Mi sono proprio dimenticato che ieri era centenario della liberazione del nostro pianeta dal personaggio che si usava chiamare Vladimir Lenin (dalla nascita si chiamava Nikolai Ulyanov, nel corso della attività rivoluzionaria ha preso il cognome-pseudonimo Lenin, nel 1926 gli ex compagni avevano iniziato a chiamarlo Vladimir). Ma noi non ci facciamo confondere dai trucchi e ci ricordiamo che ieri era il centenario della morte proprio di quel personaggio che creò un sistema statale dalle cui coordinate la Russia non è ancora uscita. Questo, tra le altre cose, significa che è politicamente giusto che la mummia di Lenin si trovi ancora sulla piazza principale del Paese e che davanti alla sua piramide si tengano parate militari (l’interramento deve essere la conseguenza dei cambiamenti non il finto inizio). Nell’inno sovietico si cantava «il grande Lenin ci ha illuminato la via» (e, per un certo tratto della storia, quella riga fu arricchita con «Stalin ci ha ispirato al lavoro e alle imprese»): questa è la via sulla quale la Russia sta ancora marciando — a volte cercando di svoltare verso una più moderno e ragionevole — ma sempre tornando indietro. Anche le persone che sanno poco o nulla della Russia contemporanea, se ne sono accorte il 24 febbraio 2022.
Lenin è sicuramente stato un grande, uno dei pochissimi personaggi che hanno realmente influito sul corso della storia nel XX secolo. Ma ci sono solo diversi tipi di grandezza: la grandezza nel Bene, la grandezza nel Male. Le idee sul Bene e sul Male dipendono dalla nostra visione del mondo. La mia visione personale mi porta a vedere il 21 gennaio come una giornata positiva.
L’archivio della rubrica «Russia»
La mattina del venerdì 19 gennaio, dopo l’attacco di un drone, è scoppiato un forte incendio in un deposito di petrolio nella città di Klintsy, nella regione di Bryansk. Secondo Alexander Bogomaz, il Governatore della regione, il drone di tipo aereo è stato soppresso dai mezzi di guerra elettronica del Ministero della «Difesa» russo, ma quando il drone è già stato distrutto, «è avvenuto il rilascio di una munizione sul territorio del deposito petrolifero di Klintsy» (N.B.: quella dell’ «avvenuto rilascio» è una espressione molto amata dalle autorità russe, la usano, per esempio, quando qualche aereo russo perde una bomba sul territorio russo oppure quando gli ucraini riescono a colpire qualcosa sempre sul territorio russo). L’area dell’incendio nel deposito petrolifero di Klintsy è stimata in 1000 metri quadrati, un treno dei pompieri è stato coinvolto nello spegnimento.
Chissà di chi era e perché andava in Russia quel drone… Voi avete qualche idea? Ahahahaha
La settimana scorsa, il media «Mediazona» ha pubblicato una raccolta antropologicamente interessante di storie di russi che si mutilano e si uccidono a vicenda nel corso – o in conseguenza – delle dispute sulla guerra in Ucraina. E ora, finalmente, ho la possibilità tecnica di segnalarvi la versione inglese di quel testo.
Questo testo informativo e un po’ spaventoso non è solo una preziosa cronaca della vita quotidiana russa nel 2024. Il testo mostra come il «grande tattico» Putin abbia raggiunto, con la sua guerra in Ucraina, altri due obiettivi «inattesi» di cui non si parla ancora spesso: in un modo molto abbastanza particolare ha rafforzato e approfondito la tanto citata unità nazionale e ha ucciso altri russi. Sì: è stato lui, Putin, a ottenere questi risultati. Rispetto alle sofferenze degli abitanti dell’Ucraina, possono sembrare qualcosa di non particolarmente grande e grave, ma dovremmo comunque ricordargli anche questo….
Comunque, leggete. L’articolo, sicuramente, elenca solo alcuni dei casi di cui i giornalisti sono venuti a conoscenza.
Al Ministero degli Esteri russo qualcuno ha deciso di raggiungere delle nuove vette del falso e ha pubblicato questo tweet (ancora disponibile):
Per chi non avesse capito, suggerisco: guardate le foto. Il tipo diversamente geniale che si occupa dei media ministeriali evidentemente vuole farci credere che quella mano fosse di Zelensky, ma allo stesso tempo ci fa sapere che quella mano è del militare fotografato da Zelensky stesso.
Il testo del tweet, invece, non ha alcunché di particolare. L’uso della parola «guerrafondai» (come delle altre accuse) da parte del Governo russo nei confronti degli altri è una scena comica che ormai non fa nemmeno ridere perché ripetutasi troppe volte; il personaggio chiamato con la parola «dio» non esiste veramente.
Il comandante in capo delle Forze armate ucraine Valery Zaluzhny dice che l’Ucraina avrebbe abbattuto un aereo di rilevamento e controllo radar a lungo raggio A-50 sopra il Mar d’Azov. Si tratterebbe di un colpo abbastanza pesante per l’esercito putiniano: questi aerei costano cifre folli pure in confronti di altre attrezzature militari e non vengono più prodotti.
Allo stato del 2022, erano in servizio solo tre A-50 e sei A-50U dell’esercito russo. Allo stesso tempo, bisogna precisare che non tutti quegli aerei possono volare: per esempio, uno di essi è stato gravemente danneggiato da un attacco di droni all’aeroporto militare di Machulishchi.
A questo punto una persona particolarmente ottimista (oppure idealista) potrebbe ipotizzare che in realtà l’Ucraina abbia già iniziato a ricevere e utilizzare come si deve i primi F-16. Mentre una persona abituata a operare con delle informazioni un po’ più certe potrebbe giungere a una conclusione più semplice, ma anche più logica: lo stesso Zaluzhny aveva detto che l’esercito ucraino non riesce a invertire a proprio fare l’andamento della guerra anche perché attualmente si trova in una condizione tecnologica simile a quella dell’esercito russo. Ecco, in attesa degli strumenti militari più avanzati, Zaluzhny procede, in qualche modo, a mettere in svantaggio l’esercito russo. È sicuramente una cosa positiva, ma, purtroppo, non sufficiente.
Quello di oggi è più uno slideshow che un video: illustra quale soluzione creativa (e, allo stesso tempo, una delle prime reali) hanno adottato le autorità della città russa di Belgorod per proteggere i propri concittadini dai bombardamenti ucraini intensificatisi nelle ultime settimane. Si tratta, prima di tutto, delle fermate dei mezzi pubblici:
Mi sa che ci metterete meno a vedere questo breve video che cercare o vedere una sequenza più o meno lunga di foto di qualità varia…
P.S.: rischio di dire una cosa poco popolare, ma mi dispiace per tutte le vittime civili innocenti di questa guerra inutile e criminale. Anche quando si tratta dei civili russi, si tratta di fatto delle persone uccise da Putin perché la guerra è stata una scelta sua.
Questa volta vi segnalo – in qualità della «lettura del sabato» – un testo, il cui argomento a prima vista potrebbe sembrare moralmente ripugnante… Mentre, in realtà, il contenuto è una rara e interessante testimonianza diretta della guerra in Ucraina raccontata da un ex-militante (non so se posso usare tale termine) che si era arruolato da volontario nell’esercito russo e ha passato un anno in guerra. Si tratta di un monologo su alcuni aspetti della organizzazione dell’esercito, della conduzione della guerra, delle conseguenze personali per chi ne è tornato vivo.
Se siete pronti ad affrontare un testo del genere (quello segnalato non è particolarmente lungo), provate a leggerlo.
Nella recente intervista a The Times l’ex premer britannico Boris Johnson ha definito come «total nonsense» e «Russian propaganda» le voci secondo le quali sarebbe stato egli a far saltare, nella primavera del 2022, le «trattative di pace» tra l’Ucraina e la Russia. Almeno in questo caso possiamo essere certi al 101% che Johnson dice la perfetta verità. Possiamo esserne certi per due motivi: uno logico e uno storico.
Il motivo logico per il quale possiamo credere a Johnson consiste nel fatto che all’epoca della propria permanenza alla carica del premier è sempre stato uno dei sostenitori più attivi e coerenti della Ucraina. Non poteva certo dare tutto quell’aiuto militare, diplomatico e morale e, allo stesso tempo, non capire quali fossero le reali intenzioni dello Stato russo. Non poteva non capire che almeno da parte russa non c’era in corso alcuna «trattativa di pace»: era appena stata fallita la missione iniziale di «conquistare Kiev in tre giorni», ma non c’era l’intenzione di accontentarsi di alcune zone dell’est ucraino. Prima o poi gli accordi sarebbero stati violati da Putin e la guerra sarebbe ripartita.
A quanto appena detto si collega il motivo storico per il quale possiamo credere a Boris Johnson: alle famose «trattative» la parte russa era rappresentata solamente da personaggi che non avevano alcun potere decisionale e/o peso rilevante nella struttura del regime putiniano. Le figure più note e «rilevanti» erano, infatti, l’ex ministro della cultura Vladimir Medinsky (un personaggio un po’ particolare, finge di essere uno storico senza esserlo e dichiara che la storia va scritta sulla base delle necessità dello Stato: viene regolarmente sfruttato per questa sua caratteristica) e il ben noto a voi Roman Abramovich (il cui ruolo è rimasto totalmente sconosciuto: non c’entra alcunché con la direzione dello Stato russo). Insomma, «il Cremlino» aveva affidato le trattative alle persone le cui firme, promesse, dichiarazioni e quant’altro valeva più o mento quanto la carta igienica sporca: in qualsiasi momento si poteva disdire tutto perché «creduloni ucraini, vi siete messi d’accordo con la gente che non decide nulla».
Di conseguenza, Boris Johnson non poteva far saltare una trattativa che nessuna delle parti aveva l’obiettivo di realizzare (l’Ucraina non ha mai avuto l’obiettivo di arrendersi di lasciare alla Russia i propri territori).
È bello quando i politici (almeno quelli quasi-ex) dicono la perfetta verità.
The Financial Times scrive che la Commissione europea, reagendo alle lamentele di alcuni giornalisti bielorussi di opposizione, ha invitato Google, Meta e altre grandi aziende tecnologiche ad aiutare i media indipendenti di Bielorussia e Russia promuovendo le loro storie nei feed di notizie e negli aggregatori più in alto rispetto alle pubblicazioni filogovernative.
L’idea potrebbe anche sembrare (almeno a me) utile e interessante, ma non so quanto sia realizzabile dal punto di vista pratico. Conosco molte persone, soprattutto tra gli oppositori russi fuggiti all’estero per motivi politici, capaci di stilare una lista molto ampia e rappresentativa dei media «giusti»: quelli indipendenti dallo Stato dal punto di vista formale e non-filogovernativi nei contenuti. Ma non so se ci sarà la possibilità di tenere aggiornata quella lista. Infatti, sul mercato dei media di lingua russa a volte nascono dei progetti nuovi oppure, al contrario, quelli esistenti vengono a volte banditi dallo Stato con delle accuse del tutto inventate e private dei marchi a favore dei media vicini allo Stato.
I miei dubbi, poi, vengono rafforzai dal fatto che, per esempio, su Facebook (appartenente alla Meta) i moderatori dei contenuti in lingua russa si sono sempre comportati in modo strano: usano bannare, senza entrare nei dettagli, i singoli utenti per i contenuti contrari alla politica statale russa reagendo alle segnalazioni infondate degli agenti filogovernativi. Il fenomeno potrà verificarsi anche a danni dei media non governativi?
L’idea, comunque, è giusta: bisogna iniziare a promuoverla e realizzarla in qualche modo.
È accaduta una cosa stranissima. Ho alzato lo sguardo e ho visto il soffitto: sono rimasto molto sorpreso e quasi scioccato da questo fatto…
Anzi, non è quello che volvo scrivere. Volvo scrivere che questo sabato vi propongo una lettura che può essere interpretata come la testimonianza di una forma di pazzia oppure come un testo in un certo divertente. Vi segnalo l’articolo nel quale sono raccolte alcune reazioni degli abitanti della città russa di Belgorod (si trova a 40 km dal confine ufficiale della Ucraina) al fatto che la guerra abbia iniziato a piovere pure sulle loro teste.
Capisco che l’esercito ucraino non ha la voglia e/o le munizioni per attaccare a caso o colpire gli obiettivi civili. Immagino anche che gli attacchi del territorio russo siano iniziati su autorizzazione della parte statunitense (che prima era esplicitamente contraria). Ma tutto questo verrà analizzato più avanti. Ora mi «diverto» a osservare le reazioni delle persone.