La parola «coniuge» è una delle più cazzute in tutte le lingue del mondo che la dispongono. Può essere ammissibile nel linguaggio burocratico/notarile, mentre nel lessico umano quotidiano fa vomitare. Lo stesso vale per la parola «partner» applicata alla persona con la quale si ha un determinato rapporto intimo.
«Ciao, io sono Tizio e lei è la mia coniuge Caia».
«Buongiorno, Tizio. Io sono Maria e lui è il mio partner Sempronio».
Parlate da umani!
L’archivio della rubrica «Cultura»
Si usa dire e scrivere che il film «Jojo Rabbit» di Taika Waititi parli di un bambino che è cresciuto nell’atmosfera della propaganda nazista, che vuole diventare un vero nazista e che ha un amico immaginario chiamato Adolf Hitler. Altrettanto diffusa è l’idea idillica che il bambino inizi ad allontanarsi, crescendo, dalla ideologia nazista. E poi che il bambino ama gli animali… Effettivamente, sarebbe troppo bello e facile vedere solo queste cose. Ma in realtà il film è molto più profondo e interessante di tutti gli effetti visivi elencati.
Anche se non avete ancora visto il film (veramente?), non abbiate paura di leggere qualche spoiler nel mio testo. Un buon film non è fatto di sole scene inquadrate, come un buon libro non è fatto di sole storie raccontate.
Prima di tutto bisogna rendersi conto del fatto che il protagonista del film è caratterizzato dal non compiere alcuna azione. Il nostro simpatico bambino rispetta rigorosamente (a volte anche troppo) tutte le formalità estetiche del regime sotto il quale è cresciuto (l’abbigliamento e le parole giuste), ma non riesce a fare alcunché di concreto e, allo stesso tempo, ha sempre paura. In ogni episodio della sua vita le proporzioni della paura e della incapacità variano, ma il risultato è sempre lo stesso: zero azioni. Non riesce a partecipare alle attività collettive perché ha paura; ha paura di apparire incapace e quindi non riesce ad adempiere ai compiti individuali nel bosco, sul campo e in città. Alla fine non va nemmeno a difendere fisicamente il regime e si nasconde negli sotterranei, ma lo fa sempre per paura e non per convinzione.
E infatti dobbiamo capire che il film non parla di un bambino. Il film parla di una comune persona piccola. Di quel omino che vuole necessariamente sentirsi parte di una entità grande, forte e ammirata, ma sceglie la via più semplice per raggiungere l’obiettivo: si schiera dalla parte di un leader carismatico che sa fare le promesse, che ha già una soluzione semplice per tutti, che adula abilmente i sentimenti primitivi comuni alle grandi masse delle piccole persone comuni. Gli esempi storici non si limitano al solo Hitler: anche negli anni più recenti abbiamo visto salire alla guida di molti Stati dei leader del genere. La persona piccola ascolta avidamente le belle favole del/sul proprio leader, le coltiva nella propria mente, le ritrasmette al mondo circostante. Le ritrasmette non per informare o predicare, ma per convincere gli altri (e forse se stesso) delle proprie utilità e importanza. Ma non fa nulla di concreto. Ha solo paura. Ha paura non di andare contro il sistema (un pensiero del genere non verrebbe mai nella sua mente), ma di vivere la vita attiva piena di rischi e responsabilità personali. È solo una piccola persona comune, «umile e onesta».
Le persone del genere devono essere guidate per mano nel corso di tutta la vita. Quando il grande leader del turno sparisce per sempre (prima o poi succede a tutti gli umani), la persona piccola inizia a cercarsi un’altra guida, un altro leader. Lo cerca quasi inconsciamente, lo cerca perché non sa vivere diversamente come un bambino comune non sa vivere senza la mamma. E il nuovo leader – che sorpresa – è sempre una persona presente nelle vicinanze già da tempo, ma fino a poco fa considerata un nemico che merita solo minacce e beffe.
La persona piccola si pentirà? Si pentirà almeno del proprio passato? Si pentirà per avere sostenuto qualcosa di disumano? Si pentirà per essersi comportato in modo disumano anche solo dal punto di vista morale, senza compiere delle azioni fisiche concrete? Si farà delle domande? Capirà, almeno, che ha un bisogno vitale di essere guidato, non importa molto da chi? Nella maggioranza dei casi umani la risposta è, purtroppo, no. Nemmeno se per la colpa di quel passato disumano ha perso una delle persone più care. Pure tra i parenti e i discendenti delle vittime delle repressioni staliniane ci sono tuttora moltissimi stalinisti convinti. Ma, in ogni caso, il nostro protagonista continuerà a seguire tranquillamente la corrente della vita.
«Jojo Rabbit» è un tristissimo film sul destino di una piccola persona comune.
Guardate il film se non lo avete ancora fatto. È molto attuale anche per l’Italia.
La Sinfonia n. 3 in mi bemolle, detta Eroica, fu composta da Ludwig van Beethoven tra il 1802 e il 1804 e dedicata dall’autore stesso a Napoleone Buonaparte. In quegli anni, infatti, il destino e l’attività eroica del generale francese furono ancora largamente ammirati in tutto il mondo occidentale. L’auto-incoronamento a imperatore fu però un gesto che fece perdere – almeno al compositore tedesco – il resto di quei sentimenti positivi. Beethoven tolse dunque il nome di Napoleone dalla partitura e inserì quello del principe boemo Joseph Franz Maximilian von Lobkowicz.
La cosa che personalmente io trovo molto strana è il fatto che in qualità dell’inno europeo sia stata scelta un’altra sinfonia di Beethoven. Eppure, nonostante una notevole quantità degli aspetti negativi, Napoleone Buonaparte fu il primo ideatore di quella entità territoriale che oggi conosciamo con il nome di Unione Europea. In più, molti Stati dell’UE vivono ancora nei contesti giuridici e culturali ereditati dall’operato di Napoleone…
Insomma, come ben sapete, oggi è la Festa dell’Europa. Mentre martedì era l’anniversario della morte di Napoleone. Quindi oggi è il giorno ideale per ascoltare la Sinfonia n. 3 «Eroica» di Ludwig van Beethoven.
La lunga quarantena mondiale stimola molte persone a creare qualcosa di nuovo, a realizzare qualche vecchio piano lavorativo, finire un progetto archiviato tempo fa o, semplicemente, decidere di pubblicare qualcosa che altrimenti sarebbe rimasto nel cassetto per chissà quanti altri anni (forse per sempre).
Tutto questo vale anche per i musicisti che non hanno potuto svolgere la loro attività professionale quotidiana: concerti, tour o registrazioni in studio. Ma la creatività — non solo quella musicale — non si spegne con un tasto come un computer. Nel corso della quarantena molti musicisti hanno saputo pubblicare qualcosa di nuovo. Quindi oggi nella mia rubrica musicale propongo due dei tantissimi esempi scoperti nelle ultime settimane.
L’esempio numero uno. Per la prima volta dal 2012 i The Rolling Stones hanno pubblicato una canzone nuova: «Living In A Gost Town»:
L’esempio numero due. Per la prima volta dal 2016 i Kings of Leon hanno pubblicato una canzone nuova: «Going Nowhere»:
E chissà quanta musica nuova è stata scritta in attesa della riapertura degli studi.
Qualcuno dei lettori potrebbe avere visto, nei giorni scorsi, quel video realizzato dalla polizia finlandese con il cantante lirico e poliziotto Petrus Schroderus che canta la canzone «Rakastan sinua, elämä» camminando per la città vuota.
Non tutti sanno, però, che si tratta della traduzione di una canzone russa del 1956. In originale essa si chiama «Ti amo la vita» («Я люблю тебя, жизнь»); fu scritta per il noto cantante Mark Bernes, ma una delle sue interpretazioni più famose è del cantante Georg Ots:
So che nel 1963 erano state registrate in URSS anche le versioni in inglese («I’m in Love With You, Life») e in francese («Oui, je t’aime, la vie»), ma non le ho ancora trovate su YouTube.
Non ho mai capito perché così tante persone trovano difficile da ascoltare la musica di Charles Camille Saint-Saëns… Certo, nel corso di tutta la sua lunga carriera da compositore, Saint-Saëns è sempre stato un innovatore (forse da giovane lo è stato in una misura un po’ più grande), ma dal punto di vista melodico e ritmico non produceva delle cose impossibili da seguire. Anzi, in alcune occasioni tenderei a pensare proprio l’opposto.
Ma, in ogni caso, non pretendo di apparire un grandissimo esperto. Anche per questo oggi nella rubrica musicale metto due sue composizioni famosissime.
La prima è «Le Carnaval des animaux» suonato dalla Symphony Orchestra of The Stanisław Moniuszko Music School in Wałbrzych:
E la seconda è «Le danse macabre» suonata dalla Orchestra Filarmonica della Radio France:
È bello e interessante il progetto «Le chiese dimenticate d’Europa» del fotografo britannico James Kerwin.
Il prestigio della religione sta scendendo velocemente in tutto il mondo. Nel solo 2017 in giro per il mondo sono state definitivamente chiuse quasi dieci mila chiese. Non perché gli invasori extraterrestri armati hanno vietato agli umani di credere, ma perché i dogmi religiosi sono passati di moda. La spiegazione scientifica del mondo è infinitamente più bella, interessante e ampia della primitiva concezione religiosa. Non solo: evolve pure nel tempo e lo fa in un modo abbastanza veloce. Quindi è ovvio che la gente non ci va più in chiesa.
Non dobbiamo nemmeno dispiacerci per la «perdita» degli edifici religiosi. Quelli veramente interessanti dal punto di vista storico e/o artistico – si tratta in realtà di una percentuale non altissima – vengono restaurati e trasformati in musei, biblioteche e negozi.
Inoltre, non penso che ci sia un rischio reale dell’arrivo delle moschee al posto delle chiese cristiane: pure nel mondo islamico la religione sta visibilmente perdendo la popolarità.
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Uno dei misteri più grandi del periodo corrente è la diffusione pressoché totale della moda di consentire l’accesso libero alle risorse digitali.
Certo, dal punto di vista sociologico (o forse psicologico) si tratta di un esperimento molto curioso: esso permette di capire se nella vita normale le masse non «consumano» la cultura perché non hanno soldi o perché in realtà non se ne interessano. Perché se non accedono a una risorsa culturale nemmeno se è gratuita e accessibile dal computer personale, la presunta mancanza di soldi o di tempo diventa solo una scusa miserabile della propria pigrizia intellettuale.
Ma io non riesco a capire l’aspetto economico del fenomeno di cui all’inizio del post. Quale logica economica ci potrà mai essere nell’aprire l’accesso a tutto solo perché è aumentata la domanda? È la paura di perdere in popolarità? Ma la popolarità non si mangia, non si beve e non funziona come un pezzo di abbigliamento. Di cosa vivranno domani gli autori dell’accesso libero? Si lamenteranno della crisi economica e della mancanza degli aiuti?
In realtà non c’è alcunché di male nel guadagnare con il proprio lavoro. I soldi in entrata sono un equivalente degli sforzi professionali e degli investimenti necessari per realizzare un qualsiasi prodotto o servizio. Il male sta nel tentativo di trasformare tutti i lavoratori in volontari e umiliare tutti coloro che manifestano il proprio disaccordo.
Tutto deve essere pagato. Se non vuoi pagare, non ricevi.
Nella storia musicale esistono due «edizioni» di Chris Rea: pre- e post malattia. Nella seconda fase della sua carriera musicale – più o meno dall’inizio degli anni 2000 – Rea mostra delle tendenze più nette al blues. Proprio a questa fase è dedicato il mio post musicale di oggi.
La prima canzone selezionata è la «Dancing the Blues Away» (dall’album «Stony Road» del 2002):
E la seconda è «The Last Open Road» (dall’album «Santo Spirito Blues» del 2011):
Il post musicale di questo sabato è dedicato a Frédéric Chopin: un grandissimo compositore e musicista polacco che già ai tempi dell’infanzia ebbe delle capacità musicali non inferiori a quelle di Mozart.
Chopin ebbe una vita poco più lunga e non meno «produttiva» e carica di emozioni. Potrei aggiungere che il nostro protagonista morì – come si ipotizza dai biografi a noi contemporanei – di una malattia polmonare, ma forse mi conviene evitare.
Concentriamoci sulla bella musica. Oggi ascoltiamo il Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in mi minore (op. 11) suonato dalla Orchestra Filarmonica israeliana con la partecipazione del pianista Evgeny Kissin.