Il Presidente ucraino Vladimir Zelensky ha dichiarato – in una intervista al quotidiano francese Le Parisien – che l’esercito ucraino non può riprendere la Crimea e il Donbas con le proprie forze:
Non possiamo rinunciare ai nostri territori. La Costituzione ucraina ce lo vieta. Di fatto, questi territori sono ora controllati dai russi. Non abbiamo la forza di restituirli. Possiamo solo contare sulla pressione diplomatica della comunità internazionale per costringere Putin a venire al tavolo dei negoziati.
E, allo stesso tempo, ha sottolineato che ai negoziati si va solo trovandosi in una posizione adeguata:
Sedersi al tavolo dei negoziati con Putin a queste condizioni significherebbe dargli il diritto di decidere tutto nella nostra parte del mondo. Prima dobbiamo sviluppare un modello, un piano d’azione o un piano di pace – chiamatelo come volete. Poi possiamo presentarlo a Putin o, più in generale, ai russi.
In assenza del sostegno militare sperato e nelle condizioni del conseguente allungarsi della guerra (con la tendenza verso l’infinito, direi) tutte le parole appena riportate sembrano logiche. Anche se non mi basta la fantasia per immaginare (oggi) con quali mosse diplomatiche si possa costringere Putin a restituire la Crimea: non vorrà apparire sconfitto, soprattutto se non lo sarà realmente, e rinunciare al proprio principale «successo» degli ultimi dieci anni.
Evidentemente, ora Zelensky si sta psicologicamente preparando all’idea di dover elemosinare pure il sostegno diplomatico internazionale dopo la fine dei combattimenti: proprio come per ora sta succedendo con gli armamenti. Ma ha il difficile compito di dover spiegare due concetti:
1) il sostegno diplomatico deve comunque essere rinforzato, in questo specifico caso, con le armi;
2) il sostegno diplomatico insufficiente o tardivo farà sentire Putin un vincitore autorizzato a fare qualsiasi altra guerra.
Avendo visto il modo di fare dei burocrati occidentali, non sono molto ottimista…
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In una intervista alla rivista Time, che lo ha nominato uomo dell’anno 2024 (a proposito: un raro caso in cui la scelta sembra assolutamente logica), il presidente eletto degli USA Donald Trump si è espresso contro la possibilità di permettere alla Ucraina di colpire il territorio russo con missili statunitensi a lungo raggio:
«I disagree very vehemently with sending missiles hundreds of miles into Russia. Why are we doing that? We’re just escalating this war and making it worse.
Se a dirlo non fosse stato Trump, avremmo avuto un altro motivo per indignarci. Anche se innumerevoli deficienti hanno già in qualche modo definito l’autodifesa ucraina – in corso o programmata – con il termine «escalation». Trump, invece, può affermare ogni giorno qualcosa di nuovo: non quello che pensa, non quello che intende fare e non quello che realmente farà. Mentre ciò che pensa, ciò sta per fare e ciò farà effettivamente non è sempre noto, secondo me, nemmeno a lui.
Quindi mi sembra che è troppo presto per dispiacersi per l’Ucraina. È probabile che dovremmo, al contrario, «congratularci» con Putin per l’arrivo di un poliziotto imprevedibile. Non «buono» o «cattivo», ma proprio imprevedibile.
E Trump, da parte sua, si è già dimenticato della propria dichiarazione.
Il Washington Post scrive che l’Ucraina avrebbe fornito aiuti militari agli oppositori del regime di Bashar al-Assad in Siria poco prima del suo rovesciamento: quattro o cinque settimane fa l’intelligence ucraina avrebbe consegnato 150 droni ai ribelli e ha inviato in Siria 20 persone esperte nel pilotaggio di droni.
In precedenza, le autorità ucraine avevano già riferito della loro intenzione di combattere contro i mercenari russi in Siria. Per esempio, a giugno il Kyiv Post aveva pubblicato un articolo sulle forze speciali ucraine che combattono al fianco dei ribelli contro il governo di Bashar al-Assad e l’esercito russo che lo sostiene. A luglio, poi, si è saputo che l’esercito ucraino aveva colpito una base aerea russa all’interno del Paese.
Non ho dei motivi per non credere a tutte le notizie appena citate anche se a prima vista potrebbero sembrare illogiche. È vero che l’esercito ucraino dovrebbe essere concentrato sulle problematiche molto più attuali, ma i suoi interventi in Siria – sicuramente di portata non particolarmente ampia – perseguivano, in realtà, un importante obbiettivo diplomatico. Infatti, la sconfitta putiniana in Siria (considerato quanto si era in precedenza impegnato a sostenere Assad, si tratta di una sconfitta e di una sconfitta sua) è un brutto colpo per la sua immagine. Ora i leader degli Stati occidentali dovrebbero vedere con la massima chiarezza che l’esercito putiniano è ancora più debole di quanto vediamo sull’esempio della guerra in Ucraina. In sostanza, sta già dando il massimo e non ha le risorse per altre missioni importanti per Putin. Di conseguenza, non dovrebbe avere le risorse nemmeno per agire con ancora più intensità sul fronte ucraino.
Tutto questo induce a pensare che la posizione di Putin nelle ipotetiche trattative sulla situazione in Ucraina non può essere forte. I sostenitori della Ucraina sanno dunque come comportarsi. E meno male.
L’agenzia Bloomberg scrive che la NATO avrebbe cambiato la propria strategia sulla Ucraina: ora gli Stati-membri non cercherebbero di assicurare la vittoria della Ucraina nella guerra, ma di darle la posizione più favorevole nei colloqui di pace o di aiutarla a contenere l’offensiva russa. Il cambiamento della strategia, secondo l’agenzia, significa che la NATO sta «raddoppiando gli sforzi» per fornire armi alla Ucraina in considerazione del fatto che l’esercito ucraino sta «perdendo gradualmente terreno», il che aumenta, a sua volta, la probabilità che il conflitto si blocchi con la perdita dei territori occupati dalla Russia.
Ebbene, quanto appena riassunto testimonia per l’ennesima volta il fatto che gli autori della Bloomberg vivono in un mondo alternativo, si inventano le notizie a caso e poi si mettono pure a «interpretarle». Qualcuno di voi si era accorto degli sforzi degli Stati-membri della NATO per garantire la vittoria della Ucraina? È un po’ difficile vincere con i caschi e le tende (nei primi sei mesi della guerra gli «sforzi» erano quelli) o con pochi carri armati e aerei arrivati dopo mesi o addirittura anni di richieste. Qualcuno può immaginare come si possa rafforzare radicalmente la posizione ucraina con il doppio di quegli aiuti minimi? Per me è una cosa un po’ difficile da immaginare.
Vista la tendenza del comportamento dei membri della NATO da una parte e della evoluzione dei discorsi pubblici di Zelensky dall’altra (secondo me è diventato meno radicale nelle proprie descrizioni della fine dei combattimenti), capisco che si arriverà presto a una qualche forma di trattative. Le trattative che faranno contenta una delle due parti della guerra significheranno però la sconfitta della parte opposta: nessuna delle due lo potrà accettare, anche se Putin, in teoria, ha più possibilità nel vendere ai propri elettori qualsiasi risultato come una grande vittoria.
Di conseguenza e purtroppo, siamo quasi costretti a sperare nell’ultima cosa che ci rimane: le abilità di Trump di condurre le trattative commerciali aggressive. Bisogna solo trovare il modo di mettergli in testa l’idea che deve costringere Putin a una qualche forma di resa. Una missione facilissima la nostra, ahahaha
In un nuovo rapporto del Laboratorio di ricerca umanitaria della Yale School of Public Health si dice che le autorità russe stanno conducendo un programma sistematico e su larga scala per la deportazione di bambini dall’Ucraina e la loro successiva adozione forzata e rieducazione in Russia. Questa operazione con l’intento di «russificare» i bambini ucraini è stata avviata, come si sottolinea nella suddetta ricerca, personalmente da Vladimir Putin e dai suoi subordinati. Gli autori della ricerca hanno identificato in modo certo i nomi di 314 bambini che sono stati portati illegalmente dai territori annessi delle regioni di Donetsk e Luhansk in Russia e mandati in adozione forzata. In totale, più di 30 mila bambini ucraini minorenni sono stati portati nel corso della guerra.
La ricerca ha una sua importanza nel contesto del fatto che a marzo 2023 la Corte penale internazionale dell’Aia – ancora non auto-compromessa dalle ben note stronzate successive – ha emesso un mandato d’arresto per Vladimir Putin e Maria Lvova-Belova (la difensore civico russo per i diritti dei bambini). I due sono sospettati di aver deportato illegalmente in Russia bambini provenienti dai territori occupati dell’Ucraina.
Nel contesto di tutto quello che sta combinando Putin almeno negli ultimi anni potrebbe, invece, sembrare una accusa – della Corte e/o della Yale School of Public Health – infinitamente piccola. Ma è una impressione superficiale e scorretta per almeno tre motivi. In primo luogo, non so perché si debba perdonare qualcosa a Putin. In secondo luogo, non so perché la vita dei bambini – non nel senso puramente biologico, ma in quello più ampio – debba contare meno di tutte le altre vite. In terzo luogo, sono contento per ogni mezzo con il quale a Putin verranno creati anche i problemi meno sensibili della sua vita.
Di conseguenza, sarò contento per la comparsa di ogni possibile ricerca sui suoi crimini.
In settimana ho per caso visto un video storico… Il senatore Joseph Biden si rivolge all’allora Presidente degli USA George H. W. Bush il 25 novembre 1991, chiedendo di disarmare l’Ucraina e togliere a essa le armi nucleari:
Le condizioni mentali di Biden di oggi sono quelle che sono (purtroppo è l’età che le determina), ma spero comunque che si sia ricordato di quella propria esibizione nel contesto della situazione odierna.
L’altro ieri, il 27 novembre, Putin è arrivato con una visita di Stato in Kazakistan. Quel giorno aveva avuto un colloquio con il presidente kazako Kasym-Jomart Tokayev ad Astana, mentre ieri ha partecipato al vertice della OTSC (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva) ad Astana.
Ebbene, il 27 novembre su uno schermo pubblicitario del centro di Astana (vicino al Teatro dell’Opera) è stata proiettata la bandiera della Ucraina al posto di quella russa. Il Ministero degli Interni del Kazakistan ha annunciato l’apertura di un procedimento penale per l’«incidente», lo schermo è stato presto spento e nella mattinata di giovedì 28 novembre non era ancora stato rimesso in funzione.
Io non so e non posso indovinare se l’«incidente» sia stato l’azione di una persona singola e indipendente oppure inventata da qualche funzionario: in una zona del genere di una città del genere sono possibili entrambe le opzioni. Ma, in ogni caso, il fatto mi diverte molto. Da una parte, il Presidente kazako Takayev non si è mai mostrato infinitamente grato a Putin per l’aiuto militare a gennaio 2022 durante le proteste di massa locali e non ha fretta di sostenerlo nella guerra contro l’Ucraina (politicamente è molto più vicino alla Cina). Dall’altra parte, in Kazakistan, oltre ai cittadini locali non proprio contenti per l’esistenza di un vicino come la Russia di oggi, vivono e lavorano tantissimi russi che per motivi politici si sono trasferiti dopo l’inizio della guerra.
Insomma, Putin ha fatto una delle proprie rare visite internazionali in un ambiente che difficilmente poteva dimostrarsi particolarmente amichevole nei suoi confronti. Non mi dispiace assolutamente che sia successo proprio così.
Per la data dei mille giorni della grande guerra in Ucraina, Mediazona ha pubblicato un interessante e dettagliato articolo con delle statistiche di questa fase dei combattimenti. In sostanza, il testo raccoglie tutti i dati quantitativi che ci fanno inorridire nel corso di ognuno di questi mille giorni: potete leggerlo, provare a immaginare quello che viene descritto e rendervi conto che questa non è ancora la fine.
Si può anche provare a immaginare fino a che punto i numeri riportati nell’articolo cresceranno, se non si deciderà finalmente di compiere qualche azione radicale per raggiungere la vittoria. Intendo la vittoria per l’Ucraina.
Non so cos’altro aggiungere a questo articolo.
Il Washington Post scrive e il Pentagono conferma che Joe Biden ha autorizzato la fornitura di mine antiuomo «non persistenti» alla Ucraina (si tratterebbe di quelle moine che «diventano inerti nel giro di giorni o settimane, riducendo i danni ai civili»). L’uso delle mine, secondo i termini, sarà limitato al territorio ucraino, «specialmente nell’Ucraina orientale», per scoraggiare un’offensiva russa.
Da un lato, è una notizia positiva: Biden continua a «recuperare tempo perso» (e creare un po’ di problemi a Trump), fornendo gli aiuti militari alla Ucraina. In più, almeno questa volta si tratterrebbe di materiali muovi e già disponibili.
Dall’altro lato, questo aiuto specifico non molto più evoluto dei caschi e tende che venivano forniti all’inizio della guerra: creerà qualche piccolo (quasi invisibile nel senso globale) problema alla avanzata dell’esercito russo, ma non potrà influire sull’andamento della guerra.
Spero dunque che sia solo una delle tante idee disponibili.
Secondo i miei calcoli, i mille giorni di guerra dovrebbero essere oggi, ma se in così tanti insistono, diciamo pure che siano stati ieri. Non c’è alcuna differenza di principio, come avrete capito anche da voi negli ultimi quasi tre anni: un solo giorno di guerra è brutto quanto qualsiasi altra quantità di essi. Allo stesso modo, il mio atteggiamento nei confronti delle vittime dirette (e dei loro familiari, amici, vicini di casa o colleghi) non dipende in alcun modo dal loro numero o, per esempio, dal fatto di averle incontrate anche solo una volta nella vita reale. La guerra è sempre terribile e disgustosa allo stesso tempo. Quindi non avrei comunque scritto alcunché di speciale per la data «simbolica». Scrivo e parlo di questa guerra putiniana tutti giorni.
Specificatamente oggi, come qualsiasi altro giorno, posso solo ripetere alcune cose che ritengo ovvie (spero anche voi) e che non ho alcun motivo di rifiutare. Per esempio, posso scrivere ancora una volta che spero in una veloce fine di questa guerra. E posso aggiungere che qualsiasi opzione diversa dalla vittoria militare della Ucraina non sarà la fine della guerra, ma solo la sua interruzione temporanea. Lo sarà perché se la causa principale della guerra non muore durante la pausa bellica, a un certo punto la guerra ricomincerà: la guerra aiuta la causa principale a risolvere i propri problemi politici e, come dimostra la triste esperienza, non comporta – per la causa della guerra – alcun confronto serio e/o pericoloso con i rappresentanti forti dell’Occidente.
I rappresentanti dell’Occidente, da parte loro, fanno il possibile per apparire profondamente indifferenti a tutto ciò: al fatto di una vera guerra ormai di mille giorni «dietro il recinto esterno», alla crescente convinzione della propria impunità della causa principale della guerra, e pure alla possibilità che la guerra possa un giorno – tanto non succede stasera! – arrivare a casa loro. Si limitano a dare una piccola elemosina alla Ucraina e a fare le dichiarazioni corrette, per continuare poi come se nulla fosse con le piccolezze quotidiane tipiche di una vita pacifica e monotona. Questo atteggiamento nei confronti della realtà mi è infastidisce, ma purtroppo non mi sorprende più.
C’è qualcosa che posso fare io in una situazione del genere? Purtroppo non ho gli strumenti per eliminare la causa principale della guerra (ma vorrei tanto averli). Le mie possibilità sono molto limitate. Oltre a cercare di assistere, nei limiti delle mie possibilità, le vittime della guerra, posso, per esempio, raccontare e/o spiegare qualcosa a qualcuno in Europa: ai politici, funzionari, imprenditori, elettori. Posso spiegarglielo in modo che nelle loro menti le relazioni di causa-effetto vengano impostate nella giusta direzione. Cercare di spingere qualcuno – direttamente o attraverso una catena di intermediari – a prendere le decisioni giuste e tempestive. Non ho alcuna mania di grandezza: in realtà spero di essere solo uno dei tanti. Ma, allo stesso tempo, vedo che i nostri sforzi non hanno un effetto di forza necessaria.
Insomma, la «data simbolica» si rivela cupa da tutti i lati possibili.
Ma gli ucraini non si arrendono, il che significa che nemmeno io posso farlo.