Dai The Beatles sciolti erano usciti, ai tempi, due musicisti-solisti che mi sembrano decisamente più interessanti del gruppo stesso. Avevo già postato qualcosa di Paul McCartney, mentre oggi mi sono finalmente deciso di ricordare anche George Harrison.
La prima canzone scelta è la «My Sweet Lord» (fa parte del primo album da solista «All Things Must Pass» del 1970):
E la seconda canzone scelta è la «Bangla Desh» (dall’album «The Concert for Bangla Desh» del 1971):
L’archivio della rubrica «Cultura»
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Non penso che il compositore Antonio Vivaldi debba essere presentato ai miei lettori. Quindi semplicemente posto le sue composizioni più famose – i quattro concerti per violino «Le quattro stagioni» – che rappresentano una fonte infinita di buon umore.
In questo specifico caso a suonare è la Filarmonica della Scala diretta da Riccardo Muti.
Molto probabilmente, le persone che seguono attentamente le novità del cinema mondiale hanno già avuto l’occasione di leggere del film «Unsubscribe».

In sostanza, il regista Christian Nilson e il suo amico Eric Tabach hanno logicamente ipotizzato che qualsiasi film uscito nei cinema ai tempi della pandemia è condannato a finire in cima ai box office. Nilson ha dunque scritto in un solo giorno la sceneggiatura di un film horror che poi è stato «girato» in una settimana con l’aiuto del videochat Zoom. Secondo la trama, cinque persone si collegano in una conferenza video e finiscono a essere perseguitati da un troll.
Dopo avere prodotto il film – spendendo, secondo quanto dichiarato ufficialmente, ben 0 dollari – i due hanno affittato una sala cinematografica a Westhampton Beach (nello Stato di New York), hanno comprato tutti i biglietti e hanno mostrato il film in una sala vuota il 10 giugno. Il film ha dunque «raccolto» 25.488 dollari finendo in cima ai box office. Si tratta di un risultato scontato: in termini degli incassi hanno superato di ben 25.488 dollari il migliore dei concorrenti ahahaha
Ora il film è pubblicato su Vimeo e gli amanti del horror potrebbero provare a vederlo.
Io, intanto, avviso tutti gli interessati che il suddetto film assomiglia tantissimo al buon film «Unfriended» del regista Levan Gabriadze. Io lo consiglio serenamente anche perché è stato realizzato direttamente in inglese: tutti potranno vederlo in una lingua comprensibile.
Molto probabilmente vi è capitato di notare una differenza sistemica (solo per non dire «sessista») tra l’abbigliamento maschile e quello femminile.

Sui vestiti maschili i buttoni sono a destra e su quelli femminili a sinistra.
Esiste una spiegazione storica a questo fenomeno. I primi buttoni comparsi in Europa erano in sostanza una simbiosi tra un buttone e un gioiello. Di conseguenza, potevano permetterselo solo le persone ricche. Le signore ricche, in particolare, non si vestivano da sole: lo facevano con l’aiuto delle serve. E siccome la maggioranza delle persone hanno la mano destra più operativa (sono destri), sui vestiti femminili i buttoni si fissavano a sinistra esclusivamente per la comodità delle serve. In sostanza, è stata la servitù a influire la moda per secoli in avanti.
Però non riesco a capire perché tale tradizione venga mantenuta tuttora.
Come non so perché le femministe non si lamentino di questa «disparità». Perché loro si vestono da uomini o perché in realtà sono poco attente al mondo circostante?
Il gruppo rock sovietico Gorky Park è stato un fenomeno stranissimo e, come potrei immaginare ora, non destinato a un successo duraturo a causa di tutte le sue particolarità. Prima di tutto, è un gruppo perfettamente artificiale, inventato e raccolto da un manager (Stas Namin, un personaggio a sua volta molto particolare in tutti i sensi). Si tratta dunque di una nascita abbastanza anomala: solitamente sono i gruppi pop a essere creati dai manager, mentre i gruppi rock nascono nelle cantine o nei box, per volontà di amici o conoscenti che condividono gli stessi interessi per la musica più sensata e «impegnativa». L’unica eccezione fortunata alla regola che conosco io sono i «The Rollig Stones», creati da Andrew Loog Oldham come gli anti-«The Beatles».
In secondo luogo, per il volere del manager il gruppo Gorky Park è stato fin da subito pensato come un prodotto destinato al mercato estero (in particolare gli USA). Se inizio a spiegare tutti i motivi di questa scelta, mi viene un manuale di sociologia sovietica, quindi passo subito all’aspetto culturale che volevo sottolineare. Il gruppo è stato sempre caratterizzato da una immagine che potremmo definire «kitsch russo»: esso consisteva nell’abbigliamento pseudorusso, l’uso massiccio della simbologia sovietica e degli strumenti musicali stilizzati («balalaika elettriche» etc).
Nonostante tutto questo – ma in parte anche grazie a – il gruppo ottenne un certo successo negli USA e una parte dell’Europa. Una parte della popolarità, sicuramente, fu dovuta anche all’interesse verso le persone provenienti da uno degli Stati più particolari di quel momento storico.
Quindi oggi ho pensato di postare due canzoni dal primo album dei Gorky Park: l’unico prodotto non solo dalla formazione originale, ma anche sotto la direzione del manager-creatore.
La prima canzone scelta è quella più nota: «Bang» (dall’album «Gorky Park» del 1989):
Mentre la seconda è la «My Generation» (sempre dall’album «Gorky Park» del 1989):
Nel 1990, a causa di alcuni conflitti interni, il cantante Nikolai Noskov lasciò il gruppo. I restanti tre membri del «Gorky Park», convinti delle proprie capacità e popolarità, decisero di sbarazzarsi del manager-creatore e di rimanere illegalmente negli USA dopo la scadenza dei visti. Tuttavia, non riuscirono più a produrre delle canzoni della stessa popolarità di prima. Di fatto, il gruppo si sciolse abbastanza velocemente e tutti i componenti si ridussero al pop più o meno schifoso. Da oltre vent’anni vivono tutti in Russia.
Non è ancora passato un virus, ed ecco che ne arriva un altro: più pericoloso perché non curabile per via farmacologica.
Le grandi masse di persone in tutto il mondo hanno deciso – per l’ennesima volta – che fosse possibile rivalutare il passato secondo i criteri morali di oggi. E l’assurdità dei dettagli non è inferiore a quella dell’idea generale: a Milano il primo bersaglio è diventato Indro Montanelli (si vedano il tentativo 1 e il tentativo 2).
La storia di un qualsiasi Paese preso a caso è piena di guerre, commercio degli schiavi, genocidio e crimini di massa. L’Impero Roma, L’Impero mongolo, il Califfato, l’Impero ottomano, l’Inghilterra, la Francia, la Spagna, la Germania, la Cina, il Giappone, gli Stati Uniti, l’URSS e così via.
Pure l’Italia contemporanea è piena delle rappresentanze (ma anche monumenti e rapporti giuridici con) di uno micro-Stato che si basa su una ideologia che nel corso di lunghi secoli ha causato – e continua a causare tutt’oggi – milioni di morti in tutto il mondo: attraverso l’inquisizione, le crociate, le guerre e le persecuzioni scatenate per motivi religiosi.
Per la pace comune e la serenità interiore conviene capire presto due principi importantissimi. In primo luogo, il nostro mondo è una continua evoluzione. In secondo luogo, il principio di non retroattività non è solo un concetto giuridico: si applica anche ai valori morali.
Di conseguenza, le vie percorribili sono solamente due:
1. Demolire quasi tutti i monumenti ai grandi personaggi della storia. Ma in questo caso prepariamoci al fatto che un domani, in un’altra fase dello sviluppo della società, verremo «demoliti» pure noi. Perché? Per esempio, perché abbiamo «sfruttato» le donne delle pulizie latinoamericane o i conducenti dei tram arrivati dal Sud Italia. Oppure perché abbiamo «maltrattato» i figli bocciati, ammazzato delle zanzare, detto delle bugie, mangiato della carne etc.
2. Riconoscere che nella storia della nostra civiltà sono successe molte cose. Molte cose che oggi ci sembrano negative, ma che ormai appartengono al passato. Cerchiamo dunque di trarre delle giuste conclusioni e di fare in modo che non si ripetano più.
La seconda via è molto più lunga e difficile. Forse per questo motivo è anche poco popolare. Ma io spero che diventi presto di moda.
Esiste qualcosa di più osceno delle camicie maschili con le maniche corte?
Solo le camicie maschili di colore rosa.

Bisogna essere proprio un [censured] per comprarle e indossarle.
Milij Balakirev è uno dei più noti compositori classici non professionisti russi. Come la maggioranza dei suoi colleghi, non svolse nemmeno gli studi musicali rilevanti dal punto di vista accademico (frequentò la Facoltà di Matematica della Università di Kazan senza però laurearsi). Ma, a differenza di alcuni colleghi non professionisti, dedicò quasi tutta la sua vita professionale alla musica: insegnò il pianoforte, diresse la Scuola musicale gratuita imperiale prima e la Cappella accademica statale poi, in alcune occasioni diresse l’orchestra sinfonica patrona dalla famiglia zarista.
In qualità di compositore non scrisse tantissimo, me nemmeno poco.
Per il post musicale di oggi ho scelto probabilmente non la più ovvia tra le sue composizioni, ma una delle mie preferite: il poema sinfonico «Tamara». La versione del video è suonata dalla Orchestra Sinfonica di Montréal (direttore Kent Nagano):
Spero che la quarantena dovuta al coronavirus – a livello globale sta ancora continuando – insegni anche una cosa importantissima per la cultura mondiale: tutti i musei devono funzionare anche in formato «Google Street View». L’ottimo esempio di quello che intendo è questo progetto dedicato alla tomba del faraone Ramses VI (prestate l’attenzione anche al soffitto).

Una visita virtuale del genere sarebbe decisamente più interessante del semplice scrolling delle immagini di un qualsiasi museo.



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