La Bloomberg, citando i dati dell’Istituto di economia mondiale di Kiel e del progetto analitico Oryx, sostiene che la Russia e l’Ucraina avrebbero pareggiato il numero di carri armati in loro possesso.
Secondo il database Ukraine Support Tracker dell’Istituto, la Russia ha iniziato l’invasione dell’Ucraina con quasi tremila e mezzo carri armati, ma durante i 16 mesi di guerra, secondo Oryx, ne ha persi poco più di duemila: tra questi ci sarebbero anche i 545 carri armati sequestrati dalle forze armate ucraine. L’Ucraina aveva circa mille carri armati al momento dell’invasione russa. Oryx ha confermato che le forze armate ucraine hanno perso più di 550 carri armati durante la guerra, ma queste perdite sono state recuperate, anche grazie ai carri armati russi catturati e alle forniture dei Paesi occidentali. Secondo l’Istituto di Kiel, dall’inizio dell’invasione sono stati consegnati a Kiev 471 carri armati, mentre altri 286 arriveranno in Ucraina successivamente.
Ecco, alle statistiche di cui sopra aggiungere un fatto già ben noto, ma molto utile da ricordare nell’ottica della comparazione: l’esercito russo sta cercando di recuperare le proprie perdite dei carri armati tirando fuori dai depositi i carri degli anni ’70, ’60 e ’50. Mentre alla Ucraina stanno arrivano molti carri armati notevolmente più moderni e prodotti negli Stati con una migliore cultura industriale. Di conseguenza, è il caso di dire che la quantità non l’unica cosa che conta.
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Le autorità britanniche hanno vietato alla Fondazione per le vittime di guerra di utilizzare il denaro ricevuto dalla vendita della squadra di calcio del Chelsea (circa 2,35 miliardi di sterline) da parte di Roman Abramovich al di fuori dell’Ucraina. Lo ha dichiarato Mike Penrose, il responsabile del fondo, in un articolo per il Times. Secondo quanto sostiene Penrose, prima della vendita del Chelsea, le autorità britanniche e Abramovich avrebbero raggiunto un accordo in base al quale la Fondazione avrebbe gestito il ricavato, utilizzandolo per aiutare «tutte le vittime della guerra in Ucraina». Questo accordo, scrive Penrose, è stato fissato nei documenti di vendita approvati dal governo britannico. Un anno più tardi, però, il governo britannico ha imposto una nuova condizione, secondo la quale la fondazione avrebbe ricevuto il denaro solo se avesse limitato le sue attività ai «confini geografici dell’Ucraina» (e io mi chiedo: quindi anche in Crimea?). La Fondazione non è d’accordo con questa condizione, poiché ritiene che i fondi disponibili dovrebbero essere utilizzati per aiutare i rifugiati ucraini in diversi Paesi, compreso il Regno Unito. Per esempio, la Fondazione potrebbe fornire assistenza alle persone e alle comunità che ospitano i rifugiati oppure assumere esperti internazionali per aiutare le organizzazioni ucraine in questioni come l’istruzione dei bambini che arrivano dall’Ucraina.
A prima vista, la decisione del governo inglese potrebbe sembrare molto strano e in qualche misura stupido. Ma posso anche immaginare la sua logica: nessuno vuole assumersi il rischio di destinare i soldi di un «oligarca» russo rimasto in Russia alle persone il cui status delle vittime non certo al 100%. E la certezza assoluta, purtroppo, non è possibile nemmeno in una situazione così tragica come una guerra. Per esempio: in ogni guerra esistono, purtroppo, i collaborazionisti (i quali, trovandosi sul territorio attaccato, almeno involontariamente utilizzeranno qualche parte dei soldi per il sostegno dell’economia locale). Oppure: chi sono tutti quei maschi ucraini giovani, in età da arruolamento nelle forze di difesa popolare, e apparentemente in piena salute che dopo l’inizio della guerra sono arrivati in Europa autodefinendosi profughi? (Io ne ho visti anche in Italia.) Potrei elencare anche qualche altra domanda, ma penso che i dubbi del governo inglese siano già un po’ più comprensibili. Ai profughi destineranno altri soldi.
Il politico georgiano e ucraino Mikhail Saakashvili — l’ex presidente della Georgia e l’ex governatore della Regione di Odessa — dall’autunno del 2021 è sottoposto in Georgia a un processo penale di origine palesemente politica: gli attuali vertici dello Stato sono palesemente filo-putiniani e quindi cercano di torturare e punire uno degli avversari politici che in passato si erano dimostrati più efficaci, convinti ed emotivi. Da presidente georgiano era riuscito a portare la corruzione quotidiana da storia pluridecennale a un livello prossimo allo zero. Da governatore di Odessa, era riuscito a far assomigliare la burocrazia locale più a quella europea che a quella sovietica (traduco: è già un grande progresso). Privato della cittadinanza di entrambi gli Stati per il conflitto con i vertici del momento storico corrente, aveva deciso di tornare nella propria «prima» patria per continuare la propria carriera politica da riformatore, ma è stato arresto… Ora non mi metto a riassumere tutta la biografia e tutte le sfortune giudiziarie di Saakashvili: le persone realmente interessate possono andare a rileggerle anche in proprio.
In questa sede volevo fare due cose. Prima di tutto, volevo mostrarvi due foto: quella di come è apparso ieri alla ennesima audienza del processo…
… e quella che lo ritrae prima del processo (sì, pesava 116 kg per 195 cm di altezza):
Come potete vedere, le preoccupazioni circa lo stato di salute di Saakashvili pubblicamente espresse dai suoi avvocati, parenti e collaboratori non sembrano proprio infondate.
Presa la visione della prima immagine, il presidente ucraino Zelensky — che prima della guerra era un nemico politico di Poroshenko, il quale, a sua volta, aveva fatto il possibile per cacciare e privare della cittadinanza ucraina Saakashvili — ha dichiarato che «la Russia sta uccidendo, con le mani georgiane, un cittadino ucraino» e ha ribadito l’invito di consegnare Saakashvili alla Ucraina. «Ancora una volta, chiedo alle autorità georgiane di consegnare il cittadino ucraino Mikheil Saakashvili all’Ucraina per le cure e i trattamenti necessari. E invito i nostri partner a non ignorare la situazione e a salvare quest’uomo. Nessun governo in Europa ha il diritto di giustiziare le persone; la vita è un valore europeo fondamentale.»
Ed ecco che ho finito quella premessa che mi permette di re due cose banali: 1) finalmente lo stato di guerra può essere uno strumento utile per esercitare la pressione internazionale a favore di una vita umana concreta; 2) nonostante l’età e gli evidenti problemi di salute, Saakashvili potrà essere molto utile alla Ucraina post-bellica (ha l’esperienza, i contatti e la stima di molti occidentali per poter ottimizzare la ricostruzione).
La settimana scorsa The New York Times aveva scritto che alcuni funzionari dell’amministrazione di Joe Biden avrebbero espresso, privatamente, una preoccupazione circa il fatto che i progressi nella fase iniziale dell’offensiva ucraina sarebbero molto lenti. Ovviamente, gli esperti militari sapranno spiegare a quei funzionari che l’andamento di una guerra reale non può essere programmato e messo in pratica da una sola delle parti. Anzi, non può proprio essere programmato con una alta precisione. Ma, sempre ovviamente, i vertici ucraini hanno avuto un motivo di preoccuparsi per gli aiuti militari e diplomatici futuri.
Di conseguenza, il presidente ucraino Zelensky ha ritenuto necessario ribadire – nel corso della conferenza stampa con il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez a Kiev – che l’Ucraina sarà pronta a negoziare con la Russia solamente dopo che le forze armate ucraine avranno raggiunto i confini del 1991. Paradossalmente, in quella specifica occasione avrebbe anche potuto ringraziare Evgeni Prigozhin per l’aiuto offertogli: per ora non si capisce ancora bene di quanto saranno ridotte le forze della Wagner sul fronte ucraino e quante risorse dell’esercito ufficiale russo saranno richiamate sul territorio russo per garantire la sicurezza del regime di Putin. Ma Zelensky, intanto, potrà ragionevolmente dire all’Occidente che per l’esercito ucraino si aprono delle nuove possibilità. E questo fatto mi rallegra.
In un’intervista con la presentatrice di BBC News Alda Hakim, il presidente ucraino Vladimir Zelensky ha parlato molto di Putin (come è naturale che sia) e, tra le altre cose, ha detto quanto segue:
Se parla di usare armi nucleari, nessuno qui può fare una previsione al cento per cento. Credo che tema per la propria vita. Penso che se non smette di minacciare il mondo con le armi nucleari, il mondo troverà un modo per privarlo delle «sue attività vitali». È molto pericoloso ed è per questo che è attento a lanciare questi messaggi.
Ma noi capiamo bene che un vero presidente (e un vero politico serio in generale) non può dire certe cose, a differenza di Putin e dei suoi servi. Ecco perché Zelensky si è espresso in modo così diplomatico. Ma da quasi 16 mesi (manca un giorno) Putin sta distruggendo una certa parte del mondo con una varietà di armi «convenzionali». Recentemente ha minacciato di usare preventivamente le armi nucleari in alcuni di questi territori. Ma la popolazione locale ne ha abbastanza già delle armi «convenzionali». E poiché Putin stesso non mostra alcuna intenzione di fermarsi, è arrivato il momento che il mondo esterno cominci a pensare seriamente alle «sue attività vitali».
Zelensky, in quanto un politico occidentale, non può (ancora?) esprimere un passaggio così logico.
Io, invece, posso: perché non sono un politico.
Allo stesso tempo, sospetto che tali pensieri non circolino solo nella mia testa poco diplomatica.
Il portale pietroburghese Fontanka.ru comunica che il maggior generale Sergey Goryachev, capo di stato maggiore della 35ª Armata, è stato sepolto nel cimitero Serafimovskoe di San Pietroburgo. Uno dei lettori ha inviato al portale le foto del luogo di sepoltura di Goryachev. Secondo Fontanka.ru, i funerali si sarebbero svolti il 18 giugno. Una lapide (provvisoria) posta sulla tomba di Goryachev riporta la data di morte del 12 giugno 2023. In base alle voci non confermate, sarebbe stato ucciso nel corso dei combattimenti. Lo Stato russo, fino a ora, non ha mai comunicato della morte di Sergey Goryachev.
Ma la cosa più «divertente» è che la tomba si affaccia al «viale Odessa» del cimitero. Non so se tale simbolismo porti la pace al personaggio, ma so che questo non mi rattrista particolarmente.
P.S.: nel 2013, Goryachev è diventato capo del gruppo operativo delle truppe russe in Transnistria. Nel 2018 è diventato comandante della 201-ma base militare di Gatchina, in Tagikistan. Già dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, è stato promosso al grado di maggior generale. All’inizio dell’invasione ha comandato la 5ª Brigata carri armati indipendente, dopodiché è diventato capo di Stato maggiore della 35ª Armata combinata del Distretto militare orientale.
La Reuters scrive, citando alti funzionari europei, che l’Ucraina ha soddisfatto due delle sette condizioni necessarie per avviare i negoziati per l’adesione all’UE: la riforma giudiziaria e la legge sui media. Le restanti condizioni riguardano le riforme della Corte Costituzionale e delle forze dell’ordine, le misure per combattere il riciclaggio di denaro e le leggi volte a «contenere» il potere degli oligarchi e a proteggere i diritti delle minoranze nazionali.
Il risultato parziale ucraino potrebbe sembrare molto modesto, ma dobbiamo ricordare che i lavori concreti sull’obiettivo sono iniziati dopo l’invasione russa del 2023. In un tempo di guerra è dunque un grandissimo risultato per il quale dobbiamo fare tanti auguri alla Ucraina. E ricordare che, proprio ora, è una occasione giusta per considerare come raggiunta anche una terza condizione: quella sui cosiddetti oligarchi. Infatti, praticamente dall’inizio della guerra c’è un accordo tacito tra il Governo e gli imprenditori (e non solo) sulla non creazione dei problemi a vicenda (il che è già un buon risultato politico).
Dmitry Peskov il portavoce del presidente russo, ha dichiarato in un’intervista a RT Arabic che il compito di «demilitarizzare» l’Ucraina è stato «ampiamente realizzato». Infatti, secondo Peskov ora l’Ucraina utilizza sempre meno le armi proprie e si affida sempre più ai sistemi di armamento forniti dagli Stati occidentali:
L’Ucraina era pesantemente militarizzata quando è iniziata l’operazione militare speciale. E, come ha detto Putin ieri, uno dei compiti era quello di «demilitarizzare» l’Ucraina. In effetti, questo compito è stato in gran parte portato a termine.
Seguendo la stessa logica, tra un po’ potrà dire, per esempio, che non è stata la NATO ad allargarsi verso la Svezia e la Norvegia (anche il contrato dell’allargamento della NATO è stato tra gli obiettivi della guerra): sono state queste ultime ad allagarsi verso la NATO.
Allo stesso tempo, capisco che Dmitry Peskov non dice alcunché di concreto senza concordarlo con il proprio capo. Quindi posso sperare che in questo periodo si stia cercando il modo di comunicare al mondo che tutti gli obiettivi della guerra sono stati già raggiunti. Certo: per salvarsi in questo modo dalle conseguenze delle proprie azioni è un po’ tardi, con tanta fortuna il trucco poteva funzionare non meno di un anno fa. Certo: chissà quante altre barbarie combineranno ancora nel corso di questa guerra. Certo: gli obiettivi della guerra continuano a cambiare… Ma la evidente comprensione del fatto che la via di uscita e di salvezza non è più quella militare mi sembra un bel traguardo.
Quindi aspetto con tanta curiosità le altre dichiarazioni del genere.
Invece di un nuovo testo, questo sabato segnalo un piccolo (in termini quantitativi), ma grande (in termini umani) progetto fotografico del fotografo ucraino Pavlo Dorohoi.
Si tratta di una serie di foto delle case private del villaggio Dolgenkoye distrutte dalla guerra: Dolgenkoye, al confine tra le regioni di Kharkiv e Donetsk, prima dell’inizio della guerra era abitato da quasi 400 persone. Dopo il 24 febbraio per circa sei mesi si è combattuto nei pressi del villaggio, il quale è stato trasformato in rovine.
Molto probabilmente è capitato di leggere anche a voi delle grandi speranze che lo Stato russo nutre circa la «mediazione» dei sette leader africani (quelli di Sudafrica, Comore, Egitto, Senegal, Zambia, Uganda e Repubblica del Congo). Per qualche loro motivo – a noi non del tutto comprensibile – gli «abitanti» del Cremlino sperano che quei leader propongano qualche piano conveniente alla Russia (probabilmente in cambio di qualcosa). Tra i giornalisti e i cittadini russi contrari alla guerra si è sempre manifestato un certo scetticismo (e spesso quasi umorismo) circa la competenza dei politici africani nella questione della guerra in Ucraina: non per una questione di razzismo, ma semplicemente perché quei leader sono politicamente, geograficamente ed emotivamente troppo lontani dalle problematiche europee.
Ma ecco che la Reuters ci comunica che i sette leader – che presto visiteranno la Russia e l’Ucraina – hanno elaborato delle «misure di fiducia» per un cessate il fuoco tra Mosca e Kiev. Tali misure includerebbero il ritiro delle truppe russe dai territori ucraini e l’abbandono dei piani di piazzar le armi nucleari tattiche sul territorio della Bielorussia. Certo, includono pure le proposte della sospensione del mandato di arresto della Corte penale internazionale nei confronti di Vladimir Putin e l’alleggerimento delle sanzioni, ma a noi prima di tutto devono interessare i primi due punti. Potrebbero farci dedurre che Putin non riesce a trovare degli alleati intenzionati a fargli «salvare la faccia» nemmeno in Africa.
Ma, ovviamente, bisogna osservare l’evoluzione degli eventi: perché tutte le parti delle trattative capiscono che trattando possono pretendere qualcosa in più.