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L’ultimo indirizzo

Oggi è sabato, quindi non mi sento tanto in colpa distraendovi con un testo lungo.

Il 30 ottobre è, in Russia, la Giornata di memoria delle vittime delle repressioni politiche (inventata nel 1974 da un dissidente e riconosciuta ufficialmente dal Consiglio Supremo della RSFSR nel 1991). Quindi oggi, con un giorno di anticipo, vi racconto di un bellissimo progetto privato avviato in Russia nel 2014.

Cominciamo da una piccola parentesi storica-culturale. Come molto probabilmente alcuni di voi sanno, dal 1994 in Europa esiste il progetto «Pietre d’inciampo» (Stolpesteine), inventato dall’artista tedesco Gunter Demning. Nell’ambito di questo progetto in vari Paesi europei sono state installate, nei marciapiedi, delle pietre con sopra una piastra di ottone (10×10 cm di superficie). Tali pietre vengono installate davanti alle ultime abitazioni delle vittime di deportazioni nei campi di sterminio nazisti e riportano, sulle piastre, il nome e le date della nascita e della morte di una persona concreta prelevata e deportata dalla rispettiva abitazione. La produzione di una «pietra d’inciampo» costa 120 euro, all’inizio del 2016 ne erano già installati oltre 56 mila pezzi in tutta l’Europa. Ecco un esempio italiano:

Nel 2014 il giornalista e editore russo Sergey Parkhomenko decise di organizzare un progetto simile in Russia: lo scopo di tale progetto «nazionale» avrebbe però dovuto essere la commemorazione delle vittime delle repressioni politiche esercitate dallo Stato sovietico verso i propri cittadini. La scelta delle vittime da ricordare si basa, secondo l’idea di Parkhomenko, sui seguenti principi:
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24 agosto 79

Mancano tre giorni al grande anniversario:

Sembra un video-gioco, ma è una ricostruzione interessante. Mi sono pure chiesto se si fanno delle «ricostruzioni storiche» dal vivo, «giornate della memoria» o qualcosa del genere.


25 anni di libertà

Ieri, il 19 agosto, tanti russi hanno festeggiato i 25 anni di vittoria su quegli otto vecchi gerarchi comunisti che tentarono, tra il 18 e il 21 agosto del 1991, un colpo di Stato in URSS.

Gli autori del colpo di Stato vollero tentare il ritorno a una versione abbastanza antiquata e repugnante dell’URSS, il ritorno a quella realtà in cui si affermarono — decenni prima — dal punto di vista partitico e nel quale avrebbero continuato ad avere il loro grande peso politico, basato sulle sole fedeltà di facciata alla ideologia e il clima di paura nel Paese. Tanti ormai quasi ex cittadini sovietici, invece, capirono di non voler proprio tornare in quella epoca grigia. Anzi, decisero di manifestare la propria volontà di andare nella direzione esattamente opposta.

Non posso dire che la «rivoluzione anti-comunista» sia stata fatta dal popolo: tutti gli scontri di piazza accaddero in una area di pochi chilometri quadrati del centro di Mosca, lungo l’asse che collega il Cremlino e la Casa Bianca (all’epoca era la sede del Governo centrale). La maggioranza dei cittadini residenti in altre zone (addirittura fuori dal centro di Mosca) seppe dei fatti accaduti solo dopo la ripresa del funzionamento della TV centrale e la ricomparsa dei giornali nelle edicole. Dirò di più: in nessun caso un regime cadde in Russia per mano del popolo (ma questa è un’altra storia). Il popolo comprese però il senso e l’importanza delle varie libertà negategli nei decenni dell’URSS. Non ebbe la possibilità fisica di conquistarle, ma almeno la forza morale per uscire di casa e iniziare a lottare.

Quella comprensione, a quanto pare, è diminuita un po’ negli ultimi anni.

I tentativi di costruire un’altra Unione sul territorio dell’ex URSS che stiamo osservando con chiarezza dal 2011 dovrebbero mostrarci, entro un tempo relativamente breve, quanto sono ancora richieste quelle libertà.

P.S.: gli otto vecchi golpisti si dimostrarono dei puzzoni senza coglioni e non seppero andare fino in fondo nella loro impresa. La loro buffonata di agosto fu in un certo senso da permesso per abbandonare la nave: la dissoluzione dell’URSS accelerò.


Design religioso

Le notizie delle ultime settimane mi hanno indotto a leggere una determinata quantità di testi in qualche modo collegati alla tematica dell’islam. Tra le varie cose, ho riscoperto la bandiera dell’emirato del Nord-Caucaso (uno Stato islamico esisto da settembre 1919 a marzo 1920 sul territorio Cecenia e Daghestan):


2 a 1

Mi ricordo ancora una lezione del corso di relazioni internazionali (Facoltà di Scienze politiche, Università Statale di Milano), svoltasi a metà febbraio del 2006.

Il professore A. C. entra in aula e dice: «Ragazzi, oggi non ho voglia di spiegare la teoria. Quindi fatemi delle domande sulla attualità».

A questo punto lo studente D. K. alza la mano e chiede: «Professore, cosa ne pensa della situazione in Kirghizistan?»

Al che il professore A. C. risponde: «Guardi, piuttosto parliamo della Champions League…»

Nel 2006 quello stato soffriva ancora il caos politico iniziato con la «rivoluzione dei tulpani» della primavera del 2005. Oggi, più di dieci anni dopo, Kirghizistan ci ha finalmente fornito un altro motivo per parlare della sua misera esistenza nelle steppe sfigate.

Il Ministero della cultura del Kirghizistan ha indetto un concorso per la migliore opera musicale sulla ribellione kirghiza contro l’Impero Russo del 1916. Quell’anno l’imperatore Nikolai II decise di mobilitare i maschi di età tra i 19 e i 43 anni del Kirghizistan per lo svolgimento dei lavori manuali sulla linea del fronte della Prima guerra mondiale. Trattandosi di una pretesa senza precedenti, i kirghizi (sudditi dell’Impero Russo praticamente privi di obblighi avanti allo Stato) decisero di ribellarsi: uccisero circa venti mila russi (non solo maschi e/o militari) residenti sul loro territorio, ma non seppero organizzare una lotta armata vera contro l’esercito professionale.

Insomma, non so chi abbia fatto la stronzata più grossa: l’imperatore (la sua idea di far lavorare i nomadi fu difficilmente realizzabile almeno dal punto di vista organizzativo) o i ribelli (vidi la loro reazione).

Ora il conto è stato portato al 2:1.


La mia lotta

Quello di oggi è un post serio come pochi. Allora… Sabato 11 giugno, mentre cazzeggiavo su Facebook, mi sono imbattuto in questa foto:

Oggi approfitto della occasione per ricordarvi una cosa piuttosto banale. Ma prima leggete questa barzelletta ebraica:

«Rebbe, io sono ateo», disse un ragazzino.
«Se Egli fosse come te lo immagini tu, pure io sarei ateo», rispose Rebbe.

Ecco, ora posso provare a esprimere il mio pensiero in una maniera meno allegorica. Ricordatevi che solo un ignorante è contrario a un concetto senza conoscerlo. Non si può essere atei senza conoscere i testi religiosi (il sottoscritto è ateo). Non si può essere contrari al terrorismo religioso o politico senza conoscere i suoi fondamenta teorici o, almeno, i metodi (il sottoscritto è contrario al terrorismo). Non si può essere contrari al nazismo senza conoscere i suoi metodi, fini e fondamenta teorici (il sottoscritto è contro il nazismo).

Non si può, perché chi è contrario senza conoscere segue ciecamente la moda e non la propria ragione. Quindi è uno scemo.

Se l’edicola che ha esposto l’annuncio si è prefissata l’obiettivo di lottare contro i libri e moltiplicare il gregge degli ignoranti (imitando in questo senso il regime di Hitler), è necessario boicottare l’edicola. Non il libro.

Detto ciò, vi comunico che «Mein Kampf» di Adolf Hitler è un libro pallosissimo. Un italiano su cento riuscirà a leggerne più della metà.


Le cartine politiche del mondo

Riprendiamo l’argomento delle mappe.
Geacron è un progetto infografico bellissimo: http://geacron.com/home-en/

Il sito, costruito sulla base delle Google Maps, permette di vedere le mappe politiche del mondo per qualsiasi anno dal 3000 a.C. ad oggi.

Le mappe possono essere ingrandite e rese più dettagliate. Ecco, per esempio, il 1216: l’Italia fa ancora parte di un Impero (ma non quello Romano), sul territorio della attuale Russia si distinguono le prime formazioni territoriali rilevanti, l’Africa è quasi tutta bianca (sembra una battuta).


La collezione delle mappe

L’imprenditore edile statunitense David Rumsey non si interessa più di tanto, a differenza di alcuni colleghi, delle elezioni presidenziali. Per fortuna ha un altro grande interesse: a partire dagli anni ’80 colleziona le vecchie mappeю Al giorno d’oggi la sua è una delle più grandi collezioni al mondo: essa è composta da più di 150 mila unità. Alla fine degli anni ’90, poi, Rumsey si è improvvisamente reso conto che la sua collezione potrebbe risultare interessante anche alle altre persone. Ha dunque avviato la digitalizzazione delle mappe in proprio possesso al fine di renderle di dominio pubblico. Per ora sono state scannerizzate più di 67 mila sue mappe (meno della metà del totale).

Nel 2009, infine, David Rumsey ha deciso di regalre la propria collezione alla Università di Stanford. L’università in questione, non essendo diretta da defficienti, ha provveduto alla creazione del David Rumsey Map Center per la conservazione e lo studio del tesoro ricevuto. In contemporanea con l’apertura del suddetto centro di ricerca, il 19 aprile 2016 alla Cecil H. Library è stata inagurata una mostra di alcune delle mappe donate da Rumsey (aperta fino al 28 agosto).

Non so quanti dei miei lettori avranno tempo, nei prossimi quattro mesi, di farsi un viaggio da quelle parti. Quindi vi invito semplicemente a visitare il sito ufficiale di David Rumsey Map Collection.

Attenzione: il sito crea dipendenza. Se non siete immuni allo studio, non iniziate.


Lego per gli adulti

Non ho mai avuto, nel corso degli studi, dei problemi con la storia, ma penso che le persone meno fortunate di me l’avrebbero trovata una materia non tanto noiosa se comprendesse dei dettagli come quello che sto per raccontarvi. Io l’ho appena scoperto.

Durante la Seconda guerra mondiale il famoso fuoristrada Willys veniva prodotto da due fabbriche: Willys Overland Motors e Ford (quest’ultima chiamò il modello Ford GPW).

All’esercito statunitense le vetture venivano inviate smontate e imballate in grosse scatole di legno. In ogni scatola ci stavano i pezzi di una macchina.

Per l’assemblaggio delle macchine sul campo esistevano delle squadre speciali di meccanici. Le squadre migliori riuscivano ad assemblare un Willys in 3 minuti.

Per i dettagli si veda l’articolo «Jeeps in Crates» della rivista «Army Motors» (PDF, 13 MB).

P.S.: non ho ancora capito se è possibile comprarne «una confezione».


71 anni della Vittoria

Oggi in Russia (e in tante altre ex Repubbliche dell’URSS) si festeggia la Giornata della Vittoria. Sapevo di doverne dedicare un post. E per quest’anno ho pensato di fare una cosa meno formale del solito. Sicuramente avrò tante altre occasioni per scrivere qualcosa storicamente rilevante sui fatti della Seconda guerra mondiale.

Ad Aleksander Suvorov, uno dei più grandi condottieri della storia russa, viene attribuita la frase «una guerra non è finita finché non sepolto l’ultimo soldato». Io sono nato 38 anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, ma per me non finita finché non trovo un suo eroe. La descrizione di questa mia missione è alla fine del post, mentre prima vorrei presentarvi due persone.

Non si tratta di un testo sulla storia della guerra in senso tradizionale, quindi chi ha paura di deludersi può anche saltarlo.
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