L’archivio della rubrica «Internet»

A tutti coloro che si interessano, per qualsiasi motivo, dell’avvelenamento dell’oppositore russo Alexey Navalny con il Novichok (avvenuto il 20 agosto 2020) segnalo il sito tematico creato dai colleghi/collaboratori di Navalny stesso. Su quel sito sono raccolte tutte le informazioni per ora note – ai creatori del sito e quindi a noi – sugli esecutori e sui loro strumenti e metodi, la cronologia dei fatti, la posizione ufficiale dello Stato russo in merito etc.. Come potete facilmente immaginare, mancano ancora diverse informazioni importanti (perché sono note non a noi, ma a poche persone concrete), ma certamente si tratta di una situazione temporanea. Mentre il suddetto sito già oggi è un interessante documento storico.

Il sito promette anche dei premi in bitcoin per alcune informazioni fondamentali mancanti circa l’avvelenamento di Navalny. Sono sicuro che prima o poi quelle informazioni salteranno fuori, ma non sono del tutto sicuro che lo faranno solo per una questione di soldi.


Il Babbo Natale anonimo

Il sito russo Habr (specializzato nell’offrire lo spazio per le discussioni in materia delle tecnologie dell’informazione e dell’internet) ormai da dieci anni organizza, ogni dicembre, un evento curioso: il «Ded Moroz anonimo». Tale evento consiste nello scambio di regali di Capodanno tra gli utenti del sito registrati. Ogni utente interessato a partecipare all’evento indica in una apposita form i propri nome reale e indirizzo postale, riceve i dati analoghi di un altro utente partecipante scelto a caso dal sistema (per inviare un regalo), sceglie e invia un regalo, e poi aspetta di ricevere un regalo da qualche altro utente (per il quale è stato scelto dal sistema). In questo modo tutti i partecipanti diventano degli autori di regali anonimi: infatti, non sanno da chi arriverà il regalo e, nella schiacciante maggioranza dei casi, non conoscono personalmente la persona alla quale hanno inviato il proprio regalo (e viceversa). Ogni autore di un regalo può sperare di indovinare il regalo o provare, furbamente, a cercare su internet il nome del destinatario assegnatogli per scoprire, eventualmente, i suoi interessi.
[A questo punto ricordo che in Russia i regali si fanno per il Capodanno invece che per il Natale; il personaggio folcloristico che porta i regali si chiama Ded Moroz (Babbo Gelo).]
L’idea di Ded Moroz anonimo mi sembra bella e simpatica, quindi mi dispiace un po’ che non esista anche in Italia: ricevere qualche regalo in più (ma pure farlo) è sempre positivo. Ma allo stesso tempo capisco che non tutti sarebbero disposti ad affrontare le difficoltà legali in materia di privacy, le quali sorgono ogni qualvolta ci si trova davanti alla necessità di raccogliere e gestire le informazioni personali (in questo caso indirizzi e nomi).
Spero che prima o poi gli amministratori di qualche sito famoso a livello occidentale trovino il modo di organizzare una cosa del genere.


La libreria Log4j

Mi è sembrato di capire che le notizie su una grave falla nella sicurezza della libreria Log4j, utilizzata in tanti codici Java (quindi sul lato server di tantissimi siti e app), siano in qualche modo giunti anche alle orecchie delle persone non specializzate. Di conseguenza, diverse persone potrebbero ora chiedersi sulle misure preventive da prendere.
Ebbene, un utente comune dell’internet non deve (e, purtroppo, non può) fare alcunché di straordinario. Semplicemente, bisogna accertarsi di avere gli antivirus di qualità e aggiornati, aggiornare il backup sul proprio computer (o sul proprio disco esterno) di tutti i dati conservati online, e poi aspettare che il problema globale si risolva. Non manca tanto alla soluzione completa.
Un utente un po’ meno comune può provvedere, se ha tempo e voglia, a fare (anzi, aggiornare) anche il backup del proprio sito web. Ma, in realtà, anche questa dovrebbe essere una operazione periodica, indipendente dalla scoperta dei vari problemi globali del software.
Ora so di avere tranquillizzato qualcuno, ahahaha


Ingaggia un killer

Nel 2005 l’americano Bob Inner aveva creato – assieme ad alcuni amici – il sito RentAHitman.com. Doveva essere un esercizio pratico (e allo stesso tempo scherzoso) per prepararsi ad aprire una azienda di cyber-security. I progetti imprenditoriali non si erano però realizzati, non si era nemmeno riuscito a rivendere il dominio del sito. Di conseguenza, Bob aveva deciso di tenersi quel sito solo come un ricordo…
«RentAHitman» propone di risolvere i problemi dei propri clienti con l’aiuto di uno dei suoi 17.985 agenti sul campo altamente qualificati (in realtà il suddetto numero è la quantità approssimativa delle stazioni di polizia negli USA) e nel rispetto della legge «Sulla tutela dell’anonimato dei killer» del 1964. Inoltre, il sito riporta le recensioni dei presunti clienti soddisfatti.
Ebbene, qualche anno dopo Bob Inner aveva deciso di controllare la casella postale associata al sito per verificare se è arrivata qualche proposta d’acquisto per il dominio. Ma ha trovato circa trecento mail inviate dalle persone realmente interessate a ingaggiare un killer. Ora i giornali scrivono che Bob avrebbe trasmesso le richieste ricevute alla polizia, dando il via ad alcuni arresti e condanne penali.
Tutta questa storia è sicuramente curiosa e divertente, ma io ho due domande. No, ormai non chiedo più perché nel mondo ci siano tante persone incapaci di comprendere lo humor: ne conosco tantissime pure io e, purtroppo, sono costretto a considerarle quasi come dei portatori di una certa forma di disabilità. Prima di tutto mi chiedo: chi ha dimostrato – tra i «clienti» sfortunati e i loro avvocati (ma pure altre parti del processo penale) – la più grave incapacità di comprendere lo humor? La seconda domanda: perché l’autore del sito era tanto convinto della serietà dei visitatori del sito da decidere di denunciarli? Boh…
L’idea del sito, comunque, è divertente. Potete andare a vederlo con i propri occhi.


Un regalo ai paranoici

L’organizzazione statunitense Property of the People ha ottenuto un documento (del 7 gennaio 2021) del FBI sui rapporti della organizzazione con i messenger più popolari. Tra le altre cose, nel documento si sostiene che il WhatsApp fornisce più informazioni, rispetto ai concorrenti, sui propri utenti. Con un ordine del tribunale, gli investigatori possono ottenere informazioni di base su un utente, e, con un mandato di perquisizione, contatti dalla sua rubrica e una lista di utenti che si trovano nella sua rubrica. In particolare, il WhatsApp può trasmettere le informazioni del mittente e del destinatario di ogni messaggio quasi in tempo reale: ogni 15 minuti. Sembra però trasmetterà alcuni metadati, ma non il contenuto effettivo dei messaggi. Un portavoce di WhatsApp ha già confermato queste informazioni.
Il documento del FBI afferma, inoltre, che l’iMessage della Apple fornisce i metadati degli utenti su richiesta degli investigatori. Il Signal fornisce solo la data e l’ora in cui un utente si è registrato e quando ha effettuato l’ultimo accesso all’app. Il Telegram non fornisce metadati, ma può rivelare l’indirizzo IP di un utente e, nei casi di terrorismo, il suo numero di telefono.
Tutti possono scaricare il PDF contenente il riassunto dei dettagli.
Possiamo fare qualcosa dopo avere appreso queste informazioni? Dipende chi siamo.
Le persone paranoiche possono buttare il proprio telefono (come tutti gli altri dispositivi elettronici capaci di andare su internet) dalla finestra… anche se sospetto che molti di loro lo abbiano già fatto tempo fa.
Le persone normali, invece, possono provare a osservare la variazione della popolarità dei vari messenger dopo la diffusione della notizia appena raccontata. Qualcosa mi suggerisce che di variazioni ce ne saranno.


Jack Dorsey sta per lasciare Twitter

Jack Dorsey, uno dei creatori del Twitter, si è dimesso ieri dall’incarico di CEO. Si tratta di un gesto chiesto dagli investitori già nel 2020 perché, secondo loro, Dorsey dedicherebbe troppo tempo all’altra sua creatura: Square, un servizio di pagamento via dispositivi mobili.
Non mi dispiace assolutamente per Jack Dorsey, il quale finalmente ha più tempo e libertà morale per dedicarsi a ciò che gli interessa maggiormente in questo momento storico. Mi dispiace invece per gli investitori del Twitter, i quali – a differenza di Jack Dorsey – molto probabilmente non hanno ancora capito bene quanto siano limitate le possibilità di crescita di un servizio come Twitter stesso. Intendo: si può aggiungere una infinità di funzioni (aumentare la lunghezza massima dei post, permettere di pubblicare video, audio e immagini, introdurre/modificare la possibilità di inviare messaggi privati e fare tante altre cose che stanno tutte le altre piattaforme compreso il Twitter), ma solo per diventare uno qualunque tra i pari. Questo equivale alla attesa della fine della moda, la fine che prima o poi arriva per tutte le piattaforme online.
Quindi Jack Dorsey ha già capito che è giunta l’ora di dedicarsi a qualcosa di completamente nuovo (almeno nel senso di diverso), mentre gli investitori sperano ancora il nuovo CEO possa produrre un miracolo senza precedenti.
L’esperienza mi suggerisce che dovrebbe vincere Jack Dorsey.


Le passeggiate in Sud Corea

Il tipo di nome Nathan (non si sa chi sia e da dove venga) vive in Sud Corea e realizza dei video per il proprio canale SeoulWalker su YouTube. I video — non commentati in alcun modo — mostrano le interessanti passeggiate dell’autore a Seoul e nel resto del Paese. Dal punto di vista tecnico i video sono fatti abbastanza bene, ma l’autore, per qualche motivo incomprensibile, ha disattivato la possibilità di inserirli nelle pagine dei siti terzi. Di conseguenza, sono costretto a lasciarlo fuori dalla mia video-rubrica domenicale e mi limito a una semplice segnalazione culturale: provate a vedere qualcosa se e quando avete tempo e voglia per farlo.

Non si sa quando potremo andare noi in Sud Corea senza troppe rotture…


Interpretare il logo

Sicuramente tutti si sono già accorti del cambio del logo sulle app della Meta (ex Facebook):

Data una relativa novità (per ora) della immagine, io continuo ancora a farci caso ogni volta che compare sullo schermo del mio telefono. E mi sono accorto che ogni volta nella mia testa compare una delle due figure: a volte mi sembrano gli occhiali VR e a volte gli occhiali Ray-Ban Aviator. Capisco che la prima opzione è molto più vicina all’idea originale di Zuckerberg, ma non riesco a scacciare dalla testa la seconda.
Per fortuna, «Biz News Post» mi tranquillizza: c’è chi ha delle visioni molto più strane.


Se non sai cosa fare, cambia il nome

The Verge scrive che Mark Zuckerberg avrebbe l’intenzione di cambiare il nome di Facebook: il cambiamento dovrebbe essere realizzato già la settimana prossima. Non so quale possa essere l’utilità pratica del cambiamento di un nome conosciuto a quasi tutti gli utenti dell’internet (tranne forse alcuni cinesi incapaci di impostare un VPN). Probabilmente, l’idea è di creare un nome che rappresenti quell’impero di Facebook che proprio ora certe Istituzioni anti-monopolistiche vorrebbero smembrare. Beh, per il bene dei propri azionisti Zuckerberg è obbligato a mostrarsi sicuro di sé.
A preoccuparmi è una brutta osservazione storica: quando il dirigente di una qualsiasi azienda si concentra troppo sugli aspetti esterni, significa che ha esaurito le idee per un reale progresso tecnologico. Il Facebook, dal punto di vista tecnologico, è abbastanza scarso: meno funzionale dei forum che esistevano in internet già nella seconda metà degli anni ’90. Purtroppo, a questo punto potrei presumere che la crescita tecnologica continua a non essere tra le priorità di Zuckerberg.
Per fortuna, quindi, il creatore di un futuro social network normale ha tutto il tempo che vuole dovrà preoccuparsi solo del come attirare le grandi masse degli utenti. Per il resto, fare peggio del (ex) Facebook è impossibile.


Esistono veramente

Non ho mai visto tanti  coglio  geni alternativi riuniti nello stesso luogo… Ma non è vero, mi è già capitato, anche se nelle situazioni ben diverse… Insomma, «finalmente» anche me è capitato – ieri sera – di vedere dal vivo una manifestazione dei «no-green-pass». Non erano tantissimi (secondo me al massimo duecento), erano un po’ meno rumorosi di quanto si potesse immaginare e scortati da una ventina di poliziotti. Scandivano dei slogan – pochi e poco fantasiosi – contro il green pass e percorrevano la via Mascagni per arrivare (secondo me) alla prefettura. Niente cartelli, fumogeni o altro. Solo un manifestante accompagnava a mano una bicicletta decorata con delle bandierine italiane. Due o tre persone indossavano – miracolo! – le mascherine.

La triste realtà sta nel fatto che ogni forma di manifestazione contro l’obbligo del green pass è troppo simile a una manifestazione contro la vaccinazione. Una volta che ti sei vaccinato (da persona interessata alla salute propria e degli altri), cosa ti costa scaricare il rispettivo QR code sul telefono?
Allo stesso tempo, la realtà paradossale sta nel fatto che in una situazione di normalità – quindi diversa da quella di oggi – avrei compreso (e in parte forse anche appoggiato) la posizione di questi personaggi. In una società normale la presunzione del comportamento responsabile è molto vicina alla presunzione di innocenza.
Per fortuna, la coesistenza nella mia testa delle suddette due realtà non mi preoccupa. So benissimo, per esperienza personale e da tutti gli studi fatti durante la mia vita, che l’ultimo compromesso è una bestia inesistente. Non è mai l’ultimo. Ogni limitazione, ogni invasione del nostro spazio personale avanza a piccoli passi: ogni volta che facciamo una piccola concessione, una piccola eccezione, un nuovo piccolo compromesso, ci illudiamo di farlo per l’ultima volta e non ci accorgiamo di essere ancora più vicini alla nostra totale sconfitta. Il problema sta nel fatto che i manifestanti contro il green pass si sono svegliati troppo tardi, dopo oltre un anno e mezzo delle limitazioni spesso poco sensate. E si sono messi a manifestare contro una misura poco invasiva e abbastanza utile per la tutela della collettività nelle condizioni attuali.
Quindi sì, sono proprio belli tonti.