Ho saputo solo ieri sera del fallimento della casa editrice UTET Grandi Opere, avvenuto a ottobre.
Di fronte a tale notizia, posso constatare solo due cose.
In primo luogo, ricorderei a tutti che è scorretto affermare che sia fallita la UTET (la casa editrice che io, come molti miei colleghi, apprezzo anche per i libri giuridici di qualità): la sezione «Grandi Opere» è una società separata da oltre sette anni.
In secondo luogo, ammetto di non capire come abbia potuto sopravvivere fino ai giorni nostri una casa editrice specializzata nella pubblicazione di dizionari ed enciclopedie. Non posso certo mettere in discussione la qualità intellettuale e materiale dei rispettivi volumi pubblicati, ma si tratta sempre di due settori «mangiati» oltre un decennio fa dall’internet. Nel solo passaggio globale dalla carta al digitale (o allo schermo, se preferite) non c’è alcunché di male: il secondo è infinitamente più comodo dal punto di vista pratico e, allo stesso tempo, non influisce in alcun modo sui contenuti. Anzi, permette di allargare più facilmente i confini delle informazioni utili ricevute. È invece molto grave non sapersi adeguare alla normale evoluzione del mondo circostante. Perché il valore della conoscenza tende allo zero quando non si è in grado di fornirla al prossimo (in realtà anche di utilizzarla, ma ora parliamo solo di una casa editrice). La conoscenza conservata e/o servita con una modalità obsoleta diventa, purtroppo, solo un peso inutile. Di conseguenza, il fallimento del suo divulgatore che non si adegua alla vita dinamica è solo una questione di tempo.
In ogni caso, gli archivi, le opere pubblicate o in lavorazione e i cataloghi costituiscono un enorme cespite che non andrà di certo perso. Dobbiamo solo sperare che finiscano nelle mani di qualcuno che sia più preparato alla vita reale contemporanea.
Il fallimento e l’evoluzione
(17 novembre 2020)
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