L’archivio del tag «putin»

Una reazione interessante

Lo avete già letto: il 20 settembre, cinque (pare) «peacekeepers» russi sono stati uccisi in Nagorno-Karabakh: il loro veicolo è finito sotto il fuoco di armi leggere azere. Non voglio ipotizzare che tipo di «peacekeepers» fossero: la prassi insegna che i militari russi possono solo tentare di condurre delle guerre di conquista (vedi l’Ucraina) o non fare nulla (vedi il Nagorno-Karabakh), ma non li ho ancora visti garantire o imporre la pace. Però in questi giorni ho visto una reazione interessante alla loro morte.
Sembra che il presidente azero Ilham Aliyev si sia scusato al telefono con Putin; il portavoce Peskov ha detto che «non conosciamo ancora tutti i dettagli di questa vicenda, ma almeno è in corso un’indagine»; non ci sono notizie sulla reazione di Putin stesso a quanto accaduto. Tutto ciò significa che Putin ha semplicemente accettato silenziosamente la notizia della uccisione dei militari russi: perché la sua formidabile e intransigente reazione ci sarebbe stata certamente riferita, anche in formato video (e ci ricordiamo benissimo che nel 2008 una situazione molto simile era stata un pretesto sufficiente per la guerra contro la Georgia). Ma Putin sa benissimo che tutte le sue forze militari sono ora impegnate in Ucraina, quindi non ci sono le risorse per affrontare l’Azerbaigian e il suo sponsor Turchia. Così se ne sta lì, con la paura di scoreggiare, da far vedere che sia successo qualcosa di degno di nota.
Un grande e terribile Putin…


La mossa “nemica” della Armenia

Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha dichiarato ieri che lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale sarà ratificato integralmente:
Il governo ha inviato lo Statuto di Roma al Parlamento e, secondo la mia posizione e quella della frazione del nostro partito, lo Statuto sarà pienamente ratificato. Il fatto della ratifica non ha nulla a che fare con le relazioni tra l’Armenia e la Russia, ma riguarda le nostre questioni di sicurezza.
Il Governo armeno ha inviato lo Statuto di Roma al Parlamento per la ratifica il 1° settembre. Il presidente del Parlamento Alen Simonyan ha dichiarato che il documento, firmato dalla Armenia nel 1998, verrà ratificato presto.
Si tratta di uno di quei rarissimi casi in cui io interpreto le parole del linguaggio diplomatico esattamente così come sono state pronunciate. L’Armenia si trova realmente in una situazione del costante percolo bellico accompagnato dai vari crimini di guerra. Mentre Putin – per il quale è stato emanato il mandato internazionale di arresto proprio dalla Corte penale internazionale, istituita dal suddetto Statuto – viaggia poco all’estero e non vorrà certamente visitare una zona già poco sicura come l’Armenia. Di conseguenza, è evidente più o meno a tutti che la suddetta ratifica dello Statuto non è una misura rivolta (almeno in via principale) contro di lui: l’Armenia dipende ancora in molti aspetti dalla Russia, dunque l’applicazione dello Statuto sarà sicuramente molto selettiva. Ma il Ministero degli Esteri russo, ovviamente, non poteva non esprimere pubblicamente la propria «preoccupazione»: fa parte del suo lavoro.


Conviene apparire assassino

La mattina di ieri, il 29 agosto, Dmitry Peskov – il portavoce di Putin – ha dichiarato che «la presenza del presidente al funerale di Prigozhin non è prevista».
Sempre ieri, di pomeriggio, si è svolto l’"evento" ufficialmente definito «funerale di Prigozhin»: senza Putin e senza il pubblico, senza gli onori militari dovuti per legge a una persona avente lo status di «Eroe della Russia», «segreto» secondo la formula ufficiosa.
La suddetta dichiarazione e la suddetta assenza di Putin insieme fanno una buona occasione per sottolineare un aspetto logico interessante: indipendentemente da quello che è realmente successo a Evgeny Prigozhin (abbattuto, fatto esplodere in aria, arrestato di nascosto sul secondo aereo, lasciato scappare all’estero etc., etc.), a Putin conviene far credere a una determinata categoria dei russi che sia stato proprio lui a ordinare l’eliminazione di Prigozhin. Tale ordine e la sua esecuzione in una data quasi simbolica (due mesi esatti dalla «rivolta») dimostrerebbero – nella sua logica mafiosa – una grande forza e la capacità di eliminare i nemici. Di conseguenza, i collaboratori più stretti e/o potenti dovrebbero spaventarsi e non pensare più ai tentativi di destituire Putin.
Il problema sta nel fatto che il trucco funzionerà fino alla prossima situazione di pericolo più o meno reale, quando Putin apparirà nuovamente in televisione impaurito e incapace di dire alcunché di preciso.
Ma per ora gli conviene far credere che sia stato lui a eliminare Prigozhin. In tale missione sarà sicuramente aiutato dai vari propagandisti ufficiali e non.


I “segreti di Putin”

I giornalisti di «Mediazona» hanno calcolato – sulla base dei numeri di serie – che nel luglio 2023 il 62% dei decreti presidenziali firmati da Putin non è stato pubblicato. Infatti, tutti i decreti presidenziali vengono numerati in un semplice ordine progressivo dall’inizio dell’anno: se un certo numero non si trova nei documenti pubblicati, significa che è stato assegnato a un decreto segreto. Una percentuale così alta di decreti segreti non si era mai vista durante la permanenza di Putin alla Presidenza della Russia. Inoltre, solo una volta nella storia della Russia moderna la quota di decreti segreti è stata leggermente superiore a quella attuale: il 64% nel gennaio 1999 (alla presidenza c’era ancora Boris Eltsin).
Allo stesso tempo, secondo i risultati dei primi sette mesi, il 2023 è al primo posto in termini di quota di decreti segreti. Durante questo periodo, essi sono risultati essere il 48% del numero totale di documenti firmati da Putin.
A tale statistica – che può interessarvi o meno – si potrebbe aggiungere un dettaglio «curioso» sui documenti firmati da Putin nel 2022. Non si è ancora trovato alcun documento firmato da Putin con il quale sarebbe stato dato l’inizio alla invasione dell’Ucraina il 24 febbraio 2022. Pare che un documento del genere non esista proprio: Putin ha trovato il coraggio di iniziare la vera guerra, ma non di farlo formalmente con il proprio nome.


Che trailer interessante

Il regista polacco Patryk Vega ha pubblicato il primo trailer del proprio thriller politico in lingua inglese «Putin»:

Il trailer fa una impressione un po’ strana (ehm, sì, strana), ma, nonostante tutto, per ora direi che cercherò di vedere il film…


L’ipotesi dell’arresto

La Russia ha fatto intendere che l’eventuale arresto in Sudafrica di Putin in caso della sua partecipazione al vertice del BRICS (in agosto) equivarrebbe a una dichiarazione di guerra. Lo ha dichiarato il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa nella sua testimonianza scritta in tribunale, citata dal media locale Independent Online. Ramaphosa ha inoltre dichiarato di aver avviato le consultazioni in materia con la Corte penale internazionale.
A questo punto un lettore medio potrebbe chiedersi: la Russia che da quasi un anno e mezzo non sta riuscendo a ottenere dei particolari successi militari in Ucraina è in grado (e intenzionata) di dichiarare un’altra guerra in una terra così lontana? La risposta mi sembra evidente. Dovrebbe essere evidente anche a Putin (ammesso che abbia ancora conservato una capacità minima di ragionare) e, forse, ai vertici del Sudafrica.
Quindi per il momento vedo due opzioni. O il Cremlino collettivo sta tentando un bluff, o la protezione degli interessi statali russi sul continente africano sarà nuovamente protetta dalla Wagner.
A proposito: Prigozhin che fine ha fatto? E che piani per il futuro ha?


Logico…

In una intervista di ieri (in russo) Putin ha dichiarato che «l’Ucraina ha il diritto di garantire la propria sicurezza, ma questo non deve peggiorare la sicurezza della Russia». È una dichiarazione della quale avremo quasi potuto ridere, soprattutto invertendo l’ordine dei nomi di due Stati.
Ma anche chi ride troppo presto ride male. Perché il contesto della dichiarazione di Putin è ancora più ridicolo: faceva parte del suo commento sul vertice della NATO a Vilnius. Uno degli obiettivi della guerra «preventiva» pubblicamente annunciati era quello di impedire l’estensione della NATO verso i confini russi (non si capisce perché tale estensione debba essere vista come un pericolo, ma almeno per ora lasciamo perdere). Tra gli effetti della guerra abbiamo già visto il raddoppio dei confini della Russia con la NATO (l’adesione della Finlandia) e la promessa (fatta proprio a Vilnius) di ammettere l’Ucraina con una procedura semplificata (proprio come si è fatto con la Finlandia; non era difficile da prevedere). Di conseguenza, in base alla logica di Putin la Russia ha fatto la guerra per migliorare e peggiorare la propria sicurezza allo stesso tempo.
Una logica molto logica, ancora più «logica» di prima.


L’incontro tra Prigozhin e Putin

Ieri il giornale francese Liberation ha scritto che Evgeny Prigozhin si sarebbe incontrato con Putin nel Cremlino il 1° luglio, una settimana dopo la «rivolta».
Dmitry Peskov, il portavoce di Putin, ha reagito a tale notizia comunicando che Putin e Prigozhin si sarebbero incontrati nel Cremlino il 29 giugno e che l’incontro sarebbe durato quasi tre ore.
I giornalisti russi si sono ricordati che il 29 giugno Peskov aveva dichiarato di non sapere dove si trova Prigozhin.
Mentre io (e non solo io) ho sempre immaginato che Prigozhin non avrebbe potuto, all’inizio di luglio, girare liberamente per Mosca e San Pietroburgo, ritirare personalmente i soldi, le armi e i beni vari precedentemente sequestratigli, senza avere un permesso personale di Putin. Anzi: non solo il permesso, ma anche una garanzia credibile della sicurezza fisica.
Non voglio sprecare la fantasia per ipotizzare cosa e perché si siano detti i due personaggi, indipendentemente dalla data reale dell’incontro. Voglio solo scoprire su cosa basava il coraggio di Prigozhin di presentarsi fisicamente nel Cremlino dopo avere costretto Putin di apparire una persona impaurita, indecisa e disorientata: sa bene, ancora meglio di noi, che le promesse di Putin non valgono molto.


I sondaggi russi creativi

È interessante vedere, nell’ottica degli ultimi eventi, i risultati dei sondaggi condotti dall’ente russo «Levada Center» (una organizzazione russa indipendente e non governativa, che conduce sondaggi e ricerche sociologiche).
I sondaggi sulla figura di Evgeny Prigozhin: nel sondaggio del 25–28 giugno, il 29% degli intervistati ha dichiarato di vedere positivamente l’attività di Prigozhin (l’11% che approva pienamente le sue attività, il 18% che le approva parzialmente). Rispondendo alla stessa domanda il 22–23 giugno, il 30% degli intervistati aveva dichiarato di approvare pienamente le attività di Prigozhin, mentre il 28% ha dichiarato di approvarle parzialmente.
I sondaggi sulla figura del Ministro della «Difesa» Sergei Shoigu: una settimana fa il 60% degli intervistati approvava le sue attività (il 30% approvava pienamente e il 30% solo in parte), mentre ora il grado di approvazione è al 48% (il 24% in totalmente e il 24% in parte).
I sondaggi sulla figura di Vladimir Putin: il grado di approvazione è quasi invariato. Prima della «rivolta», l’82% degli intervistati aveva dichiarato di appoggiare in tutto o in parte le sue attività; il giorno della «rivolta» il 79%; e dopo la rivolta ancora l’82%.
Allo stesso tempo, i politici regionali dichiarano che il Cremlino ha comunicato loro che il livello di fiducia di Putin è sceso del 9–14%. E, di conseguenza, in questi giorni viene organizzata una tournée di Putin nelle regioni russe mai vista prima: si sta comportando quasi come un comune politico occidentale che per qualche motivo si interessa del rapporto reale con i potenziali elettori.
Ma il problema è: la cerchia di Putin (ma anche il pubblico internazionale) ha improvvisamente visto che il presidente, in realtà, non ha due cose. In primo luogo, non ha l’appoggio reale delle numerose strutture armate create negli ultimi due decenni (alcune non lo hanno difeso contro Prigozhin nascondendosi non si capisce dove, altre «erano bloccate nel traffico» come i combattenti di Kadyrov). In secondo luogo, nessuno di quei oltre l’80% dei cittadini si era organizzato per difendere – almeno attraverso delle manifestazioni da piazza – l’"amato" presidente.
Di conseguenza, nonostante tutti i sondaggi possiamo sperare che Putin ora rischi un po’ di più a essere «scaricato» da chi si sente più forte di lui.


La “rivolta” di Prigozhin

Provo a schematizzare le mie prime considerazioni… Per capire appieno quella iperveloce «rivolta» di Evgeny Prigozhin che sabato ha scosso un po’ tutto l’Occidente, bisogna capire le motivazioni di almeno quattro suoi protagonisti.
1. Evgeny Prigozhin. Bisogna ricordare che non è un personaggio pubblico né dal punto di vista attivo né da quello passivo. Questo significa che utilizza i social media per rivolgersi alle persone le cui attenzione e reazione gli interessano, ma non cerca il consenso popolare (anche se, ovviamente, c’è chi lo legge); allo stesso tempo, non è un personaggio pubblico dal punto di vista passivo perché i mass media russi ne parlano poco (al massimo dicono «guardate cos’altro ha detto quel pazzo»); più una testata è vicina allo Stato e meno parla di Prigozhin. In generale, si può dire che il personaggio è molto più noto e seguito in Europa che in Russia.
Ovviamente, in Russia non è necessario essere noto e/o popolare per conquistare e mantenere il potere. È sufficiente conquistare i principali posti di comando a Mosca. A quel punto la maggior parte della popolazione resterà totalmente indifferente al cambio del «capo» (sì, c’è questo interessante fenomeno sociale che può essere riassunto con la frase «l’importante è che mi lascino stare»), mentre l’esercito, le forze dell’ordine e i vari dipendenti statali cercheranno di puntare sul candidato al potere più probabile. La storia insegna che in Russia succede così da secoli.
Il problema è che Prigozhin, non essendo interessato alla vita pubblica in generale e agli impegni istituzionali in particolare, non aveva iniziato la «rivolta» per conquistare il potere. A Prigozhin interessano due cose: i soldi (da sempre) e la sicurezza personale (in un modo particolare negli ultimi mesi). I soldi costituiscono il motivo principale del suo lungo conflitto con il ministro della «Difesa» Shoigu: anni fa, molto prima della guerra in Ucraina, Prigozhin aveva tentato (come si deduce da alcuni indizi) diventare uno dei fornitori principali del cibo all’Esercito russo. Potete immaginare facilmente che si trattava di contratti molto ricchi. Ma quei contratti non erano stati ottenuti, quindi era iniziato quel conflitto con il ministro che durante la guerra in Ucraina ha messo a rischio la sicurezza fisica di Prigozhin. Infatti, egli ha fatto delle promesse a Putin, ma da un certo punto in poi non si è più sentito in grado di mantenerle: non sa più dove prendere altri combattenti e altre munizioni (molte munizioni non vengono fornitegli proprio dal Ministero di Shoigu). Di conseguenza, già mesi fa comprende il rischio di essere nominato un «traditore di Putin» e «colpevole degli insuccessi militari in Ucraina». Comprende che la minaccia per la sua vita arriva proprio da Putin, quindi tenta di salvarsi.
Purtroppo per lui, si è dimenticato che accettando la «proposta di Lukashenko», si è creato un nemico eterno. Infatti, Putin non dimentica e non perdona: finché è in vita, cercherà di punire il «traditore» Prigozhin. Ha dei mezzi per farlo in qualsiasi punto del pianeta.
2. Vladimir Putin. Probabilmente lo sapete anche senza di me, ma a Putin nella vita pubblica piacciono almeno due cose: essere associato solo alle notizie positive e apparire un tipo duro. Non ha mai parlato degli insuccessi militari in Ucraina (gli insuccessi sono la colpa dei generali, mentre le vittorie sono il merito di Putin), si era nascosto da qualche parte nei periodi meno favorevoli per l’Esercito russo e, inizialmente, non aveva reagito alla «rivolta» di Prigozhin. Ma la mattina del sabato 24 giugno era apparso in televisione con un discorso debolissimo. Anziché dire qualcosa come «Fottuto Prigozhin, ti do due ore per sparire, poi mi incazzo sul serio!», ha iniziato quasi a piangere del tradimento… Alla fine, avendo paura di fallire pubblicamente, non ha voluto nemmeno combattere o trattare con Prigozhin per il proprio potere. E ha affidato tutto a Lukashenko.
3. Sergey Shoigu. Ho già menzionato il suo lungo conflitto con Prigozhin. Ma ora ci interessa per un motivo molto più curioso: da mesi (forse anche da più mesi di noi) sapeva dell’aggravarsi dei rapporti con il capo di una grande banda armata, ma l’intero Esercito (del quale è Ministro) non si è preparato in alcun modo agli eventuali problemi. Non vedeva alcun pericolo? Allora è un cretino che debba essere ricoverato al più presto. O, forse, cerca di non farsi attribuire tutte le colpe per gli insuccessi in Ucraina passando per pazzo?
4. Aleksander Lukashenko. Sicuramente ora è felice come mai (tranne un giorno degli anni ’90) è stato nella propria vita: ha fatto un enorme favore a Putin, gli ha salvato la faccia, e ora può pretendere altri aiuti economici (li pretende da quando è al potere) fino alla fine dei giorni presidenziali di Putin. E/o dei propri. Si vedrà.
A questo punto vi concedo una pausa perché il testo è venuto un po’ troppo lungo.