Oleksandr Syrsky, il comandante in capo dell’esercito ucraino, dopo un incontro online con il ministro della Difesa francese Sébastien Lecornu ha annunciato che la Francia invierà i suoi istruttori in Ucraina per addestrare i militari ucraini. Per fortuna o purtroppo, questa mi sembra l’unica realizzazione possibile delle parole di Macron di fine febbraio (quando aveva ammesso la possibilità di inviare truppe europee in Ucraina). «Per fortuna» perché è meglio di niente; «purtroppo» perché tale invio non aggiunge molto a quello che l’Ucraina ha già…
A meno che quegli istruttori francesi non accompagnino delle nuove tecnologie fornite, senza alcun comunicato pubblico, alla Ucraina.
Quello che mi sembra ovvio, per ora, è che per schiacciare l’esercito russo con la massa umana (una tattica militare apparentemente non tanto moderna) sul fronte ucraino, servirebbero diverse centinaia di migliaia di militari occidentali. Mi sembra di capire che nemmeno Macron abbia inteso una cosa del genere. Di conseguenza, non so ancora perché ci sia tanta ostilità nei confronti della sua idea di febbraio.
L’archivio della rubrica «Nel mondo»
Il New York Times scrive, citando le «fonti nell’intelligence statunitense», che negli ultimi tempi i servizi di sicurezza russi sono sempre più attivi nel compiere delle operazioni di sabotaggio su piccola scala in Europa, come incendi dolosi o tentativi di incendio doloso. In qualità degli esempi vengono proposti l’incendio di un magazzino nel Regno Unito, di una fabbrica di vernici in Polonia, di un edificio in Lettonia e di un negozio IKEA in Lituania. Sebbene tali incidenti sembrino casuali, sono finalizzati a creare l’apparenza di un presunto crescente malcontento in Europa nei confronti del sostegno all’Ucraina e mirano a creare ostacoli alla fornitura di armi all’esercito ucraino (sostiene sempre il New York Times).
Se dovesse essere vero, non riesco proprio a capire quale effetto mediatico si conta di raggiungere con un comportamento così rischioso e costoso. Certo, i servizi russi da anni (se non decenni) cercano di giustificare i finanziamenti statali crescenti ricevuti imitando una attività super efficace, ma totalmente inutile dal punto di vista pratico. Questo potrebbe essere l’unico motivo reale degli episodi di sabotaggio menzionati.
Dall’altra parte, seguendo la stampa e i social italiani (e non solo quelli italiani) vedo che il malcontento europeo manipolato dall’esterno viene creato con molto più successo ed efficacia dalla propaganda russa e dal finanziamento dei movimenti politici di estrema destra (in realtà, secondo me, l’estrema sinistra segue molto più facilmente le stronzate della propaganda russa, ma lo Stato russo, per fortuna, non se ne rende conto). A questo punto non vedo perché si debba ricorrere al sabotaggio e, poi, intensificarlo.
Di conseguenza, la tesi propostaci dal New York Times dovrebbe essere studiata profondamente prima di essere accettata.
Già da alcuni mesi i vertici dello Stato russo e la propaganda statale russa cercano di diffondere nel mondo l’opinione secondo la quale Vladimir Zelensky dovrebbe smettere di essere considerato il presidente legittimo dopo il 20 maggio 2024 (ieri, poi, lo ha dichiarato pubblicamente pure Vladimir Putin). Tale opinione viene giustificata con il fatto che i cinque anni di presidenza di Zelensky previsti dalla Costituzione ucraina sono terminati proprio nella data indicata, mentre le nuove elezioni non sono state fatte.
So che in Occidente – dunque anche in Italia – qualcuno, purtroppo, crede alla propaganda russa…
Mi è già capitato di scrivere che le elezioni presidenziali ucraine 2024 erano impossibili per tre motivi:
1) non sono consentite dallo stato di guerra che vige in base alla normativa ucraina;
2) la campagna elettorale e la votazione non sono possibili sul territorio controllato dall’esercito russo (perché gli ucraini ancora rimasti su quei territori dovrebbero essere esclusi dalle elezioni?);
3) la campagna elettorale comporta una inevitabile battaglia politica su tutti gli argomenti possibili (dunque addio l’unità nazionale durante una guerra contro l’aggressore).
Questi tre motivi mi sono sempre sembrati evidenti e sufficienti. Ma, allo stesso tempo, capisco che non sono mai troppi gli argomenti contro la propaganda statale russa. Ed ecco che, questo sabato, vi propongo una lettura un po’ più lunga e più argomentata sul tema della legittimità di Zelensky.
Perché per me è un tema importante.
La polizia antiterrorismo britannica ha arrestato nel centro di Londra Michael Phillips, 64 anni, residente nella città inglese di Harlow. Il tipo è accusato di aver aiutato l’intelligence russa (la polizia non ha reso noti i dettagli delle accuse, ma si è limitata a dichiarare che il caso contro Phillips non è collegato ad altre indagini).
Phillips è stato arrestato in base a una disposizione del National Security Act che consente di trattenere le persone senza un mandato se la polizia ha motivo di sospettare che siano coinvolte in «attività che comportano una minaccia da parte di una potenza straniera».
Di fronte a una notizia così minimalista possiamo interpretare l’evento solo alle nostre conoscenze generali sulla lunga storia della caccia alle spie. Le nostre (sì, spero anche le vostre) conoscenze ci dicono che una spia viene arrestata, a differenza di un criminale semplice, solo dopo essere stata osservata per lungo tempo: in modo da arrivare (senza spaventare, come succede nei brutti film) a tutta la rete per la quale lavorava. E allora è veramente positivo – un segno di rara serietà, direi – che in Italia non ne hanno ancora arrestato nemmeno una spia russa, ahahaha
Quattro Stati-membri dell’UE – Estonia, Repubblica Ceca, Paesi Bassi e Svezia – hanno chiesto alle autorità europee di imporre sanzioni alla Georgia se questa dovesse adottare l’ormai famosa anche in Europa legge sugli «agenti esteri». Secondo il Financial Times, le misure restrittive richieste da quegli Stati comprendono la sospensione del regime di esenzione dal visto tra la Georgia e l’UE, nonché il congelamento dell’assegnazione di fondi europei e sanzioni mirate.
Ammetto di essere fortemente sorpreso da tale proposta, soprattutto per quanto riguarda la questione dei visti. Infatti, i visti costituiscono una cosa importante per i cittadini georgiani comuni (quelli che protestano contro la legge «del tipo russo») e non per il Governo georgiano filo-russo (che sta promuovendo la suddetta legge, che è più interessato alla Russia putiniana che all’UE e che andrebbe avvertito o punito). In sostanza, i quattro Stati propongono di ripetere lo stesso errore che già da oltre due anni si sta facendo nei confronti dello Stato russo: colpire prevalentemente i propri potenziali alleati dentro la Georgia, costringere la gente georgiana cercare (o dare) il sostegno dal (al) proprio Governo anti-democratico e non vedere l’Europa come il proprio difensore.
Insomma, abbiamo avuto l’ennesima conferma del fatto che la classe dirigente europea è piena di cretini incurabili. Anche quando si tratta degli Stati europei che grazie alla propria posizione geografica dovrebbero capire qualcosa in più sui conflitti attualmente in corso…
Il ministro degli Esteri ceco Jan Lipavsky ha dichiarato che gli Stati-membri dell’UE hanno adottato un piano per utilizzare i proventi dei beni finanziari russi congelati a favore dell’Ucraina. Secondo il piano annunciato a marzo da Josep Borrell, il 90% dei proventi dei beni congelati, circa tre miliardi di euro all’anno, saranno destinati al Fondo europeo per la pace istituito nel 2021 (e dal quale vengono ora stanziati fondi per gli aiuti militari all’Ucraina).
A questo punto è importante capire almeno due cose: 1) non sono soldi russi, ma gli utili che si sono formati per dei motivi puramente tecnici (in sostanza, giacenza dei soldi sui conti degli enti di vigilanza finanziaria); 2) nessuno (nemmeno lo Stato russo o l’EU) ci perde alcunché, mentre l’Ucraina ci guadagna.
L’adozione della suddetta forma di aiuto può potenzialmente produrre almeno due effetti positivi: 1) gli USA si decidono, finalmente, di fare anche loro qualcosa del genere (ora hanno la «scusa» del buon esempio); 2) la «ricerca» dei fondi russi continua grazie a un nuovo stimolo.
Ma poi resta il vecchio problema: i soldi ci sono, ma le armi no.
Vladimir Zelensky, nella intervista a Reuters pubblicata ieri, tra le altre cose ha detto che gli aiuti militari occidentali all’Ucraina arrivano con circa un anno di ritardo rispetto a ogni accordo raggiunto.
Se ora vi siete messi a ipotizzare le date delle consegne di quei «materiali» che tutti noi abbiamo in mente, immaginate anche chi altro fa attualmente le stime dello stesso tipo. Significa che Zelensky ha suggerito una tattica? No: la controparte è assolutamente capace di fare delle osservazioni così semplici. Di conseguenza, io vorrei sperare che abbia invece tentato di inventare una tattica, sempre semplice, di disorientamento.
Vorrei sperare, appunto…
Un tizio, mentre era al telefono per discutere di un nuovo lavoro da eseguire, è entrato in una galleria. Tra i rumori di linea, normali per un luogo del genere, ha pensato di sentire l’espressione «presiden °*ç*Pé R *+# si |**».
«Ah, ok, intendevano il presidente Raisi», ha pensato il tizio. «Non chiedo di ripetere perché così magari pensano che io sia tonto e affidano il lavoro a qualcun altro!»
Ed è andata come è andata…
P.S.: in russo la «barzelletta» suona un po’ meglio, ma penso che abbiate capito comunque…
Comunque, in tutti i video dell’attentato al premier slovacco Rober Fico pi di tutte mi ha impressionato una cosa particolare…
La «prontezza» delle guardie del corpo, che si sono «svegliate» quando tutto era già avvenuto… Anzi, alcuni si sono svegliati quando il premier ferito era già stato caricato sulla macchina.
In base a quali criteri saranno stati assunti? Boh…
Nei giorni scorsi ho notato che in Italia si scrive e si parla delle proteste georgiane contro l’approvazione di una legge di fatto copiata da una analoga legge russa, ma, allo stesso tempo, non si comprende del tutto la portata del problema (non la comprendono nemmeno alcuni politici più o meno noti che a sorpresa hanno deciso di candidarsi alle elezioni europee, qualcuno di voi sa chi intendo).
Quella nuova legge georgiana permette non di «identificare gli agenti che perseguono gli interessi di potenze straniere» (come sostiene il partito filo-russo), ma di etichettare le organizzazioni sgradite con un nome dispregiativo e, di conseguenza, di ostacolare il loro normale funzionamento. L’identificazione, infatti, si poteva fare anche prima: attraverso l’analisi del loro operato pubblico o della documentazione che da decenni sono tenute per legge a redigere e pubblicare con una certa periodicità (come in tutti gli Stati normali). Per il semplice motivo finanziario – come si fa a ricevere, in mondo globale, i soldi dal territorio di uno solo Stato? – la legge propone di assegnare a molte organizzazioni una etichetta «agente estero» che nella mentalità sovietica e post-sovietica equivale a «spia». In Russia, ormai da anni, quella etichetta viene applicata non per i semplici motivi finanziari, ma quelli puramente politici. La Georgia si trova ora all’inizio di un percorso che ha la stessa destinazione…
Per iniziare a capire qualcosa delle proteste georgiane contro la nuova legge che avvicina la Georgia più al modello russo che a quello europeo, potete leggere, per esempio, l’articolo che ho selezionato per questo vostro sabato.
P.S.: il fatto che i georgiani giovani, istruiti e informati hanno paura della Russia mi rattrista e rallegra allo stesso tempo…



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