Dal punto di vista statistico, mi fanno un po’ ridere le ricerche sociologiche condotte su un campione palesemente ridicolo: come, per esempio, il sondaggio condotto dalla Ipsos per conto della Euronews tra i cittadini dell’UE. In 18 Stati-membri dell’UE hanno interrogato 26 mila persone su 448,4 milioni di abitanti, ahahaha
Ma l’idea della ricerca in questione è comunque interessante. In vista delle elezioni al Parlamento europeo, hanno cercato di scoprire qual è il leader più popolare tra gli europei.
Quasi la metà degli europei (47%) ha un’opinione positiva sul Presidente ucraino Vladimir Zelensky, ma questa opinione varia ampiamente tra gli Stati-membri dell’UE. Allo stesso tempo, il 32% ha un’opinione «negativa». Il 21%, poi, ha dichiarato di «non sapere abbastanza» sul presidente, che negli ultimi due anni ha fatto notizia e ha viaggiato molto in tutto il continente parlando a nome del suo Paese devastato dalla guerra. Nei Paesi nordici e nella Penisola iberica, Zelensky riceve le valutazioni più positive: 81% in Finlandia, 74% in Svezia, 72% in Danimarca e Portogallo e 64% in Spagna. Al contrario, più della metà degli intervistati in Ungheria (60%), Grecia (57%) e Bulgaria (56%) ha un’opinione «negativa» del presidente ucraino (per puro caso sono degli Stati con dei rapporti meno negativi con la Russia). Altri Paesi in cui i giudizi «negativi» superano quelli «positivi» sono la Slovacchia (50% contro 26%), l’Austria (47% contro 33%), l’Italia (41% contro 32%) e la Repubblica Ceca (37% contro 36%).
All’ultimo posto del sondaggio Euronews/Ipsos si si classifica il Presidente russo Vladimir Putin, che è ampiamente il leader più odiato: il 79% degli intervistati ha un’opinione «negativa» del personaggio ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra in Ucraina. Il 10% ne ha invece un’opinione «positiva», mentre l’11% «non ne sa abbastanza».
In particolare, l’opinione «negativa» prevale maggiormente in Finlandia (94% «negativo»), Svezia (91%), Danimarca (91%), Polonia (91%), Spagna (90%), Portogallo (89%), Paesi Bassi (88%) e Francia (80%). L’indicatore «negativo» scende sotto la soglia del 60% solo in quattro Paesi: Grecia (59%), Ungheria (57%), Slovacchia (56%) e Bulgaria (48% contro il 37% «positivo»).
Indovinate cosa mi sorprende di più in questi risultati…
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Il mio sondaggio di questo mese ha l’origine in una delle scoperte più sconcertanti della mia vita: a un certo punto mi ero accorto (ormai anni fa) che diverse persone sbucciano le banane in un modo opposto a quello che mi sembra più comodo e più ovvio! Ora voglio scoprire quanti pervertiti ci siano tra i miei lettori, ahahaha
Chissà se riesco a mettere qualcuno sulla giusta via…
N.B.: il sondaggio è anonimo per i votanti non registrati o non loggati sul sito. Il sondaggio più recente è sempre visibile sulla prima pagina del sito. Tutti i miei sondaggi sono raccolti su una apposita pagina.
È interessante vedere, nell’ottica degli ultimi eventi, i risultati dei sondaggi condotti dall’ente russo «Levada Center» (una organizzazione russa indipendente e non governativa, che conduce sondaggi e ricerche sociologiche).
I sondaggi sulla figura di Evgeny Prigozhin: nel sondaggio del 25–28 giugno, il 29% degli intervistati ha dichiarato di vedere positivamente l’attività di Prigozhin (l’11% che approva pienamente le sue attività, il 18% che le approva parzialmente). Rispondendo alla stessa domanda il 22–23 giugno, il 30% degli intervistati aveva dichiarato di approvare pienamente le attività di Prigozhin, mentre il 28% ha dichiarato di approvarle parzialmente.
I sondaggi sulla figura del Ministro della «Difesa» Sergei Shoigu: una settimana fa il 60% degli intervistati approvava le sue attività (il 30% approvava pienamente e il 30% solo in parte), mentre ora il grado di approvazione è al 48% (il 24% in totalmente e il 24% in parte).
I sondaggi sulla figura di Vladimir Putin: il grado di approvazione è quasi invariato. Prima della «rivolta», l’82% degli intervistati aveva dichiarato di appoggiare in tutto o in parte le sue attività; il giorno della «rivolta» il 79%; e dopo la rivolta ancora l’82%.
Allo stesso tempo, i politici regionali dichiarano che il Cremlino ha comunicato loro che il livello di fiducia di Putin è sceso del 9–14%. E, di conseguenza, in questi giorni viene organizzata una tournée di Putin nelle regioni russe mai vista prima: si sta comportando quasi come un comune politico occidentale che per qualche motivo si interessa del rapporto reale con i potenziali elettori.
Ma il problema è: la cerchia di Putin (ma anche il pubblico internazionale) ha improvvisamente visto che il presidente, in realtà, non ha due cose. In primo luogo, non ha l’appoggio reale delle numerose strutture armate create negli ultimi due decenni (alcune non lo hanno difeso contro Prigozhin nascondendosi non si capisce dove, altre «erano bloccate nel traffico» come i combattenti di Kadyrov). In secondo luogo, nessuno di quei oltre l’80% dei cittadini si era organizzato per difendere – almeno attraverso delle manifestazioni da piazza – l’"amato" presidente.
Di conseguenza, nonostante tutti i sondaggi possiamo sperare che Putin ora rischi un po’ di più a essere «scaricato» da chi si sente più forte di lui.
Molto probabilmente non lo sapevate – e, ovviamente, non eravate obbligati di saperlo – per legge russa le coppie nelle quali almeno una persona ha ricevuto la convocazione per la mobilitazione militare possono sposarsi il giorno stesso in cui si recano all’ufficio anagrafe: invece di aspettare un mese stabilito per le situazioni normali.
Sicuramente sapevate che il 21 settembre 2022 in Russia è partita la mobilitazione «parziale» della popolazione per la guerra in Ucraina. Proprio «grazie» a tale evento molte coppie russe «hanno potuto» sposarsi subito… In realtà hanno deciso di sposarsi subito e lo hanno fatto, prevalentemente, per un motivo ben preciso: per fare in modo che la donna possa pretendere gli aiuti finanziari statali dopo l’uccisione del marito. Non posso dunque escludere che una parte di quegli matrimoni sia frutto degli accordi commerciali tra privati, ma non è di questo che volevo scrivere oggi.
Oggi volevo segnalarvi una interessante ricerca sul reale andamento della mobilitazione che i giornalisti hanno potuto condurre proprio grazie alle osservazioni delle statistiche «matrimoniali». Non solo i risultati, ma anche il punto di partenza e il metodo della ricerca sono inaccessibili e inimmaginabili per la maggioranza schiacciante dei giornalisti e sociologi occidentali del XXI secolo.
Un interessante fenomeno socio-culturale (ma forse anche economico?) che si sta sviluppando in Russia a partire dal 24 febbraio difficilmente sarà trattato dai giornalisti occidentali prima della fine della guerra in Ucraina. Ma questo non lo rende meno interessante e, in un certo senso, meno ottimistico. E allora sarò io a anticipare i giornalisti, gli storici e i sociologi.
Gli editori e le librerie russe testimoniano che a partire dal 24 febbraio 2022 in Russia è aumentata la domanda, da parte dei lettori, dei libri di storia dedicati alla Seconda guerra mondiale in generale e alla Germania nazista in particolare. Per alcuni libri o autori (sia russi che occidentali) l’aumento della domanda può arrivare anche a diverse centinaia di percento. La seconda ondata dell’aumento della domanda è iniziata il 21 settembre: il giorno della proclamazione da parte di Putin della mobilitazione «parziale» dei civili per la guerra.
Il fenomeno in questione potrebbe sembrare, a un lettore occidentale, solo un piccolo fatto statistico. Alle persone che si orientano un po’ di più nella realtà quotidiana russa è invece evidente un’altra cosa: si tratta di una importantissima fonte per le ricerche sociologiche quantitative. Infatti, nella Russia contemporanea i sondaggi sono di fatto impossibili: la maggioranza delle persone ha paura di rispondere (o di rispondere sinceramente) alle domande riguardanti la politica (nel senso più ampio del termine) e, da sette mesi e mezzo, la guerra. Succede perché ognuno ha in mente un ragionevole dubbio: chi è la persona che mi sta facendo la domanda? È un agente in borghese? È un informatore della polizia? Se rispondo in un modo «sbagliato», dopo quanto tempo mi arrestano?
Di conseguenza, siamo costretti a studiare l’opinione dei cittadini residenti in Russia basandoci anche su una molteplicità di fonti indirette. Compreso il mercato dei libi.
I sociologi che dispongono i mezzi necessari per raccogliere le opinioni delle larghe masse potrebbero organizzarsi per svolgere una interessante ricerca a livello nazionale o, addirittura, mondiale… Anzi, sarebbe interessantissimo confrontare i risultati Stato per Stato e poi cercare delle correlazioni con il modo di affrontare la pandemia del Covid-19 adottato in ogni singolo Stato.
L’indagine che intendo ha solamente una domanda:
«Voi, gli umani viventi nel 2021, quale anno intendete con l’espressione l’anno scorso? Intendete il 2020 o il 2019?»
La domanda mi è venuta in mente già un paio di mesi fa, quanto mi ero improvvisamente accorto di pensare al 2019 proprio nei termini dell’"anno scorso". Non considero il 2020 del tutto perso e/o inutile: sono riuscito a produrre qualcosa di interessante e vivere diversi mesi secondo un ritmo molto simile a quello abituale. Ma, allo stesso tempo, le varie restrizioni imposteci hanno reso il 2020 un po’ povero di avvenimenti memorabili (rispetto agli anni precedenti). Quindi spesso, ricordando qualche evento, penso automaticamente che sia successo l’"anno scorso".
So di non essere l’unico a osservare tale fenomeno nella propria testa. Di conseguenza, sarei curioso di scoprire la sua portata.
Il post di oggi è dedicato alla esperienza della recente quarantena italiana. Chi non ha più le forze morali per leggere ulteriori testi sull’argomento del COVID-19, salti pure questo testo. Non mi offendo. Vi capisco benissimo.
Io, intanto, elenco molto brevemente alcune mie considerazioni di basso contenuto intellettuale.
1. Sì, pure io sono curioso di vedere le statistiche delle separazioni nelle prossime settimane e delle nascite di dicembre 2020 / gennaio 2021. A marzo mi era già capitato di leggere della impennata delle separazioni in Cina. Per le nascite in Cina e per entrambi fenomeni in Italia le notizie interessanti mi sembrano inevitabili.
2. Le statistiche non di minore importanza, ma più veloci da ottenere sono quelle che riguardano i furti in casa. Vorrei vedere i valori di marzo/aprile 2020 e il loro confronto con i valori dei mesi e anni precedenti (per ora ho visto solo dei dati parziali e generici come questi). Perché mi sa tanto che una grossa quantità di «professionisti» era rimasta senza lavoro. Vorranno recuperare?
3. Altrettanto interessante sarebbe vedere una ricerca sociologica sulla quantità delle persone che fino alla fine di febbraio 2020 pianificavano di andare in pensione a breve, ma dopo la chiusura in quarantena hanno cambiato idea. Perché, effettivamente, si tratta di un trailer un po’ terrificante.
4. Dubito che una quantità consistente degli antivaccinisti convinti ritrovi la salute mentale. Certe persone non sono recuperabili. Ma spero di sbagliami.
5. Pare che almeno la prima puntata (stagionale) della emergenza stia per passare, ma io sto ancora cercando di minimizzare l’uso dei mezzi pubblici. Non perché sono allarmato/impaurito – non lo sono stato nemmeno nei momenti peggiori! – ma perché nel corso dei lunghi due mesi passati in quarantena sono visibilmente ingrassato. Oltre al fattore estetico negativo è anche una potenziale minaccia per la salute, quindi sto cercando di camminare ancora più del solito. Invito i miei lettori a fare lo stesso.
6. La prossima volta (spero che non ci sia!) che ci capita di finire in quarantena, ricordiamoci che quelle del cibo non sono le uniche scorte necessarie. A differenza di alcuni miei amici e conoscenti, io ho imparato già anni fa a leggere i libri in formato digitale e ho dunque evitato almeno uno dei tanti problemi. Però, per esempio, la chiusura della Brico e negozi simili mi ha impedito di vivere la quarantena con l’utilità ancora più grande. Ne vanno tratte le giuste conclusioni.
7. Probabilmente avrebbe senso ragionare sulla opportunità di introdurre nelle scuole una materia obbligatoria che potremmo chiamare «Le basi medico-sanitari». Sicuramente scriverò un post a parte sull’argomento, mentre ora mi limito a precisare che l’educazione sessuale non è l’unico tema che debba essere affrontato nella suddetta materia. Dovrebbero essere approfondite e conservate nelle teste degli umani tutte quelle nozioni che molte persone hanno dovuto imparare un po’ in fretta nel corso dell’ultima epidemia. La materia sarà utile anche per scacciare dalle teste certe conoscenze mediche false che ho letto e sentito in abbondanza negli ultimi due mesi e mezzo. Si riuscirebbe a minimizzare non solo i danni delle epidemie, ma pure il fastidiosissimo panico tra la popolazione.
Secondo una popolarissima leggenda metropolitana, gli ignoranti in generale e gli analfabeti in particolare si sarebbero trasferiti in massa sull’internet. E lo avrebbero fatto illudendosi di avere ora più visibilità e impunità. La maggioranza di loro in realtà sbaglia, come sbagliano anche gli amanti della suddetta leggenda.
C’è ancora chi preferisce il vecchio buon metodo di pubblicizzare i propri problemi – di mente e di ortografia – sui muri:
E allora io direi: basta gli analfabeti (e tutti gli altri ignoranti) nel mondo. Tutte le altre creature umane mi sono potenzialmente simpatiche.
L’azienda YouGov – che si occupa dello studio della opinione pubblica – ha pubblicato i risultati curiosi di una sua recente ricerca: i cittadini di quale Stato si vantano di più per essere degli «eredi» di un impero.
Io pubblico solo un grafico, mentre voi potreste leggere l’intero articolo.
Seppure il risultato italiano non sia altissimo, potrei interpretarlo come un conferma indiretta del fatto che l’Italia è ora un Paese meno di sinistra di prima e, allo stesso tempo, mentalmente sano almeno dal punto di vista del rapporto con il passato. Infatti, è decisamente «più normale» preoccuparsi delle proprie condizioni di oggi.
La maggioranza dei genitori religiosi è convinta che i loro figli siano più buoni, altruisti e onesti rispetto ai figli degli atei. Una ricerca della Università di Chicago, condotta in Canada, Cile, Giordania, Turchia, USA e Corea del Sud, ha però rilevato la correlazione di segno opposto tra il livello di religiosità e il livello di altruismo dei bambini. La ricerca è stata condotta su 1170 bambini dell’età tra i 5 e i 12 anni.
Si è scoperto, dunque, che la religiosità dei genitori incide negativamente sull’altruismo dei bambini e rende questi più propensi alla crudeltà (per la nostra fortuna si tratta di una statistica). La convinzione popolare circa la cosiddetta «catastrofe morale» del mondo dovuta all’abbandono della religione è dunque da considerare di validità più che dubbia.
Da parte mia aggiungerei che per l’umanità le religioni hanno svolto un compito molto simile a quello svolto dalle fiabe per i bambini. I bambini, crescendo e sviluppando le capacità intellettuali, trovano altre fonti dei valori umani, altre (notevolmente più evolute) giustificazioni del proprio operato, altri modi di distinguere tra il bene e il male. L’umanità non è più una bambina: ha abbondantemente superato quella età intellettuale nella quale furono sufficienti le fiabe religiose.