Qualche giorno fa mi è capitato di leggere un articolo su un presunto bug del Siri: l’assistente vocale sarebbe incapace di determinare l’età esatta del proprietario del dispositivo sul quale è installato. In particolare, pare che semplicemente sottragga l’anno di nascita dall’anno corrente, senza tenere conto del mese e del giorno di nascita: per esempio, la persona nata il 5 ottobre 2000 avrebbe secondo Siri già 22 anni.
Ovviamente, non potevo non andare subito a controllare. Ebbene, il mio compleanno è in primavera, ma Siri ha calcolato correttamente la mia età attuale:
Boh, mi sento quasi discriminato. E, soprattutto, non riesco a capire perché il problema sopra descritto si manifesti solo su una parte dei dispositivi. Non ne vedo alcuna spiegazione tecnica.
In compenso, Siri ha tentato – in un modo molto diplomatico – di darmi del rimbambito, ahahahaha…
L’archivio della rubrica «Elettronica»
È accaduto un evento epocale: i robot della Boston Dynamics non faranno più solo attori dei famosi (e realmente sorprendenti) video e non saranno impiegati (quasi per gioco) solo in alcune singole aziende o enti. Per la prima volta ho letto di una fornitura di massa dei robot della Boston Dynamics a una azienda concreta.
Ebbene, la Boston Dynamics ha annunciato di avere raggiunto un accordo con la DHL: fornirà una flotta di robot da impiegare nei magazzini statunitensi per lo scarico dei pacchi dai camion. I robot in questione si chiamano Stretch e consistono in un braccio robotico posizionato su una base mobile. Con sette gradi di libertà e ventose posizionate sulla estremità del braccio, il robot può «prendere» e spostare le scatole che pesano fino a 23 kg. Lo Stretch è dotato di telecamere e sensori per la navigazione e può funzionare fino a otto ore prima di dover essere messo in carica. Ma il vantaggio tecnico principale di questo robot consiste – pare – nella capacità di operare con le scatole di dimensioni diverse e con quelle accartocciate o danneggiate.
Il Boston Dynamics Stretch ha questo aspetto:
La DHL, a sua volta, comunica che col tempo questi robot saranno impiegati anche in altre fasi della gestione del magazzino.
Di fronte a questa notizia qualcuno potrebbe ricominciare a parlare dei posti di lavoro «rubati» agli umani. Questo qualcuno, però, sarà o un populista o una persona poco informata della realtà. Ma la realtà è molto curiosa: il settore logistico statunitense soffre da tempo un forte deficit della manodopera. L’anno scorso, per esempio, era stato raggiunto il record di 490 mila (!) posti vacanti nel settore. Di conseguenza, ma anche un po’ a sorpresa, le aziende sono costrette a robotizzare i magazzini. Aspettiamo di vedere cosa e come succede in questo ambito in Europa in generale e in Italia in particolare.
Esistono tanti modi – più o meno efficaci – di stimolare l’innovazione tecnologica a livello nazionale. Non sempre si tratta degli stimoli intenzionali: a volte si diventa innovatori reagendo a qualche situazione sfavorevole creata artificialmente. Uno degli esempi storicamente più interessanti è quello israeliano.
La telediffusione è iniziata in Israele nel 1968. In quel periodo quasi tutto il mondo sviluppato stava ormai passando alla telediffusione a colori, mentre i vertici israeliani erano molto attaccati alla immagine in bianco e nero. Tale arretratezza era giustificata in parte dai motivi economici (le attrezzature per diffondere l’immagine a colori risultavano troppo costose) e in parte dai motivi psicologici (i pionieri della televisione israeliana reputavano superflua l’immagine a colori). Quindi la televisione israeliana rimaneva tutta in bianco e nero.
Ma già negli anni ’70 la televisione israeliana aveva dovuto acquistare le attrezzature per la trasmissione della immagine a colori per le stesse ragioni economiche di prima: praticamente nessuno produceva ormai le attrezzature per l’immagine in bianco e nero, quindi i rispettivi prezzi d’acquisto erano diventati troppo alti.
Allo stesso tempo, la possibilità tecnicamente sempre più vicina di ricevere l’immagine a colori e il correlato import dei televisori a colori erano considerati un lusso inammissibile. Si temeva, infatti, che la televisione a colori potesse danneggiare l’economia nazionale e aumentare le disuguaglianze nella società (un televisore a colori costava circa 1500 USD). Alcuni, inoltre, temevano che la televisione a colori potesse portare a una sensibile riduzione del tempo dedicato dalle persone alla lettura e alla partecipazione alle attività pubbliche, mettendo dunque a rischio le norme tradizionali e la vita familiare.
Di conseguenza, l’unico (all’epoca) canale televisivo israeliano era stato obbligato ad accompagnare tutte le sue trasmissioni dal segnale chiamato Mehikon (letteralmente «cancellatore») per l’oppressione dei colori. Quindi anche i televisori a colori funzionavano come se fossero in bianco e nero. Non vi racconto tutti i dettagli tecnici che rendevano possibile questo trucco: in sintesi, all’epoca l’immagine veniva inviata verso i televisori a righe orizzontali, l’inizio non visualizzabile di ogni riga conteneva delle informazioni sui colori, quindi si interveniva su quella parte del segnale.
Gli ingeneri israeliani comuni non avevano però voluto rassegnarsi a tale limitazione e avevano dunque creato l’anti-mehikon: un dispositivo che si attaccava al televisore e neutralizzava l’oppressione dei colori. Questo strumento costava circa il 10% del prezzo di un televisore a colori. La produzione, l’aggiornamento e la diffusione (tre azioni svolte, ovviamente, in un modo clandestino) di tale dispositivo è continuata fino al 1981, l’anno dell’abbandono del mehikon da parte dello Stato.
C’è chi sostiene che la lotta tecnologica contro il mehikon abbia dato l’inizio ai processi che hanno portato, anni dopo, alla affermazione del Hi-Tech israeliano.
Il grande inventore Thomas Edison ebbe dei problemi di udito fin da piccolo a causa di una complicazione della scarlattina. Con l’avanzare dell’età i suddetti problemi non fecero che peggiorare e negli ultimi anni della propria vita Edison fu ormai completamente sordo. Tale aspetto dello stato di salute influì anche sul modo di lavorare di Edison.
Su tutti i fonografi di Edison sono presenti le tracce dei suoi denti: l’inventore mordeva il legno e ascoltava i suoni con il cranio attraverso la vibrazione dell’apparecchio. Non riusciva a sentire le frequenze più alte, odiava il vibrato vocale e definiva la musica di Mozart un insulto alla melodia. Ma il suo «orecchio interno» era tanto sensibile da permettergli di stupire gli ingegneri delle registrazioni audio con l’indicazione anche delle minime imperfezioni nelle loro opere: per esempio, una di valvola di flauto leggermente cigolante.
Vedo che la Commissione europea insiste con la sua vecchia idea di imporre per via legislativa il formato unico del caricatore per i dispositivi mobili. Come succede con tutte le idee provenienti dalla burocrazia, anche quelle apparentemente più sensate (sì, stranamente a volte capita), la realizzazione pratica arriva in un ritardo fatale. Il progetto presentato oggi, dal punto di vista tecnologico, è tardivo e quindi inutile (per non dire dannoso) a causa dei seguenti motivi:
Motivo № 1. Già da qualche anno stiamo entrando nell’epoca dei cosiddetti ecosistemi: ogni produttore spinge i consumatori fedeli ad acquistare solo i propri prodotti fisici e digitali ben integrabili tra loro. Non sarà certo una decisione europea su un argomento molto specifico a invertire la tendenza. E, soprattutto, non deve: significherebbe ostacolare il progresso tecnologico e privare le parti del mercato di una forma di comodità (dovrebbe invece essere regolata la possibilità di trasferire i dati da un ecosistema all’altro).
Motivo № 2. Lo stesso sviluppo tecnologico sta superando la ricarica via cavo: i caricatori sui quali è sufficiente appoggiare un telefono stanno diventando sempre più veloci (ormai sono passati da un massimo di 15 watt di pochi anni fa a un massimo di 65 watt di oggigiorno). Rappresentano dunque il futuro sempre più vicino. Quindi l’iniziativa della Commissione assomiglia al tentativo di regolare la circolazione dei cavalli sulle strade urbane.
Motivo № 3. I produttori principali stanno già ora vendendo i caricatori separatamente dai dispositivi mobili: la prima è stata la Apple con l’iPhone 12, poi è stata seguita da alcuni altri produttori che hanno copiato la scelta per i propri modelli più costosi.
Circa dieci anni fa, quando l’idea del tipo unico di caricatore era stata dichiarata per la prima volta, aveva ancora senso parlarne: i tre suddetti motivi erano molto meno evidenti. Ma ora ci troviamo in un mondo un po’ diverso…
C’è sempre qualcuno che si chiede cosa siano quei due (in rari casi uno) rettangoli di vetro posizionati sul palcoscenico durante una conferenza o una presentazione:
Poiché nessuno venga costretto a temere di fare una domanda apparentemente stupida, io prendo l’iniziativa e rispondo in anticipo. Continuare la lettura di questo post »
Mi capita spesso di sentire o leggere della presunta tattica degli industriali di produrre gli oggetti tecnologici in modo da farli durare («vivere») poco tempo e riuscire quindi a mantenere un buon livello delle vendite. Delle vendite dei prodotti nuovi, ovviamente.
Ebbene, secondo il mio parere autorevolissimo, si tratta di una palese stronzata inventata dai giornalisti poco intelligenti: una specie dell’ennesima teoria del complotto. Infatti, un comportamento come quello sopraindicato è sconveniente per i produttori stessi: se un oggetto si rompe troppo presto (oppure il giorno dopo la fine della garanzia), il consumatore andrà a comprare l’oggetto sostitutivo da uno dei numerosi concorrenti e non da chi ha appena perso la sua fiducia.
Le uniche due cause reali della scarsa longevità della elettronica, delle automobili e di tutti gli altri oggetti sono altre: l’inadeguatezza professionale dei progettisti e la tendenza mondiale a minimizzare i costi di produzione (per esempio, risparmiando sui materiali di qualità). Non so bene come si possa risolvere il secondo problema senza perdere la concorrenza sul mercato di massa, ma capisco che la scarsa qualità del prodotto finale non è certo tra gli obiettivi intenzionalmente prefissati dai produttori.
Gli oggetti che durano tanto esistono, ma hanno dei prezzi non accessibili alla maggioranza dei consumatori e sono circondati da altre leggende metropolitane.
Su Kickstarter è stato preannunciato un accessorio abbastanza particolare: la tastiera meccanica Keyboardio Model 100 con la base ergonomica realizzata in legno. Oltre al materiale e al design originale, la tastiera ha pure diversi tipi di interruttori, la retro-illuminazione RGB personalizzabile e i tasti riprogrammabili.
È possibile scegliere tra due tipi di legno: noce o acero. La tastiera è divisa in due sezioni, ciascuna delle quali ha 32 tasti. Secondo gli sviluppatori del dispositivo, la forma fisica speciale dei tasti permetterebbe di digitare per diverse ore senza affaticare le mani.
I diversi tipi di interruttori prevedono la risposta sonora e tattile dei tasti, solo quella tattile o solo quella lineare. L’accessorio viene fornito con un cavo USB, un cavo di collegamento per le due metà della tastiera (sezioni) e i supporti che permettono di scegliere tra otto posizioni delle sezioni (con le viti di fissaggio e un cacciavite).
Il prezzo del Keyboardio Model 100 su preordine è di 289 USD. Il progetto ha già raccolto più di 900 mila dollari contro l’obiettivo iniziale di 100.000 dollari. Le prime consegne della testiera sono previste per il gennaio del 2022.
Esiste pure un video promozionale del progetto:
Boh… Non so se una tastiera del genere riesca a diventare popolare nel lungo termine: essendo troppo diversa dalle altre tastiere – anche da quelle ergonomiche – richiederà del tempo per acquisire le nuove abitudini e, qualora non dovesse più piacere, per tornare alle tastiere più tradizionali. Penso che in molti l’abbiano preordinata per gioco o per curiosità e non so in quanti riescano a usarla costantemente (e quindi consigliarla agli altri).
Io, personalmente, ormai da qualche tempo sto valutando – anche se per ora mo-o-o-lto ipoteticamente – l’opportunità di passare a una tastiera ergonomica, visto che sono costretto a produrre sempre più testi nella stessa quantità di tempo. Ma non so se avrei preso in considerazione una tastiera come quella appena descritta nemmeno se fosse offerta a un prezzo più umano.
L’artista coreano Dakd Jung è riuscito a creare un incrocio tra un altoparlante (che si connette via bluetooth) e il vecchio Winamp: all’interno del dispositivo c’è un liquido ferromagnetico che cambia forma in base al ritmo della musica riprodotta. L’effetto visivo avviene perché il liquido è polarizzato sotto l’influenza del campo magnetico.
Sarà anche un prototipo curioso, ma nella vita reale potrebbe essere un po’ fastidioso nel lungo periodo. La rispettiva finestra del suddetto Winamp, almeno, poteva essere nascosta…
Il sito Sony Alpha Rumors sospetta, non senza ragione, che la Sony abbia smesso di produrre le reflex (in sostanza, le macchine fotografiche con un sistema di specchi interno). Infatti, dal sito ufficiale del produttore sono state rimosse le informazioni sugli ultimi modelli rimasti: A99 II, A77 II e A68.
Nonostante una storia relativamente breve della serie «Alpha» della Sony, tali macchine erano diventate velocemente interessanti dal punto di vista tecnico e si erano affermate sul mercato. Di conseguenza, la loro scomparsa mi sembra un segnale in un certo senso preoccupante: molto spesso, infatti, la Sony riesce ad anticipare le tendenze del mercato tecnologico.
La notizia, poi, va letta assieme alle voci circa l’intenzione della Canon (il produttore principale nel mondo con il 36,8% del mercato) di abbandonare la produzione delle reflex e l’intenzione della Nikon di trasferire la produzione delle reflex in Tailandia.
In sostanza, chi vuole comprarsi una reflex nuova e di qualità, lo faccia ora. Perché non si sa cosa possa succedere nei prossimi mesi (o pochissimi anni). Io, da parte mia, posso ricordare a tutti gli interessati che nessuna delle macchine fotografiche completamente digitali note a me riesce a raggiungere la velocità di messa a fuoco di una reflex. Non so perché succeda così: gli smartphone — spesso scomodi da usare e limitati nelle funzioni fotografiche — sono velocissimi, mentre le macchine fotografiche no. Rimane il fatto: chi vuole continuare a combinare la velocità e la professionalità, deve farsi «una scorta».