Nel frattempo, Alexey Navalny – il più noto (meritatamente, direi) oppositore russo – è stato oggi riconosciuto colpevole di altri due reati. Dall’inizio del 2021 Navalny sta scontando una reclusione a 2 anni e 8 mesi per «truffa» (con tale termine il «giudice» aveva definito la precedente attività imprenditoriale di Alexey e del suo fratello Oleg); ora a quel periodo dovrebbero aggiungersi altri 13 anni giuridicamente altrettanto fondati. Considerato l’impegno politico di Navalny, la nuova condanna non è assolutamente una sorpresa… Anzi, era evidente sin dall’inizio che sarebbe stato fatto tutto il possibile per tenerlo in carcere per più tempo possibile, con qualsiasi pretesto.
Alexey Navalny (a sinistra) e i suoi avvocati ascoltano la condanna – la foto di Sergey Fadeichev, scattata nella «sala stampa» del carcere dove si è tenuto il processo.
Ecco, nelle ultime tre settimane mi è capitato di sentire più volte una stranissima teoria complottista: che l’invasione militare dell’Ucraina sarebbe stata avviata per distrarre ogni possibile attenzione dal nuovo processo a Navalny. Ebbene, secondo il mio autorevolissimo parere si tratta di una teoria stupidissima. Anche quando due fenomeni si verificano in contemporanea, non sono necessariamente correlati tra loro. Soprattutto quando qualcuno (indovinate chi) ha la certezza di un totale disinteresse di quasi tutta la popolazione per almeno uno di quei fenomeni.
Nella vita reale raramente si riesce a fare una cosa alla volta, quindi sono inevitabili anche le coincidenze più strane. Per esempio, il processo a un oppositore considerato ormai «messo al sicuro» e una guerra che si illudeva di poter concludere vittoriosamente in pochi giorni. Ma, purtroppo, si riesce a fare tutte queste cose. Purtroppo, è anche giustificata l’attesa del disinteresse di una parte della popolazione a uno o entrambi gli eventi.
L’unico aspetto positivo della suddetta coincidenza è una semplice evidenza: Alexey Navalny non passerà in carcere tutti quegli anni. Infatti, la guerra in Ucraina che stiamo osservando non può non essere il culmine (e quindi la fine) del potere di Vladimir Putin. Non ha la possibilità di vincere e non ha la possibilità di perdere tornando alla relativa normalità di prima. Quindi dobbiamo solo osservare per quanti mesi ancora riesce a resistere.
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Nel corso di queste [prime] tre settimane di guerra Vladimir Putin ha «raggiunto» alcuni risultati quasi sorprendenti. Ora non intendo alla catastrofe umanitaria, mi riferisco ad altro. Per esempio, ha portato al massimo il livello dell’unità nazionale ucraina, ha dato l’avvio alla fine della Russia che conoscevamo fino al 23 febbraio, ha ridotto al minimo la quantità degli scenari possibili della propria uscita dalla politica, ha indotto tantissimi ucraini e russi (e non solo, presumo) ad augurare apertamente la morte a una persona concreta… Tra i risultati meno traumatici c’è anche la trasformazione di Joe Biden – in un anno esatto – in un politico capace di dare le risposte concrete, intenzionalmente non diplomatiche: «Oh I think he is a war criminal».
In ogni caso, spero che non tenti nemmeno a raggiungere altri risultati di qualsiasi genere.
I giornali europei e i post su Facebook di alcuni miei amici europei mi suggeriscono che diverse persone hanno realmente paura di una guerra mondiale…
Mah… Per commentare qualsiasi cosa – anche i sentimenti meno razionali delle masse e delle singole persone – bisogna necessariamente operare con dei concetti razionali. Il problema principale è proprio questo: la persona che ha dato l’inizio a questa guerra è totalmente irrazionale. È irrazionale contrariamente addirittura alle mie vecchie valutazioni già non particolarmente positive circa le sue capacità intellettuali. Avendo in mente la razionalità di una persona mediamente normale (non era nemmeno necessario rendermi conto delle reali condizioni precarie dell’esercito russo), prima del 24 febbraio avevo dunque sempre ritenuto irrazionale l’ipotetica – ai tempi – l’invasione militare dell’Ucraina: perché immaginavo facilmente tutte le possibili conseguenze e mi illudevo nell’attribuire almeno lo stesso livello di immaginazione a Putin.
Ora, il ventunesimo giorno della guerra in Ucraina, potrei anche riprovare ad appellarmi alla razionalità e dire che l’esercito russo ha ampiamente dimostrato di non avere le capacità e i mezzi tecnici e umani sufficienti per condurre una guerra seria. Infatti, da tre settimane non sta riuscendo a raggiungere dei risultati voluti nel confronto con un esercito non particolarmente evoluto.
Ma, allo stesso momento, devo ormai riconoscere che per un presidente irrazionale non potrebbe essere un problema. È da considerare capace di attaccare gli altri Stati europei senza avere gli strumenti per farlo.
Anzi, uno strumento potente ce l’ha. Ma è inutile temerlo o anche semplicemente pensarci: se dovesse essere funzionante, noi non avremo alcun modo di reagire al suo utilizzo e in pochissimo tempo smetteremo di provare qualsiasi cosa. Fortunatamente, la NATO sta cercando di non provocare l’utilizzo del buttone rosso. Proprio per questo non entra direttamente nel conflitto: non istituisce la no-fly zone e non fornisce (quasi) le armi all’Ucraina.
Quindi il mio parere, in sintesi, è: la guerra tradizionale difficilmente arriverà sulla terra dell’Europa centrale/occidentale «grazie» alla scarsità dell’esercito russo. La guerra non tradizionale non avrà come protagonisti gli umani.
Secondo la cronologia ufficiale, 69 anni fa – il 5 marzo 1953 – è schiattato uno dei personaggi più repugnanti della storia. È schiattato con l’aiuto dei propri collaboratori più «fedeli», «fidati» e fino a poco tempo prima pure impauriti.
La storia si ripete spesso. Spero.
E intanto metto, nella consueta rubrica musicale del sabato, due brani dal film «The Death of Stalin».
Aggiungerei anche questa:
Libertà e pace a tutti.
Ogni sera, da alcuni giorni ormai, passando in piazza Duomo (a Milano) verso le 19:15, vedo questa piccola manifestazione contro la guerra in Ucraina. Si tratta di poche decine di persone (una trentina o poco più? boh, non si capisce molto) con una lunga bandiera ucraina e pochi slogan esclamati in italiano, in russo e in ucraino (a giudicare dall’accento, sono prevalentemente gli ucraini).
Un po’ mi dispiace che siano in pochi a manifestare, anche se capisco benissimo che la sera di un giorno feriale non è il momento ideale per aspettare una ampia partecipazione delle persone impegnate in quella vita quotidiana che rimane sempre importante per i singoli e per la collettività.
Allo stesso tempo, spero che un giorno si ripetano delle grandi manifestazioni che abbiamo visto in giro per il mondo nel fine settimana passato. Anche se osservando da anni il mondo posso constatare che la partecipazione alle manifestazioni può solo diminuire. Però qualche altra grande manifestazione sarebbe stata utile: perché una delle cose che infastidiscono maggiormente Putin è l’amore non condiviso da parte dell’Occidente (in tutte le sue forme, cominciando dalla comunità dei leader politici). Se il termine amore vi pare poco appropriato nel contesto delle relazioni internazionali, sostituitelo pure con l’amicizia. Ma la sostanza è la stessa: in oltre ventitré anni Putin ha percorso la strada da un politico orientato ai buoni rapporti con l’UE e la Nato a un politico che inizia una guerra di conquista in Europa proprio perché si sente – almeno a partire dal 2008 – una persona rifiutata. Una persona rifiutata dalla collettività la cui attenzione e benevolenza ha cercato di conquistare con tutta la sincerità e (oppure «ma»?) con tutti i modi a egli noti. Una persona rifiutata che ora si è arrabbiata e quindi tira le pietre contro le finestre chi lo ha rifiutato.
(Una tristissima curiosità: si dice che ora sarebbe depresso per il fatto che il suo esercito «liberatore» non sia accolto con gioia dagli ucraini!)
Ci vogliono – forse – diverse e intense manifestazioni per convincere definitivamente Putin o almeno una persona della sua cerchia (sì, ne basterebbe una ma coraggiosa) che non ha più senso insistere.
Non voglio certo dare dei suggerimenti agli avvocati del prossimo processo di Norimberga (spero che l’imputato principale sopravviva per essere presente fino alla fine), ma Putin avrà una interessante attenuante: è riuscito a scacciare dalle teste delle masse e dalle prime pagine dei mass media i resti del panico per il Covid-19.
Ma ha ampiamente esagerato con i metodi. Quindi è già diventato il protagonista di alcune copertine abbastanza gentili e diplomatiche:
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So da tempo che Vladimir Putin è pazzo, sempre più pazzo. Ma non potevo immaginare che la situazione fosse così così grave. Anche la persona più malata ha, di solito, una propria logica e una certa dose di pragmatismo: due cose che possono essere molto strane e per nulla condivisibili, ma sono sempre presenti.
A questo punto devo aggiungere: quasi sempre. Perché nella mente di Putin sono assenti.
Era difficile (quasi impossibile) credere che anche la persona più malata potesse iniziare – nel pieno XXI secolo – una invasione militare in stile di quasi cento anni fa: con dei pretesti falsi e con gli obiettivi imperiali. Ma è successo, nonostante il fatto che apparisse poco probabile fino a ieri. Credere nella ragione è troppo facile e, allo stesso tempo, porta alle grandi delusioni.
Ora non so cosa fare e cosa scrivere.
Chiedere scusa agli ucraini? Ma loro non ne hanno bisogno anche perché conoscono la differenza tra i russi (e la Russia) e il regime di Putin.
Spiegare agli europei la stessa differenza tra i russi (e la Russia) e il regime di Putin? Coloro che non l’hanno capita fino a oggi, non la capiranno nemmeno leggendo i miei testi deboli.
Proporre soluzioni e sanzioni o fare previsioni sul futuro? Non ha alcun senso pratico: la situazione creatasi può (e molto probabilmente deve) essere risolta solo dall’interno, con e forze proprie. E ci vorrà moltissimo tempo.
L’unica cosa che posso fare ora è aggiungere la mia voce ad altre singole – ma, vi assicuro, numerose – voci dei miei connazionali. Io dico: disapprovo questa guerra, disapprovo la politica di Putin.
P.S.: non voglio sprecare il tempo dei miei lettori per spiegare delle grosse banalità, quindi non mi metto a raccontarvi, di nuovo, che nessuno conosce il reale grado di sostegno di Putin tra la popolazione russa. Tutte le elezioni e i sondaggi degli ultimi 23 anni sono stati truccati.
In Europa più o meno tutti continuano ad aspettare l’invasione russa dell’Ucraina. Aspettarla temendola; aspettarla sperando che si eviti una nuova guerra in Europa. Io continuo a considerare quella guerra poco probabile (ho già scritto più volte che non reputo Putin capace di prendere le decisioni di questa portata), ma forse oggi conviene aggiungere alcune altre considerazioni.
1) Inizierei dall’ipotizzare il punto di vista della NATO. In questi anni Putin ha dimostrato di essere uno stratega, pensatore e politico assolutamente mediocre: può fare dichiarazioni radicali e inattese, ma non ha la capacità di raggiungere obiettivi politici. Allo stesso modo, non si è dimostrato capace di calcolare le conseguenze a lungo termine delle proprie azioni (non è uno stratega ma solo un tattico). Qualsiasi cosa faccia, l’effetto è sempre dannoso per lo Stato. Così è successo anche questa volta, quando gli è stato chiesto di spiegare il senso della concentrazione delle truppe russe vicino al confine con l’Ucraina: Putin ha improvvisamente cominciato a dettare gli ultimatum geopolitici alla NATO. Ed è stata una auto-fregatura colossale: approfittando del suo tono aggressivo, la NATO ha intenzionalmente alimentato una isteria sull’argomento «la Russia sta per attaccare» per fare finalmente ciò che volava fare da tempo voleva. Mancava solo un pretesto formale e presentabile per pompare l’Ucraina con le armi moderne e rafforzare le forze della NATO in Europa orientale. Quindi la retorica stupida di Putin sul «necessario» ritiro della NATO dall’Europa ha avuto l’effetto opposto: una scusa legale per la NATO per espandersi e rafforzarsi. Putin si è messo a giocare una partita troppo difficile per lui e ha ottenuto lo scacco matto in tre mosse.
2) Inoltre, possiamo provare a ipotizzare il punto di vista dei politici europei e statunitensi (in quest’ultimo caso in realtà possiamo parlare al singolare). A differenza di quanto succede in Russia e negli altri ex membri dell’URSS ora totalitari, i politici europei e americani dipendono fortemente dai loro elettori e fanno il possibile per conquistare la loro simpatia. Quindi di recente hanno scoperto un nuovo modo di conquistare dei grandi benefit politici con il minimo sforzo. Il trucco si chiama «Convincere Putin a non fare la guerra» e consiste in tre passaggi. Il primo passaggio: si afferma che Putin sta per iniziare una guerra. Poiché l’immagine internazionale di Putin è – meritatamente – quella che è, l’affermazione sembra credibile. Da questo deriva il secondo passaggio: esprimere costantemente preoccupazione, chiamare Putin e/o andare da lui ogni giorno per dei negoziati. In questa fase ogni nuovo giorno senza la guerra è presentato (o, se preferite, percepito) come una vittoria personale di quel politico occidentale che è «riuscito temporaneamente a dissuadere Putin». (In questo gioco Putin viene usato, usato come uno spaventapasseri, ma non se ne rende conto ed è contento per l’attenzione da parte dei grandi di questo mondo e orgoglioso per la propria «importanza globale»). Il secondo passaggio consiste – per il politico occidentale – nel presentarsi come un salvatore del mondo e della pace, ottenendo quindi dei bonus politici nel proprio Paese. Di conseguenza, è normale chi in tanti si sono messi ora in fila per «negoziare» con Putin: Biden, Macron, Scholz…
3) Infine, possiamo ipotizzare il punto di vista di Putin. Probabilmente Putin sta sospettando che le sue residenze siano spiate: da qualche dispositivo tecnologico o da una talpa. Quindi per scoprire con esattezza il punto della fuga delle informazioni, sfruttando le poche abilità acquisite grazie alla prima professione, si sposta da una stanza all’altra e pronuncia delle frasi diverse. Nel cesso dice: «Ordino al ministro della difesa di attaccare Kiev domani!». Nella camera da letto dice: «Voglio creare un sito di test nucleari nell’Artico!». Nel salotto dice: «ho finalmente deciso a fare una proposta di matrimonio alla regina Elisabetta!» Etc. etc… Insomma, in base alla frase diventata di dominio pubblico tenta di individuare il punto di fuga delle informazioni. A quanto pare, la cimice è nascosta nel cesso.
Pur non essendo un grandissimo esperto nelle questioni militari, avrei potuto tentare un confronto tra le dotazioni tecniche-militari russe e quelle della NATO. Ma questo, in ogni caso, è un altro argomento.
Il lunedì 7 febbraio a Mosca si erano incontrati Vladimir Putin e Emmanuel Macron. L’obbiettivo dell’incontro era quello di discutere dello stato attuale nei rapporti tra la Russia e l’Ucraina (in molti parlano di una possibile invasione, mentre a me quest’ultima continua a non sembrare particolarmente probabile). Apparentemente, non ci sarebbero [ancora] dei risultati visibili di quell’incontro, anche se coinvolgere Putin in una conversazione seria di quasi sei ore è in realtà un grande successo.
Quindi per ora possiamo commentare solo la modalità con la quale si è svolto l’incontro «in presenza»:
Dal punto di vista diplomatico è tutto semplicissimo. Prima di tutto bisogna ricordare che ormai da quasi due anni a tutti coloro che vogliono incontrare Putin dal vivo viene imposta una quarantena di due settimane (le uniche, rarissime, eccezioni sono fatte per gli incontri con dei leader stranieri: per esempio, si potrebbe ricordare l’incontro con Xi Jinping del 4 febbraio). Allo stesso tempo, bisogna ricordare che Putin vuole fortemente essere riconosciuto come un attore della grande politica internazionale, mentre Macron vuole da tempo diventare il principale leader europeo (dato che Angela Merkel ha «finalmente» liberato tale posizione). Di conseguenza, Macron è andato serenamente a Mosca per affrontare un incontro difficile, mentre Putin lo ha «autorizzato» a non fare la quarantena. Il mega-tavolo della foto riportata è, in sostanza, un compromesso.
A me sono piaciute tanto alcune reazioni popolari a tale compromesso. La migliore, secondo me, è questa:
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Il Senato degli Stati Uniti ha pubblicato una proposta di legge, redatta da 26 senatori, sulle sanzioni da imporre alla Russia se le truppe russe dovessero invadere l’Ucraina o se il conflitto tra la Russia e l’Ucraina dovesse intensificarsi ulteriormente. Tra le misure proposte ci sono il divieto di entrare negli Stati Uniti e il congelamento dei beni statunitensi del presidente russo, del primo ministro, del ministro degli esteri e del ministro della difesa, così come dei comandanti di vari tipi di truppe e di altri individui che la Casa Bianca dovesse ritiene coinvolti in «aggressioni contro l’Ucraina». Si tratta di un documento lungo e, dicono, visto positivamente dalla Casa Bianca. Ma nonostante tutto questo, attualmente non mi sembra un documento da prendere troppo sul serio.
Prima di tutto, non è da prendere sul serio perché l’intervento diretto (apertamente dichiarato) delle truppe russe in Ucraina continua a sembrarmi poco probabile. In secondo luogo, non è detto che un documento del genere venga approvato (o, almeno, approvato nella sua redazione attuale). In terzo luogo, spero tanto che prima o poi qualcuno riesca a spiegare ai politici federali americani che il presidente russo menzionato nel documento si comporta costantemente come un bullo infantile: quando si sente sotto pressione, continua a «fare il cattivo» con una intensità maggiore di prima. Quest’ultimo punto, in particolare, complica tanto il lavoro dei politici e diplomatici costretti ad affrontare i comportamenti dei governanti russi e richiede una buona fantasia nell’inventare le sanzioni: ovviamente, qualora ci fosse l’interesse di introdurre sanzioni (o compiere qualsiasi altro tipo di azione) funzionanti e realmente mirate al raggiungimento di un obiettivo concreto e voluto. E, effettivamente, dobbiamo ammettere che nessuno ha mai sostenuto che la politica e la diplomazia siano dei mestieri facili. Non consistono certo nella sola frase imperativa «fai il bravo».