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Zelensky e Zaluzhny

La Bloomberg scrive che l’ufficio del Presidente ucraino non vedrebbe dei segni di spaccatura tra la leadership militare e quella politica dell’Ucraina dopo l’intervista rilasciata dal comandante in capo delle forze armate ucraine Valery Zaluzhny alla rivista The Economist sulla situazione del fronte (io avevo già scritto di quella intervista).
Direi che in questo specifico caso il comunicato della Bloomberg è da considerare logico, razionale e quindi affidabile. Infatti, Valery Zaluzhny mi sembra, praticamente da quando è iniziata la guerra in Ucraina, uno dei più grandi geni militari dei nostri tempi: non solo per la sua capacità di affrontare il nemico con quei mezzi disponibili che non sono mai stati particolarmente abbondanti, ma anche per la sua capacità – manifestata pubblicamente in molte occasioni – di analizzare e spiegare la situazione bellica corrente. Di conseguenza, la crisi tra Zelensky e Zaluzhny trasformatasi in qualcosa di grave (per esempio, la rimozione del secondo) sarebbe una perdita enorme per l’Ucraina. Suppongo che Zelensky lo capisca e cerchi di fare tutto il possibile per evitare ogni forma di crisi.


Le elezioni ucraine

Probabilmente alcuni di voi sanno che a marzo del 2024 in Ucraina avrebbero dovuto svolgersi le elezioni presidenziali; il presidente in carica Zelensky già in agosto 2023 aveva confermato la propria intenzione di candidarsi per il secondo mandato.
Ieri sera, però, nell’ormai tradizionale discorso serale alla nazione Zelensky ha detto:

We must realize that now is the time of defense, the time of the battle that determines the fate of the state and people, not the time of manipulations, which only Russia expects from Ukraine. I believe that now is not the right time for elections. And if we need to put an end to a political dispute and continue to work in unity, there are structures in the state that are capable of putting an end to it and giving society all the necessary answers. So that there is no room left for conflicts and someone else’s game against Ukraine.

[traduzione ufficiale dall’ucraino presa dal sito presidenziale]
Apparentemente Zelensky aveva la scelta tra due opzioni ugualmente peggiori: far svolgere le elezioni a marzo (quindi nel periodo regolare: in prossimità della scadenza del proprio mandato) ma solo su una parte del territorio ucraino (quello non occupato dall’esercito russo) oppure posticipare le elezioni ai tempi di pace (giustificandosi con lo stato di guerra vigente) ma rischiando di passare per dittatore in patria e all’estero.
Lo svolgimento delle elezioni ora, ai tempi di guerra, mette a rischio quelle unità nazionale e concentrazione che servono per condurre con successo la guerra. Il posticipo delle elezioni potrebbe mettere a rischio gli aiuti provenienti dall’estero (soprattutto dagli USA) in quanto alcuni politici potrebbero – a partire dal marzo 2024 – considerare Zelensky un presidente non legittimo.
A favore della scelta di Zelensky annunciata ieri per ora c’è solo una cosa relativamente concreta: i risultati delle ricerche sociologiche. Infatti, in un sondaggio condotto dall’Istituto Internazionale di Sociologia di Kiev nell’ottobre di quest’anno, l’’81% degli ucraini intervistati ha affermato che le elezioni dovrebbero tenersi dopo la guerra, mentre il 16% si è espresso a favore dello svolgimento delle elezioni nonostante la guerra.
Di conseguenza, per ora posso dire solo una cosa: Zelensky si è inventato un nuovo compito diplomatico difficile. Oltre a chiedere le armi all’Occidente, ora deve anche difendere la propria scelta sulle elezioni di fronte allo stesso Occidente. Io non sono in grado di dire se abbia fatto bene o male a non rischiare di distruggere l’unità politica interna nel corso di una guerra difensiva.


La visita tentata di Zelensky

Il Times of Israel, citando un diplomatico ucraino, scrive che il Presidente ucraino Vladimir Zelensky avrebbe avuto dei piani per recarsi in visita in Israele la prossima settimana, ma il viaggio potrebbe essere cancellato a causa di fughe di notizie sulla visita.
Nel fatto della cancellazione della visita non c’è alcunché di strano: per motivi di sicurezza, durante la guerra Zelensky fa solo i viaggi-sorpresa (sorpresa per tutti tranne i servizi di sicurezza ucraini e dello Stato di destinazione).
Allo stesso tempo, bisogna capire che non c’è alcunché di strano nemmeno nella intenzione di andare in Israele (il quale aveva in precedenza negato l’aiuto militare alla Ucraina attaccata). Infatti, Zelensky e i vertici israeliani potrebbero logicamente ipotizzare che i futuri aiuti militari statunitensi vengano realmente approvati come un «pacchetto unico» proposto da Biden. E, di conseguenza, vorrebbero mostrare al Congresso statunitense che aiutare l’uno significa aiutare anche l’altro: per convincere entrambi partiti ad approvare il suddetto pacchetto a favore di un fronte unito contro gli antidemocratici.
Direi che è una logica che può essere presa in considerazione.


L’intervista di Valery Zaluzhny

Chi ne ha la possibilità tecnica (o è pratico con i metodi non convenzionali ahahaha), può leggere la interessante intervista del Comandante in capo dell’esercito ucraino Valery Zaluzhny alla rivista The Economist pubblicata il 1 novembre.
In sostanza, il senso generale delle cose che dice Zaluzhny consiste in due concetti:
1) una constatazione dei fatti evidente a tutti da mesi, ma mai espressa ufficialmente dalle autorità ucraine per non provocare una ondata di rassegnazione tra il popolo: la guerra rischia di diventare molto lunga e sempre molto difficile da combattere;
2) un avvertimento all’Occidente: se gli aiuti militari materiali e concreti non dovessero essere intensificati a breve, tutti gli aiuti passati (già abbastanza costosi) rischiano di diventare un inutile spreco di risorse (perché nessuno può garantire che l’Ucraina possa vincere una lunga guerra di posizione).
Per ora l’intervista non sembra un segnale di rassegnazione. Sembra, invece, un ultimo avvertimento preciso e pesante.


Non aspettare l’impossibile

Non ho molta voglia di commentare la prank call fatta alla Giorgia Meloni da quei due provocatori che da oltre dieci anni fanno i loro «scherzi» telefonici sempre – ovviamente per puro caso – a favore del Cremlino. In Italia è già stato scritto più o meno tutto il possibile su questo grande fallimento tecnico italiano. Però è una buona occasione per fare una importante precisazione sul modo di seguire la guerra in Ucraina.
Nel corso della suddetta telefonata Meloni avrebbe pronunciato la frase «La controffensiva dell’Ucraina non sta andando come ci si aspettava», inserendola in un discorso non limitato a una sola espressione. Non è assolutamente la prima e, purtroppo, non è l’ultima a esprimere pubblicamente un concetto del genere. Ed è un grosso problema: la gente – indipendentemente dal grado di istruzione, dalla posizione sociale, dalla professione esercitata o dall’incarico ricoperto – continua a usare il termine controffensiva in un modo assolutamente inappropriato. Avrà imparato dai giornalisti incompetenti e/o interessati solo ai titoli «forti»? Ora non importa.
L’importante è il fatto che una controffensiva è una risposta immediata all’attacco altrui. Uno ti da un pugno in faccia, e tu lo ricambi subito, in quel momento (invece di iniziare a rincorrerlo, aspettarlo sotto la casa sua etc.). Oppure i militari altrui si avvicinano alla tua capitale, ma dalla città escono di corsa delle truppe di riserva che in poche ore o giorni rispingono l’avanzata del nemico. Una controffensiva è un tipo ben determinato di risposta.
Quello vediamo sul fronte ucraino da oltre un anno non è una controffensiva. È una guerra quasi di posizione con tutte le sue caratteristiche che possiamo osservare quotidianamente: quindi un processo e non una azione. Se da un processo ti aspetti gli effetti tipici di una azione, per forza ti stanchi e ti deludi. Ma è un problema tuo, non di chi si sta difendendo in una guerra.
L’esercito ucraino non è stato capace di condurre una controffensiva a febbraio/marzo 2022. Noi non possiamo criticarlo per tale incapacità: quanti altri eserciti avrebbero potuto affrontare una simile disproporzione di forze come lo ha fatto e lo sta facendo l’esercito ucraino? Secondo me pochissimi. I Governi occidentali (compreso quello di Giorgia Meloni) hanno fatto abbastanza per far durare di meno questa guerra? A me sembra che si limitino a fare ciò che permetta all’Ucraina non perdere subito.
Uno dei passi importanti verso la fine della guerra in Ucraina – quella fine nella quale spero io – consiste nello smettere di aspettare gli effetti di una controffensiva da una guerra. Dunque, smettere anche di ingannare sé stessi e gli altri con l’uso del termine inappropriato controffensiva.


Senza una gamba

In settimana mi è capitato di leggere due o tre articoli sui genieri ucraini che hanno perso una gamba durante la guerra, ma sono comunque tornati a fare il proprio lavoro. Mi ero chiesto come fanno a lavorare dal punto di vista pratico… Oggi posto uno dei risultati delle mie ricerche:


Vogliono le garanzie

Ieri i ministri degli Esteri dell’UE non sono riusciti a trovare un accordo sullo stanziamento di una tranche di 500 milioni di euro di aiuti militari all’Ucraina dal Fondo europeo per la pace. Come si poteva facilmente prevedere, è successo per colpa della Ungheria: la banca ungherese OTP è stata – come richiesto – rimossa dalla lista nera delle società europee che continuano a operare in Russia, ma il Governo ungherese vuole delle garanzie legali che tale esclusione sia permanente.
Qualcuno riesce a immaginare come sia possibile una garanzia del genere? Al massimo, le garanzie in merito potrebbe (e, in teoria, dovrebbe) dare la banca stessa all’UE: promettendo di non collaborare mai più con la Russia putiniana.
È abbastanza facile immaginare che pure il Governo ungherese capisca l’impossibilità della sua richiesta. Di conseguenza, possiamo ipotizzare che, molto probabilmente, vuole qualche altro favore oltre a quello già ottenuto.


Da ieri sappiamo ufficialmente che l’esercito ucraino ha i missili ATACMS, quelli chiesti agli USA già all’inizio della invasione russa.
Secondo The Wall Street Journal, qualche giorno fa gli USA hanno finalmente fornito – segretamente – all’Ucraina un primo piccolo lotto di missili con una gittata di circa 160 chilometri. La versione dei missili fornita è dotata di munizioni a grappolo.
Proprio alcuni di quei missili sono stati utilizzati contro i campi di aviazione di Lugansk (regione Donbass) e Berdiansk (regione Zaporizhzhya) controllati dalle truppe russe. Le perdite russe solo a Berdiansk sarebbero:
– 9 elicotteri;
– equipaggiamento speciale;
– lanciamissili per la difesa aerea;
– deposito di munizioni;
– piste di atterraggio danneggiate;
– decine di uccisi e feriti.
Bene, direi: almeno in una guerra possiamo sperare in progressi positivi e visibili.


La lettura del sabato

L’articolo segnalato per questo settimana è una piccola raccolta di testimonianze – ricevute sul posto – sull’attacco missilistico russo al villaggio ucraino di Groza il 5 ottobre. Presumo che le persone più interessate abbiano già letto e visto abbastanza dettagli «tecnicamente» bellici, dunque ora vi mancano solo le parole dirette delle persone del posto.


L’uso dei beni congelati

Le informazioni e i commenti sulla situazione in Israele sicuramente non vi mancano, dunque io continuo a scrivere della Ucraina che non va dimenticata (come spera Putin).
Il Bloomberg scrive, citando una dichiarazione del primo ministro belga Alexandre De Croo, che il Belgio intende trasferire, l’anno prossimo, all’Ucraina 1,7 miliardi di euro ricevuti in tasse dai beni russi congelati.
Riconosco di avere letto la suddetta notizia con una enorme gioia. Non perché alla Ucraina è stata promessa una somma impercettibile da uno Stato colpito da una guerra. Sono contento perché finalmente è stato inventato (anche se non sembra una invenzione tanto difficile da elaborare) un modo di sfruttare quelle risorse che non possono e non potranno essere destinate all’Ucraina senza una sentenza – o, molto più probabilmente, tante sentenze – giudiziarie. Infatti, non si tratta solo di una questione di competenza dei singoli Stati o dell’UE, ma dei processi giudiziari lontani nel tempo, lunghi, numerosi (dedicati a tanti «lotti» dei beni statali russi) e da risultati non sempre facilmente prevedibili. Mentre i soldi servono e serviranno molto prima.
Complimenti al Governo belga. Spero che realizzi il suo piano. E, ovviamente, spero che altri Stati seguano l’esempio belga.