brigata di fucilieri motorizzati e di un del battaglione cosacco. È previsto che nelle prossime due o tre settimane la federazione riesca ad addestrare altri seicento uomini.
Intanto, si sostiene che i mobilitati usino, nel corso degli allenamenti, non solo le armi airsoft, ma anche le armi reali dell’esercito russo con cartucce a salve. L’addestramento si svolge nei campi di addestramento del 2° Esercito di Guardia Combinata e nella base della Federazione di Strikeball.
Naturalmente, non mi sto lamentando. Anzi, sono contento: un esercito del genere non sarà in grado non solo vincere una guerra di invasione, ma nemmeno condurla per troppo tempo.