L’archivio della rubrica «Nel mondo»

La protesta armena (parte 2)

Dopo le dimissioni del Premier Serž Sargsyan in Armenia continuano le proteste. Il motivo di questo fenomeno è assolutamente comprensibile: l’opposizione vuole evitare che Serž Sargsyan rimanga, tramite una influenza esercitata sul proprio partito, il governatore informale dello Stato. La migliore garanzia della non-influenza sarebbero le elezioni politiche con un risultato diverso da quello del 2 aprile 2017. Quindi bisogna a) ottenere le elezioni anticipate e b) avere il peso politico per vincerle. Ovvio, no?
Una domanda molto più sensata — ma in realtà altrettanto semplice — che mi hanno già fatto più volte in Italia è: qual è la reazione di Mosca a questi eventi in Armenia. La risposta può essere espressa in due parole: nessuna reazione. I motivi sono due (ma volendo possiamo anche dividerli in tre).
Prima di tutto, è successo tutto troppo velocemente, in poco più di una settimana.
In secondo luogo, la fase iniziale delle proteste non appariva capace di portare a degli sconvolgimenti politici (ma mi ricordo che anche l’inizio di tutte le rivoluzioni ucraine degli ultimi 14 anni fece la stessa impressione; sappiamo bene come finirono).
In terzo luogo, a Mosca comprendono bene, con tanto pragmatismo, che chiunque arrivi al potere in Armenia, non avrà molta scelta: dovrà necessariamente restare sotto il protettorato (e quindi l’influenza) della Russia. Altrimenti verrà schiacciata dalle pretese territoriali ed economiche dalla Turchia e dall’Azerbaigian (penso che la questione del Nagorno Karabakh sia largamente nota tra le persone che si interessano della politica internazionale). Per Mosca, dunque, la «perdita» dell’Armenia può avvenire solo in un modo: vederla sparire (del tutto o quasi) dalla mappa geografica. E, dato che nemmeno l’Armenia vuole perdersi in tal senso, anche l’attuale opposizione, qualora vincesse le elezioni, sarà disposta e costretta a mantenere dei buoni rapporti con la Russia. Potranno cambiare alcuni dettagli, ma non il principio in generale.
Detto ciò, aggiungerei che fino ai prossimi avvenimenti rilevanti non ha più senso commentare gli avvenimenti armeni. Fino al risultato delle (ipotetiche) elezioni o le azioni forti del governo attuale, le proteste armene resteranno solo dei fatti di cronaca locale.


Cosa si sottointendeva?

Ho appena scoperto che di recente nei Giardini Vaticani è stato inaugurato il monumento al poeta, monaco cristiano, teologo e filosofo mistico armeno Gregorio di Narek (951–1003), considerato santo e dottore della Chiesa cattolica.
Ma il monumento, secondo me, ci dice molto più sui sogni proibiti degli abitanti del Vaticano che sul personaggio al quale è dedicato:


L’imprevedibilità del passato

La settimana scorsa è stato rimosso dal Central Park di New York il monumento a James Marion Sims, considerato il padre della moderna chirurgia ginecologica. Non mi metto a spiegarvi quale fu l’oggetto delle sue ricerche mediche: volendo lo potete scoprire tranquillamente da voi leggendo il relativo articolo della Wikipedia. Purtroppo in questo momento è molto più interessante vedere il motivo della rimozione di quel monumento (e della messa in discussione di altri).

In sostanza, James Marion Sims, nato nel 1813 e morto nel 1883, nella seconda metà degli anni ’40 condusse una lunga serie delle sperimentazioni mirate a trovare la soluzione di un determinato problema medico. La maggioranza di tali sperimentazioni fu eseguita sulle schiave afroamericane, spesso comprate per l’occasione. Quindi nel 2007, quando venne pubblicato il libro «Medical Apartheid» della scrittrice Harriet A. Washington, si iniziò a parlare della «necessità» di rimuovere il monumento in quanto sarebbe dedicato a una «macchia sulla storia americana». Nel 2017, quando negli USA improvvisamente si è scoperta la reale possibilità di un imminente crollo del consenso storico sugli esiti della guerra civile tra Nord e Sud, si sono intensificate anche le discussioni sul monumento a James Marion Sims.
Il mio post odierno non è dedicato alle questioni di genere, razza o libertà. Il mio post è dedicato all’ennesimo tentativo, stupido come tutti gli altri tentativi precedenti, di riscrivere la storia per farla corrispondere agli standard etici e morali di oggi. Ma la storia è una materia molto più ampia della semplice cronologia degli eventi anche perché i suddetti standard sono in una continua evoluzione. Non capirlo (o fingere di non capirlo) è una evidente manifestazione di stupidità. Molte delle cose considerate normali anche fino a pochi decenni fa, oggi nel migliore dei casi sono fuori moda. Eppure all’epoca dei fatti avevano portato ai risulti tuttora considerati positivi per l’umanità. Riconoscere, sfruttare e ricordare i risultati, e allo stesso tempo maledire e cancellare dalla memoria coloro che hanno avuto la capacità di raggiungerli solo a causa dei metodi normali (per fortuna o purtroppo) per la loro epoca è forse anche peggio della semplice stupidità. È una forma pesante della ipocrisia.

Purtroppo la proliferazione di questa forma di ipocrisia sta colpendo, ultimamente, non solo la medicina. Pensiamo al mondo del cinema – un mondo dal punto professionale storicamente maschile – dove da sempre (o quasi) l’ingresso delle donne si trovava sotto le scrivanie. Fino a pochi mesi era una cosa talmente scontata, che a nessuno veniva in mente di parlarne. L’inizio improvviso della moda di parlare del harassment ha introdotto anche in questo caso delle norme di applicazione retroattiva: chi ha reso possibile, almeno dal punto di vista organizzativo, la realizzazione di diversi buoni film oggi si trova tagliato fuori dal mondo professionale solo perché teneva atteggiamenti tipici dei loro tempi.
Una parte del mondo sta andando da qualche parte sbagliata…


La protesta armena

Le proteste in corso a Erevan – la capitale dell’Armenia – potrebbero essere presto definite la «rivoluzione delle albicocche». Infatti, le albicocche sono il prodotto armeno attualmente più importante e caratteristico. In più, a breve dovrebbe pure iniziare la stagione… Certo, c’è pure il cognac armeno che è di buona qualità (il marchio più noto e consigliato è «Ararat», chiamato in tal modo in onore della famosa montagna storicamente armena), ma la «rivoluzione del cognac» farebbe venire in mente un raduno di ubriaconi assetati.
Parlandone seriamente, però, dobbiamo constatare che fino a ieri la protesta armena aveva poche possibilità di portare ai risultati desiderati.
Da una parte c’era Serž Sargsyan, già Presidente dell’Armenia per due mandati consecutivi dal 2008 al 2018, che nel 2014 annunciò il passaggio dal presidenzialismo al parlamentarismo e promise di non tentare a diventare il Premier dopo la conclusione del proprio secondo mandato presidenziale (l’ultimo possibile in base alla Costituzione). Nel 2015, dunque, l’esito positivo del referendum costituzionale ha reso possibile la riforma. Il 9 aprile 2018 il Parlamento armeno ha dunque eletto per la prima volta nella propria storia il nuovo presidente: Armen Sargsyan (non è un parente di Serž, ma solo un personaggio particolarissimo che merita uno studio apposito). Allo stesso tempo – sorpresa! – l’ex presidente Serž Sargsyan si è fatto nominare il Premier.
«Scusi, ma Lei aveva promesso…»
«Beh, capita…»
[Tra parentesi: si possono trovare delle analogie nella storia recente di almeno due Stati.]
Dall’altra parte c’era Nikol Pashinyan, un oppositore molto attivo e noto. Nel 2017 è pure riuscito a farsi eleggere deputato e arrivare secondo alle elezioni del sindaco di Erevan. In qualità del leader della protesta/rivoluzione, però, ha almeno un punto debole: non è più un personaggio nuovo in grado di dare alla popolazione la sensazione della «freschezza politica». Di conseguenza, le manifestazioni di questi giorni sembravano più una testimonianza del malcontento per l’incoerenza politica di Serž Sargsyan che un tentativo di arrivare a un cambiamento radicale della situazione politica. Le proteste del genere solitamente esauriscono da sole, ma a condizione che vengano totalmente ignorate da coloro contro chi sono rivolte.
Per quanto riguarda la qualità della protesta, si possono fare delle analogie sia con la «rivoluzione delle rose» georgiana del 2003 (la quale è andata a buon fine proprio perché Saakashvili fu un personaggio totalmente nuovo e distante rispetto alla classe politica dirigente dell’epoca), sia con la «rivoluzione della dignità» ucraina del 2013–2014 (la quale, nella sua prima e relativamente lunga fase sembrava destinata a fallire per assenza di un leader più «di peso» degli altri e degli obbiettivi precisi, ma anche per dei lunghi «momenti morti»).
Se nel pomeriggio di ieri Nikol Pashinyan non fosse stato arrestato, le proteste, molto probabilmente, si sarebbero spente da sole. Ma l’arresto ha portato all’effetto contrario. Oggi alla protesta crescente si sono uniti pure i militari. Sicuramente è stato questo il motivo principale delle dimissioni di Serž Sargsyan annunciate meno di un ora fa.


Vedere Chernobyl

Sto per suggerire una idea un po’ particolare per le vostre vacanze estive…
Fino a poco fa l’accesso (almeno quello legale) ai locali della centrale nucleare di Černobyl era possibile solo per il personale tecnico e i giornalisti (tra i quali compresi anche i blogger di un certo livello di popolarità). Per di più, solitamente le visite si limitavano al padiglione del sarcofago al canale con i siluri.
A partire dal marzo 2018, però, ogni cittadino onesto può accedere alla centrale, vedere come procedono la bonifica dell’intera area e il processo della dismissione del reattore avariato. Una visita guidata da un giorno costa circa 84 euro (2700 grivnie ucraine). Le domande di iscrizione alle visite vanno effettuate sul sito ufficiale: https://visit.chnpp.gov.ua/en/.
Chi la possibilità tecnica ed economica di andarci, ci vada: la centrale nucleare di Černobyl è un posto incredibile e unico (per fortuna!) sul nostro Pianeta. E, contrariamente a quanto si possa pensare, è un posto sicuro.

Foto di Dmitry Chernyshev
Questo corridoio – che almeno a una persona nata e cresciuta nell’URSS sembra una dei soliti corridoi abituali all’interno di una struttura pubblica – è in realtà un posto particolarissimo. È il corridoio che porta verso gli interni sigillati del sarcofago, quindi verso quei luoghi dove il livello di radiazione è tuttora sufficientemente altoper uccidere un umano in pochi minuti. Naturalmente non vi faranno arrivare fino a quei luoghi. Però vi faranno vedere, tra le altre cose, anche questo pezzo di corridoio. E voi, probabilmente, capirete cosa intendeva Kafka con le sue descrizioni della morte apparentemente molto prosaiche.


Quando si dice fortuna

In occasione dei 106 anni dal naufragio del Titanic vi racconto di una persona con un destino particolare.
Arthur John Priest fu uno dei 150 fuochisti del Titanic (la nave ebbe bisogno di 600 tonnellate di carbone al giorno) ed ebbe la fortuna di sopravvivere al naufragio nonostante un forte congelamento (i fuochisti nel loro ambiente lavorativo indossarono solamente i shortes e i gilè).
L’anno precedente Priest lavorò sulla nave Olympic (nave gemella del Titanic) che fu speronata dall’incrociatore Hawke. Quell’incidente divenne un caso didattico illustrando il fenomeno «bank effect» (non sono sicuro sulla traduzione in italiano del termine: ecco la spiegazione su Wikipedia).
Prima ancora John Priest lavorò sulla nave Asturias, il primo viaggio della quale finì con uno scontro.
Quando iniziò la Prima Guerra mondiale, Priest trovò il lavoro al mercantile armato Alcantara. Nel febbraio 1916 il piroscafo tedesco Greif, adattato ai fini bellici e mascherato per sembrare una nave norvegese, si avvicinò alla Alcantara e aprì il fuoco. In seguito a una breve battaglia entrambe le navi affondarono. Morirono 72 marinai britannici e 187 marinai tedeschi. John Priest sopravvisse pur essendo stato ferito da alcune schegge.
A quel punto Priest trovò il lavoro alla nave Britannic (gemella di Titanic e Olympic). Britannic non fece nemmeno un viaggio commerciale, ma fu trasformato in una nave-ospedale. Il 21 novembre 1916 la nave si scontrò con una mina navale tedesca e affondò con la velocità tripla di quella del Titanic: ciò successe a causa di una delle porte interne guaste e di numerosi oblò aperti dalle infermiere per garantire il ricambio dell’aria nelle corsie. Due scialuppe furono fatte scendere troppo presto e finirono contro le eliche funzionanti della nave. Morirono 30 persone. Priest sopravvisse.
Il posto di lavoro seguente di John Priest fu la nave-ospedale Donegal. Il 17 aprile 1917 nella Manica il Donegal fu fatto naufragare dal sottomarino tedesco UC-21.
Dopo questo spiacevole evento John Priest, naturalmente ancora vivo, rimase senza un lavoro legato al mare: nessuna altra nave fu più disposta di prenderlo a bordo.
John Priest morì di polmonite nel 1937.


Il monumento ideale

Il 12 aprile in Russia (e ormai solo in Russia) si festeggia – in memoria dello storico volo di Yuri Gagarin – il Giorno dei cosmonauti. Il primo cosmonauta russo viene però ricordato anche in alcuni altri Stati. Così, per esempio, l’8 aprile 2018 a Belgrado è stato aperto un monumento stranissimo:

In pratica, si tratta di un busto relativamente piccolo posizionato sopra un piedistallo di notevoli dimensioni. Di conseguenza, una persona di altezza media è visibile solo la parte dalla fronte in su.
Anzi, era visibile. Va utilizzato il passato perché già il 10 aprile, dopo le numerose pubblicazioni dei cittadini sui social networks (per esempio, si soteneva che il busto sarebbe visibile solo dallo Spazio e che sarebbe stato posizionato a tale altezza per non essere rubato) il monumento è stato smontato «per essere migliorato».
Prendendo spunto da questo piccolo episodio della ordinaria scarsa creatività degli esseri umani, ho iniziato a ragionare su come dovrebbe essere un monumento ideale a un cosmonauta/astronauta. E forse l’ho capito: deve essere un mix tra lo sfortunato monumento di Belgrado e quello inaugurato a Mosca il 4 luglio 1980. Dovrebbe secondo me essere una gigantesca freccia indirizzata verso l’alto e recante la scritta «Il cosmonauta X è stato lì».

Regalo questa idea agli scultori che vogliono dedicarsi alle opere monumentali.


Il successo elettorale

Questo signore è Charles D. B. King, ricoprì la carica del presidente della Liberia dal 1920 al 1930.

Egli entrò nella storia con la sua vittoria alle elezioni del 1927 quando prese 234.000 voti. All’epoca in Liberia vi furono solamente 15.000 elettori registrati.
Tutti i politici che non sono riusciti a eguagliare il suo risultato elettorale (1560% delle prefrenze) possono essere considerati democraticamente eletti. O forse no?


La risposta inglese

Come avrete già letto, è stata presa la decisione sulla espulsione di 23 diplomatici russi dalla Gran Bretagna. Si tratta di una delle possibili misure più logiche e attese, ma, evidentemente, non la più sperata.
La vera speranza dei vertici (passati e attuali) di quella Organizzazione che si occupata, molto probabilmente, dell’avvelenamento di Skripal consisteva in una nuova ondata delle sanzioni occidentali. Perché le sanzioni consolidano la squadra (costretta a rimanere fisicamente e finanziariamente sulla nave e condividere la sorte del capitano) e giustificano la propaganda («il mondo è contro di noi!»).
Ma l’introduzione delle sanzioni richiede del tempo. Quindi per ora ci si deve accontentare di poco: l’Occidente ha confermato di non volere/potere adottare le risposte simmetriche. Ed un modo perverso di sentirsi forti.
Avevo già scritto della logica da bullo?


Le mie scoperte: il NOTAR

E’ noto che nel funzionamento di un elicottero deve essere previsto il modo di compensare la coppia di reazione della elica. Quindi un elicottero deve necessariamente avere due eliche: una orizzontale sopra e una verticale dietro oppure entrambe verticali sopra ma rotanti nelle direzioni opposte. Senza un tale sistema di compensazione, un elicottero girerebbe attorno a se stesso.
Ma a partire dagli anni ’90 si producono pure gli elicotteri con una sola elica. Essi si chiamano NOTAR (no tail rotor, senza rotore di coda).

In sostanza, la elica superiore manada una parte dell’aria nella trave posteriore come se fosse un asciugacapelli. Con l’uso di tale sistema si riducono del 20% i guarsti, si dimezza il rumore, si semplifica la parte meccanica della macchina (non bisogna predisporre la trasmissione per la elica posteriore), si salva l’integrità fisica della testa di chi si avvcina troppo alla coda dell’elicottero.