L’archivio del tag «ucraina»

La sociologia da arsenale

Non è la prima notizia del genere che mi capita di leggere e di condividere con voi, ma questo aspetto non la rende meno interessante.
In Polonia dal 28 giugno sta continuando la raccolta dei fondi per l’acquisto dei «Bayraktar» da donare alla Ucraina. La campagna di crowdfunding è in corso sulla piattaforma Zrzutka.pl, dove oltre 200 mila persone in meno di un mese hanno già raccolto quasi 5 milioni di euro (più di 23 milioni di złoty). La raccolta dei fondi è stata promossa da Slawomir Sierakowski, un giornalista e politologo polacco, il quale ha detto che essa – la campagna – continuerà ancora per diversi giorni, nonostante l’obiettivo inizialmente dichiarato sia già stato raggiunto: perché «c’è un gran numero di persone desiderose ad aderire». I soldi raccolti oltre l’obiettivo prefissato saranno trasferiti sul conto delle Forze Armate dell’Ucraina presso la Banca Nazionale Ucraina.

A questo punto penso che la raccolta dei fondi per l’acquisto degli armamenti costosi da donare alla Ucraina possa anche essere trasformata in una forma di ricerca sociologica. Una ricerca avente per l’obiettivo rispondere alla domanda «quanti residenti/cittadini dello Stato X sono disposti a sostenere attivamente l’Ucraina?». Probabilmente, molte persone vedranno per la prima volta nella vita l’utilità pratica della sociologia (anche se in realtà è utile anche in tanti altri sensi).


Gli 8 anni del MH17

Quasi una settimana fa, il 17 luglio, c’è stato l’anniversario di un avvenimento che sta rischiando di finire un po’ dimenticato con la guerra putiniana in Ucraina: l’abbattimento del Boeing della Malaysia Airlines MH17, avvenuto nel cielo dell’est ucraino nel 2014. Eppure, oggi lo potremmo considerare uno dei primi atti realmente folli di una guerra iniziata già oltre otto anni fa.
Proprio a questo argomento è legata la lettura che vi consiglio per questa settimana: le storie di cinque famiglie olandesi che hanno perso i propri figli in Ucraina nell’articolo «Our children were killed by Putin too» di Ekaterina Glikman.


Un’altra forma dell’anonimato

Sabato mi era già capitato di consigliarvi un articolo sull’anonimato di fatto imposto agli alti ufficiali russi che partecipano alla guerra in Ucraina. Da oggi la descrizione di tale situazione può essere integrata da un nuovo elemento curioso.
Il Ministero della «Difesa» russo ha diffuso la notizia sulla ispezione, fatta dal ministro Sergey Shoygu, del raggruppamento militare russo «Zapad» («Occidente» in italiano), che sta combattendo in Ucraina. Il ministro avrebbe visitato il posto di comando e avrebbe ascoltato il rapporto del comandante del raggruppamento, il tenente generale Andrey Sychevoy. Uno degli aspetti più interessanti della notizia consiste nel fatto che non è stato precisato dove e come combatte il raggruppamento «Zapad» (e nemmeno da quando viene comandato da Andrey Sychevoy).
Più o meno tutte le persone che hanno fatto degli studi — accademici o personali — delle materie militari si ricordano uno dei principi-base: ogni militare che partecipa a una guerra inizia a sentire, prima o poi, la necessità di essere riconosciuto come eroe. La mia osservazione potrebbe sembrare un po’ preoccupante, ma non posso non farla: nel termine medio-breve il suddetto principio potrebbe costituire una fonte di speranza.


Lo Stato-terrorista

Il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky nel suo discorso al termine del 141-esimo giorno di guerra si è rivolto, contrariamente alla prassi, non ai cittadini del proprio Stato, ma al «mondo democratico». E ha chiesto che dopo il bombardamento della città di Vinnytsya la Russia venga finalmente riconosciuta come «Stato terrorista».
In tale richiesta – in una certa misura emotiva – c’è anche un po’ di logica. Ma il vero lavoro diplomatico (quello non del tutto pubblico) della Ucraina dovrebbe oggi concentrarsi sullo scioglimento dell’ONU: perché, purtroppo, nemmeno gli Stati-terroristi possono essere cacciati dal Consiglio di sicurezza. Ma finché un terrorista continua ad avere un incarico tra le forze dell’ordine, qualsiasi definizione più o meno pesante assegnatagli non ha molto senso pratico.


L’effetto HIMARS

È bello confrontare due mappe: quella a sinistra che illustra i bombardamenti dell’8 luglio (da dove provenivano i bombardamenti), e quella destra che illustra la situazione dopo la distruzione dei depositi russi il 12 luglio. Il numero di bombardamenti è diminuito di dieci volte. Non ci sono più munizioni e non si sa quando verranno portati quelli nuovi.

Potrebbe essere la migliore spiegazione del perché fornire gli armamenti all’Ucraina.


Aiutare salvandosi la faccia

Dicono che la Germania sta bloccando da oltre un mese un pacchetto da nove miliardi di aiuti destinati dall’UE all’Ucraina. Allo stesso tempo, sembra che la Germania sia intenzionata a restituire alla Gazprom la turbina della Siemens riparata ma bloccata in Canada a causa delle sanzioni.
A questo punto si potrebbe pensare che nell’ottica della guerra in Ucraina il comportamento della Germania, come pure di diversi altri Stati europei, sia abbastanza strano. Più uno Stato è lontano dalle zone dei combattimenti e più è strano il suo comportamento (anche sulla questione della fornitura degli armamenti). È strano anche perché dopo il comprensibile entusiasmo iniziale nell’adottare le sanzioni contro la Russia, l’Europa sta lentamente passando alla necessità di «salvare la faccia» (© Macron) propria e non di Putin: azzerando, appunto, ogni forma di partecipazione politica-economica al conflitto incorso ma continuando a stare dalla parte del bene.
E quindi spero che si trovi almeno il modo di adottare l’idea alternativa (l’ho già sentita da più economisti) che consiste nell’acquistare più risorse naturali possibile dalla Russia, far precipitare i prezzi e applicare una sorta di tassa o dazio su tale prezzo (per esempio il 30%) a beneficio del bilancio ucraino. In tal modo verrebbero raggiunti almeno tre obiettivi:
1) lo Stato russo incasserà molto meno, anche rispetto ai tempi pre-bellici;
2) gli aiuti all’Ucraina non costeranno alcunché ai contribuenti europei;
3) in Europa non ci sarà la crisi del gas e del petrolio.
Tutto questo non aiuta molto a fermare la guerra, ma almeno potrebbe aiutare a raggiungere dei risultati positivi più visibili e immediati.


Un sogno che si è “avverato”

Dal momento dell’inizio della guerra Charkiv è rimasta una delle città più colpite dell’Ucraina. A causa dei regolari attacchi aerei e della sua vicinanza alla linea del fronte, a Charkiv vige il regime perenne del blackout e del coprifuoco. Le autorità hanno chiesto ai residenti di accendere le luci nei loro appartamenti il meno possibile e pure l’illuminazione stradale è stata lasciata spenta in tutto il periodo della guerra. Di conseguenza, nelle condizioni del cielo sereno di notte è possibile vedere non solo migliaia di stelle sopra la città, ma pure la Via Lattea. Il residente di Charkiv Pavlo Pakhomenko, un fotografo e appassionato di astronomia, ha deciso di approfittare di questa opportunità per fotografare la città notturna senza l’inquinamento luminoso.
Sul proprio instagram Pavlo Pakhomenko ha scritto:

Per anni ho sognato di fare le foto del genere, sperando in una interruzione programmata della energia elettrica o di una azione educativa pianificata. Purtroppo, il «genio del male» ha esaudito il mio desiderio nel modo più sgradevole: attraverso la guerra. Il mio nuovo sogno è che dopo la Vittoria, ogni anno alla fine di febbraio, in una notte limpida e senza luna, le luci vengano spente per un’ora e tutti escano per le strade a guardare le stelle e a ricordare tutti coloro che la guerra ci ha portato via.

E ora posto alcune di quelle foto:
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Un’altra visita

Secondo me un giorno, dopo la fine della guerra, uscirà il film a parte con le immagini di tutte le personalità che in questo periodo hanno visitato Zelensky per dare un supporto morale e promettere il sostegno più o meno materiale. Mentre per ora è solo una serie, fatta di «puntate» brevi. Anche su questo blog.

Richard Branson, in particolare, teoricamente avrebbe anche potuto finanziare la soluzione di molti problemi materiali dell’esercito ucraino ma, essendo un privato e non uno Stato, non ha la possibilità tecnica di farlo. Quindi aiuterà (e sicuramente investirà) ai tempi della ricostruzione della Ucraina.
Chissà quando gli investitori occidentali torneranno a pieno regime nella economia dell’attuale aggressore. Forse molto più tardi della fine dei combattimenti.


Il rapporto dell’ONU

Il mercoledì 29 giugno la Missione di monitoraggio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha pubblicato il primo rapporto sulle violazioni dei diritti umani durante la guerra in Ucraina. Nel documento vengono elencati i dati raccolti dal 24 febbraio al 15 maggio 2022. La maggior parte dei casi ai quali è dedicato il rapporto si è verificata in aree controllate dalle forze armate della Federazione Russa, ma ci sono stati anche casi in aree controllate dal governo ucraino.
Io non tento di riassumere il documento menzionato: le persone realmente interessate potranno leggere, facilmente, almeno le sue parti di maggiore interesse.
Per ora sottolineo solo che l’assurdità del solo tentativo di parlare dei diritti umani durante la guerra è relativa. Infatti, solo il processo di raccolta dei singoli casi concreti può aiutare, in un mondo organizzato come il nostro, a elaborare una base di prove per il/i futuro/i tribunale/i internazionale o nazionale. Le prove dei crimini di qualsiasi genere devono essere raccolte subito, finché sono «fresche»: non alterate o distrutte. Di conseguenza, possiamo constatare che l’ONU ha fatto un piccolo passo iniziale, raccogliendo una parte dei casi — sicuramente e purtroppo solo una piccola parte — sui quali verranno in futuro svolte tutte le indagini necessarie.
Potete iniziare a leggere già ora per quali fatti verranno giudicati gli esecutori e i loro mandanti (i nomi dei principali di questi ultimi vi sono già noti).


I visti per i russi

A partire da oggi – il 1 luglio 2022, il 128-esimo giorno della guerra – i russi hanno bisogno del visto per andare in Ucraina. Per ottenere un visto ucraino, i russi possono rivolgersi a uno dei centri visti di VFS Global; i diplomatici ucraini che lavorano nei Paesi terzi esamineranno le domande presentate. Allo stesso tempo, le autorità ucraine hanno precisato che il visto non garantisce l’ingresso nel Paese: la decisione finale spetterà alle guardie di frontiera ucraine. È quindi finito il periodo della libera circolazione tra i due Stati che durava dal 1997.
Ecco: la stranezza della introduzione così tardiva dei visti si aggrava ulteriormente dal fatto che si tratta non di una misura di sicurezza voluta dallo Stato, ma solo della reazione a una petizione creata sul sito ufficiale del Presidente ucraino. Tale petizione è stata creata l’11 febbraio (quasi due settimane prima dell’inizio della guerra) e alla data del 25 maggio ha raccolto 26,7 mila firme (il Presidente ucraino esamina solo le petizioni che abbiano raccolto almeno 25 mila firme). Capisco che a febbraio la petizione in questione era dovuta anche al fatto che è ben nota l’usanza – relativamente recente – delle forze militari russe di inviare i propri soldati sui territori ex-sovietici con dei mezzi pubblici e «mascherati» da civili. Ma è comunque strano rendersi conto del fatto che tra l’Ucraina e la Russia esistano ancora dei rapporti turistici, fino a ieri così stretti (per non parlare di quelli commerciali, ancora non interrotti).
Comunque, è solo una questione di tempo: il 19 giugno, per esempio, il Parlamento ucraino aveva già vietato l’import e la riproduzione in pubblico delle opere culturali create dagli autori russi che non abbiano condannato pubblicamente la guerra in corso.
Nelle ultime settimane mi è capitato di sentire alcuni esperti secondo i quali la priorità di Putin sarebbe quella di «riunificare» la parte più slava e «russificata» dell’ex URSS. Indipendentemente dal fatto che sia una tesi realistica o meno, Putin sta per ora raggiungendo dei grandi risultati di segno opposto.