Ole-ole, nei giorni scorsi Donald Trump ha deciso di fare una promessa che sarebbe riuscito a mantenere in breve tempo…
Battute a parte, la notizia vera è realmente curiosa: poche ore fa negli Stati Uniti sono finalmente stati resi pubblici 2891 documenti sull’omicidio del Presidente John Kennedy. Non mi va di raccontare i primi riassunti fatti da altri, quindi mi limito a comunicarvi che i documenti in questione sono ora liberamente scaricabili.
I grafomani e i detective da divano hanno un sacco di nuove fonti di ispirazione!
Bisogna festeggiare.

L’archivio della rubrica «Nel mondo»
The Soufan Group ci comunica che nel 2017 la Russia è diventata il principale fornitore della manodopera straniera dell’ISIS. Nell’ottobre 2017 la quantità dei cittadini russi che combattono per l’ISIS si stima in 3417 persone. Tutta l’area dell’ex è rappresentata tra le fila dell’ISIS da 8717 persone.
L’Italia, invece, è attualmente rappresentata da soli 57 combattenti.
Non so bene come è vista tale situazione dalla maggioranza degli italiani. Io, per esempio, non sarei assolutamente dispiaciuto per questa forma di fuga dei cervelli. Sarei al contrario preoccupato per la quantità superiore allo zero di questi «cervelli» che poi tornano indietro. In Russia sono tornate 400 persone, mentre in Italia 13. Immaginate quanto potrebbe essere emozionante incontrare per strada – non necessariamente di notte – uno di quei 13 che si erano riconosciuti negli ideali dell’ISIS.

Il britannico Ryan Scoats si è dottorato alla Birmingham City University con una tesi dedicata al sesso a tre. Lo comunica Broadly.
Sapevo di aver sprecato in maniera ingloriosa gli anni migliori della mia vita!

Come forse vi ricordate, la notte tra l’8 e il 9 novembre 2015 l’artista azionista russo Petr Pavlensky aveva incendiato uno dei portoni della sede centrale del FSB (ex KGB). Dopo quella fantastica notte sono successe diverse cose nella sua vita. Da diversi mesi vive in Europa, nel maggio del 2017 ha ottenuto lo status del rifugiato politico in Francia. Ormai sento la necessità di dedicare un post serio a questo personaggio (biografia, il significato delle performance e altro), ma lo farò in un altro momento.
Oggi vi comunico di un’altra sua perfomance.
In poche parole, stanotte Petr Pavlensky ha incendiato uno degli edifici della Banca Centrale francese e, come due anni fa, si è fatto fotografare davanti alla propria opera. Le immagini sono della fotografa Capucine Henry.
L'artiste russe Pavlenski arrêté par la police à 4h10 après avoir mis le feu à la Banque de France @afpfr @franceinfo pic.twitter.com/rGhzMMqhFp
— Capucine Henry (@capucinema) 16 ottobre 2017
L’attivista Sarah Constantin, anche essa presente sul luogo, ha comunicato che l’obiettivo della azione è stato quello di «far ripartire l’incendio rivoluzionario nel mondo».
Pavlenski met le feu à la BF :"La renaissance de la France révolutionnaire déclenchera l’incendie mondial des révolutions." VIDEO TO COME DM pic.twitter.com/E0DDzFULhN
— Sarah Constantin (@sarahconstantin) 16 ottobre 2017
La rivoluzione – così come potrebbe immaginarla nella propria testa Petr Pavlensky – mi interessa molto meno della sua assenza. Mi interessa tanto, invece, sapere la gravità del danno che ha provocato la sua azione di stanotte e le possibili conseguenze. Qualora queste ultime si limitassero ad alimentare il suo bisogno di apparire una vittima, potremmo semplicemente ignorare le sue future azioni. Se invece volesse dimostrare che in Europa un rifugiato politico può permettersi anche questo tipo di «arte», dovremmo essere molto attenti agli sviluppi dell’esperimento.

Come era facilmente prevedibile, la Banca Centrale ucraina ha vietato agli enti finanziari nazionali lavorare con le nuove banconote russe da 200 rubli.
La notizia ufficiale in inglese è disponibile sotto questo link.
Per i più pigri (o i meno preparati nella lingua inglese) consiglio il mio post di ieri sul motivo di suddetto divieto.
Nel frattempo sottolineo che le Autorità ucraine si stanno allenando con successo nell’applicare il principio «se la realtà non ti piace, vietala».
Mah…

Secondo le ultime notizie, stamattina Carles Puigdemont ha lasciato a casa tutta la sua determinazione a dichiarare l’indipendenza. Se lo stesso si ripete anche nei prossimi giorni, non mi sorprendo: sono sempre state poche le persone capaci di portare a termine una buffonata iniziata in modo epico.
Organizzare un «referendum» al quale ha partecipato meno della metà dei residenti votando dove pare e stampando la scheda elettorale a casa? Fatto.
Minacciare l’eminente dichiarazione per creare problemi alla intera regione (con soli 35%dei catalani etnici)? Fatto.
Violare molto democraticamente tutte le leggi statali e regionali (e le procedure stabilite dallo stesso parlamento regionale) per riconoscere il «referendum»? Fatto.
Evidentemente non sa più quale altra mossa scandalosa fare per ottenere ciò che realmente vuole. Il problema è che ora non può nemmeno dire in pubblico cosa esattamente vuole, perché significherebbe ammettere che in realtà ha solo preso in giro i propri sostenitori dimostrando il proprio finto sostegno alla causa della indipendenza.
Mentre la pausa di inattività farà diminuire il peso simbolico/politico delle mosse precedenti
Non siate come Puigdemont: molto probabilmente finirete male.
In ogni caso, sfrutto l’occasione per postare alcuni grafici interessanti.
1. Gli Stati con il PIL inferiore a quello della Catalogna:

2. Il separatismo europeo:

3. Il separatismo statunitense:

Oggi decorrono 60 anni dal lancio del primo Sputnik.
Sessant’anni dal lancio del primo satellite artificiale da parte degli umani.

Fu una piccola (58 centimetri di diametro) sfera di alluminio con quattro antenne.

Dentro alla sfera vi furono alcuni strumenti primitivi, prima di tutto di localizzazione e di trasmissione dei segnali acustici sulla Terra. La quantità delle antenne superiore a 1 serviva a garantire la trasmissione del segnale verso il nostro pianeta (visto che il satellite non fu posizionabile in una posizione determinata).

Nel 1957 il mondo si preoccupò, per esempio, per le nuove frontiere del spionaggio internazionale che sembrarono aprirsi. Per qualche decennio le preoccupazioni si dimostrarono parzialmente fondate ma oggi, nel secolo delle «alte tecnologie» lo spionaggio principale si fa su internet. Sempre nel secolo delle suddette tecnologie – ma 0,6 secolo dopo il lancio dello Sputnik e nonostante le fantasie sfrenate degli scrittori e registi – non ci siamo allontanati dal nostro Sistema solare.
Potrei spiegarvi perché l’uomo non si allontanerà mai nemmeno dalla Terra (ciao Elon!), ma si tratta di concetti fisici che non tutti sono in grado di comprendere senza cercare 2/3 dei termini sulla Wikipedia.
Tutto ciò non rende lo studio dello spazio una impresa inutile.
Del referendum in Catalogna non ho capito solo una cosa: perché lo Stato spagnolo abbia reagito. Non come lo abbia fatto, ma proprio il perché della reazione.
Per Legge spagnola (come per quasi tutte le altre leggi nazionali) la consultazione in questione non poteva avere effetti legali, quindi era solo un gioco collettivo i cui risultati possono e devono essere ignorati dalle Istituzioni. Al massimo avrebbe avuto senso limitarsi a perseguire quegli amministratori locali che hanno sfruttato la propria posizione di potere per trarre in inganno i cittadini sulla possibilità reale di un referendum del genere.
Nel corso della vita ho osservato che molti nostri problemi (e molti nostri nemici) si materializzano solo grazie ai nostri notevoli sforzi nell’affermare la loro esistenza, nella autoconvinzione che esistano. L’unico effetto possibile della lotta ai fantasmi è la comparsa dei fantasmi.
P.S. Agli amanti dilettanti del diritto internazionale ricorderei che quest’ultimo è schizofrenico. Esso si basa su due principi che si escludono a vicenda: l’autodeterminazione dei popoli e l’integrità territoriale degli Stati.

Dopo le elezioni tedesche di ieri potrei fare due constatazioni semplicissime (non sono un politologo stipendiato, quindi non mi sento obbligato ad apparire un analista intelligente e onnisapiente).
La prima constatazione semplicissima: la stabilità politica tedesca è impressionante. Infatti, Angela Merkel è l’ottavo Cancelliere tedesco dal 1949 (in tutta la storia della Germania attuale) e il terzo dal 1982 (negli ultimi 25 anni). Sempre dal 1949 ad oggi negli Stati Uniti ci sono stati 13 presidenti. Enon posso dire che la Germania sia uno Stato notevolmente meno democratico degli USA.
La seconda constatazione: il terzo posto della Alternative für Deutschland è un risultato ben prevedibile, mentre il 12,6% dei voti mi sembra sorprendentemente basso. Nelle prime ore della giornata di oggi ho avuto l’occasione di leggere i commenti di alcuni esponenti/simpatizzanti della sinistra italiana: una notevole parte di loro considera il risultato Alternative für Deutschland come una conseguenza della assenza alternative ideologiche o semplicemente della scomparsa della vera sinistra dalla scena politica europea contemporanea. Col cazzo, cari sinistrosi. Il problema è molto più grave.
Il crescere della popolarità degli estremisti e dei populisti – di destra e di sinistra – che osserviamo in Europa negli ultimi anni è dovuto alla dilagante tendenza dei politici «convenzionali» a mascherare la propria incapacità/paura/mancata volontà di risolvere i problemi più gravi con un finto buonismo. Per farvi capire cosa intendo con l’espressione «finto buonismo» vi ricordo che nel linguaggio politico attuale è uno dei reali sinonimi di «multiculturalismo» e «tolleranza». Non intendo solo la gestione cretina della immigrazione, ma pure le politiche verso tutti quei gruppi sociali che presentano oggi un peso ingiustificato per l’itera comunità.
Nessuna campagna elettorale o la propaganda quotidiana può distrarre la gente dalle questioni reali quotidiane all’infinito. La correlazione delle parole con la realtà che manca per troppo tempo porta alla stanchezza mentale e emotiva, quindi si traduce, prima o poi, nelle scelte elettorali perverse.
Se nemmeno in Germania, lo Stato che ha fatto e sta facendo i progressi più notevoli nella rieducazione del proprio popolo, si è riuscito a ingannare il 12,6% degli elettori – forse è il momento di rivedere il proprio modo di affrontare i temi difficili.
Questa è la mia dose odierna delle banalità.

La settimana scorsa sono diventato un fortunato (e felice) possessore di alcune monete bielorusse:

In pratica, ora me ne mancano solo due: da 1 kopeika e da 50 kopeiki. Spero di riuscire a trovarle presto. Ma questo mio desiderio non è il vero argomento del post odierno.
Nella Bielorussia indipendente le monete sono state emesse in circolazione per la prima e l’unica volta molto recentemente: il 1° luglio 2016 (ed è per questo che non mi era ancora capitato di vederle dal vivo). Fino a quella data la Bielorussia fu uno dei pochissimi Stati al mondo a utilizzare solamente i soldi cartacei (anche a causa di una continua forte inflazione) e a coniare solo le monete commemorative di fatto non utilizzate come dei mezzi di pagamento nella vita quotidiana.
Le monete introdotte nel 2016 portano tutte il 2009 come l’anno di cogno. Il rovescio di tutte le monete bielorusse (tranne forse quella da 1 rublo) assomiglia a quello delle monete dell’euro:

L’aspetto del dritto, invece, assomiglia tantissimo a quello delle monete sovietiche cognate tra il 1961 e il 1991:

Infatti, appena ho visto le nuove monete bielorusse, sono stato travolto da una valanga di ricordi infantili… Ma poi sono passato a riflettere sul valore simbolico di questo incontro dei due modelli economici sulle monete dello stesso Stato. Da una parte, l’ex Repubblica Sovietica continua a dipendere economicamente dall’ex centro dell’URSS (per esempio, attraverso i prestiti finanziari mai restituiti, i prezzi del petrolio e del gas molto favorevoli e la possibilità di fornire i prodotti europei rietichettati a prezzi maggiorati). Dall’altra parte, vuole sottolineare di essere uno Stato indipendente libero di passare, almeno in teoria, in qualsiasi momento a un’altra alleanza.
Sarà un messaggio in codice, una manifestazione della crisi di identità o qualcos’altro? Si potrebbe fare una bella ricerca politologica su tale argomento.



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