I più attenti avranno notato che oggi sono stati diffusi i risultati ufficiali delle elezioni parlamentari ucraine (quelle del 21 luglio). Cinque partiti hanno superato la soglia di sbarramento del 5%.
Il partito «Servitore del popolo» del nuovo Presidente Zelensky ha vinto con il 43,16% dei voti: grazie al fatto che la metà dei deputati viene eletta alle circoscrizioni uninominali, il partito avrà 254 rappresentanti su totale di 450.
Al secondo posto è arrivato il partito filorusso «Piattaforma d’opposizione — Per la vita»: 13,05% dei voti e 43 posti nella Rada.
Al terzo posto c’è il partito della nota alla maggioranza di voi Yulia Timoshenko (8,18% e 26 posti), al quarto il partito dell’ex Presidente Poroshenko (la seconda umiliazione di fila: 8,1% e 25 posti) e al quinto il partito «Golos» di un noto cantante ucraino (5,82% e 20 posti).
La vittoria del partito di Zelensky era scontata, quindi non c’è molto da commentare. L’unica previsione seria e poco ovvia per gli europei che posso attualmente fare è: non stupitevi della ipotetica alleanza parlamentare tra Zelensky e Timoshenko. Tale alleanza servirà non solo per avere una maggioranza qualificata (necessaria per l’approvazione delle riforme costituzionali), ma soprattutto per «tenere buona» la Timoshenko. Per non permetterle dunque di diventare un leader popolare e pericoloso di opposizione: nel nuovo Parlamento ucraino è l’unica ad esserne capace.
L’archivio del tag «poroshenko»
Mentre ero impegnato a scrivere dei testi seri per alcuni miei lavori offline, è maturato un nuovo argomento che i miei lettori logicamente si aspetterebbero di incontrare sulle pagine del blog.
Ebbene, si avvicinano le elezioni presidenziali ucraine: il primo turno è fissato per il 31 marzo 2019. Meno di due settimane fa, l’8 febbraio, si è invece concluso il periodo della registrazione delle candidature. Ora sappiamo che qualora non dovessero esserci rinunce, sulla scheda elettorale saranno elencati 44 candidati (sì, quarantaquattro).
Queste elezioni, però, sono interessanti non per la quantità dei candidati (la maggioranza di loro sono dei «compagni di sparring» dei candidati reali). Sono interessanti non solo perché per la prima volta non si conosce in anticipo il vincitore (non si è mai stato ai livelli della Russia, ma prima il candidato più forte è sempre stato evidente). Le elezioni presidenziali di quest’anno sono interessanti perché i candidati più forti sono tre, di conseguenza non si sa nemmeno come sarà la scelta al secondo turno.
Penso che la maggioranza di voi conosca due personaggi su tre, ma provvedo presentarli comunque tutti. Continuare la lettura di questo post »
Per la seconda volta di fila mi trovo a scrivere dell’Ucraina. Questa volta, però, lo faccio per riassumere la nuova puntata delle incedibili avventure del mitico Mikhail Saakashvili nella politica ucraina.
Come avevo già scritto nella puntata precedente, col tempo Saakashvili divenne un oppositore scomodo per il Presidente ucraino Poroshenko. In poche parole, Saakashvili già dai tempi della presidenza georgiana è abituato a effettuare delle riforme radicali con dei ritmi intensi (inimmaginabili in Europa), mentre Poroshenko (proprio lui invitò Saakashvili a lavorare in Ucraina regalandogli la cittadinanza) tende a effettuare le riforme molto lentamente e a piccole porzioni. Quindi mentre Saakashvili è un fanatico del proprio lavoro orientato al raggiungimento degli obiettivi massimi tra i possibili, Poroshenko dimostra di voler solo rimanere più a lungo possibile al potere fingendo di essere un buon amministratore che lotta contro le circostanze sfavorevoli. L’IMF non è particolarmente contento di quest’ultima tattica, ma ha poche possibilità di influire sulla politica interna ucraina. Quindi a Poroshenko conviene, dal punto di vista politica, mantenere una situazione caratterizzata da una tranquilla guerra periferica (nelle regioni di Lugansk e Donetsk) e delle riforme «spalmate» su un lungo periodo di tempo.
Per seguire con serenità un piano del genere bisogna però sbarazzarsi degli oppositori passionali e popolari. Il primo di tali oppositori è, appunto, Mikhail Saakashvili. Ieri è stata dunque fatta una curiosa mossa: a Saakashvili è stata revocata la cittadinanza ucraina concessagli nel 2015. La motivazione formale: incorrettezze nella modulistica ammesse dal beneficiario. Come disse Lenin in una occasione un po’ diversa, «Formalmente è corretto, praticamente è una beffa». Beh, ogni Stato ha delle proprie regole formali sulla concessione della cittadinanza e si è costretti di rispettarle. Ma l’ulteriore problema sta nel fatto che a dicembre 2015 Saakashvili fu privato della cittadinanza georgiana in seguito alla acquisizione da parte sua della cittadinanza ucraina. Quindi pare che il presidente ucraino Poroshenko, entusiasmato per la propria trovata politica, ha violato la prassi internazionale di non moltiplicare la quantità degli apolidi nel mondo ma, allo stesso tempo, si è riservato la possibilità di espellere Saakashvili dall’Ucraina per l’eventuale «violazione dell’ordine pubblico» contemplata dall’articolo 31 della Convenzione del 1954. Scommettiamo che trova presto l’occasione per farlo?
Scommetterei anche su altre due cose:
1. Le Istituzioni occidentali punteranno sempre meno su Poroshenko come sull’unico garante della pace e della democrazia in Ucraina.
2. I cittadini ucraini torneranno presto la motivazione di fare un’altra — l’ennesima — rivoluzione: penso che negli ultimi 13 anni quasi tutti gli occidentali abbiano imparato la parola maidan, ahahahaha
Mentre negli Stati Uniti si sta votando per il nuovo Presidente, l’area dell’ex URSS è scossa da un altro evento politico. Vista la qualità dei candidati americani, il secondo evento sembra quasi più interessante.
Ieri pomeriggio Mikhail Saakashvili, l’ex presidente della Georgia, si è dimesso dalla carica del Governatore della regione di Odessa, accusando le massime Istituzioni ucraine della corruzione e del tradimento dello spirito della rivoluzione anti-Yanukovich del 2014. Ma forse è meglio andare in ordine.
Mikhail Saakashvili, georgiano, fu eletto Presidente del suo Stato nel 2004 e rimase in carica fino al 2013. Gli anni della sua presidenza furono caratterizzati da una forte modernizzazione delle Istituzioni e di tutto l’apparato dello Stato. Fu praticamente sconfitta la corruzione, minimizzata la burocrazia, modernizzati le forze dell’ordine e l’esercito. La maggioranza degli stranieri che visitano regolarmente la Georgia riconobbero la sorprendente velocità e qualità delle riforme efficienti. Nel lungo periodo, però, la modernizzazione accelerata di uno Stato povero e popolato da una consistente quantità di persone con la mentalità assistenzialista (ereditata dai tempi dell’URSS) si rivelò una impresa impossibile. Il 1° ottobre 2012 le elezioni parlamentari georgiane furono vinte da un partito populista. I leader di quest’ultimo manifestarono sin da subito le intenzioni di perseguire politicamente e penalmente Saakashvili.
Alla fine di settembre del 2013, pochi giorni prima della scadenza del suo mandato presidenziale, Saakashvili lasciò Georgia. Dopo un periodo di vita in Europa e negli USA, il 30 maggio 2015 Saakashvili venne nominato, dall’attuale presidente ucraino Petro Poroshenko, il governatore della regione di Odessa. Formalmente (proprio formalmente, come abbiamo scoperto successivamente) l’obiettivo della nomina fu quello di ripetere il «miracolo georgiano» degli anni 2004–2013 sul territorio della regione di Odessa. Essendo una persona particolarmente attiva, Mikhail Saakashvili cominciò subito a lavorare con un notevole ritmo (nella sua squadra furono invitati anche alcuni oppositori russi, che ricevettero, come lui, la cittadinanza ucraina).
Nei primi sei mesi di lavoro erano stati raggiunti alcuni risultati interessanti, poi è seguito un veloce rallentamento dei ritmi e dei risultati. Si è scoperto, infatti, che la rivoluzione del 2014 portò via Yanukovich e alcuni dei suoi alleati più stretti, mentre gli altri vertici della politica e della economia ucraina rimasero ai loro posti. Con essi rimasero anche tutti i problemi ucraini: corruzione, scarsa volontà (e capacità) di effettuare riforme etc. Tra gli esempi più noti agli occidentali posso menzionare la vendita sul mercato nero degli armamenti forniti alla Ucraina dall’Occidente. A livello regionale Saakashvili si è presto trovato privo di alcun sostegno delle Istituzioni statali e locali (Presidente, Consiglio dei Ministri, ma pure il sindaco di Odessa).
Pur essendo una persona particolarmente emotiva, ha saputo però aspettare il momento più adatto per rassegnare le dimissioni. Ha aspettato, infatti, l’esito delle elezioni parlamentari in Georgia (perché sente comunque la necessità di applicarsi in modo efficace da qualche parte) e un giusto livello di formazione del suo nuovo partito ucraino «Khvylja» (l’Onda). Ieri ha in sostanza dichiarato di voler occuparsi della politica nazionale per riformare l’Ucraina in modo globale. E secondo me ha delle buone possibilità di riuscirci vista la sua popolarità tra la gente.
Quindi mentre Putin vede Saakashvili come un cadavere politico (sconfitto nella guerra del 2008 e alle elezioni del 2012) e l’Occidente continua a puntare su Poroshenko (che non rappresenta un cambiamento vero), in Ucraina sta nascendo una forza politica da prendere seriamente in considerazione.
Ieri Arseniy Yatsenyuk ha deciso di rassegnare le dimissioni dalla carica del primo ministro ucraino. Come probabilmente sapete, ricopre la carica da quando è stato cacciato, per la seconda volta nella storia, il presidente ucraino Yanukovych. Le prime dimissioni del premier Yatsenyuk, quelle presentate il 24 luglio 2014, non erano state accettate, mentre questa volta il presidente Poroshenko avrebbe già la candidatura di un sostituto.
Non posso fare commento positivo a tale avvenimento politico. Infatti, l’unico pregio del premier Yatsenyuk era (usiamo il passato) un buon livello di inglese, utile per fare una figura da simpatico e chiedere soldi all’Occidente. Di lavoro serio sui problemi interni dell’Ucraina non si era però visto. Recitare la parte della vittima di invasione bisognosa di sempre nuovi aiuti è stato, negli ultimi due anni, l’unico impegno dei dirigenti dello Stato ucraino. Tale strategia, entro certi limiti, può anche funzionare ai fini dei finanziamenti ma non rende certo il Paese attraente per l’UE (uno dei motivi della rivoluzione non era mica la richiesta una «integrazione» con l’UE?!).
Cambia qualcosa con le dimissioni di Yatsenyuk? Spero di sbagliare, ma mi sembra di no. Il capitale politico del presidente Poroshenko si basa solamente sulla lotta (più con le parole che con i fatti) contro l’invasore. Se volesse realmente risolvere anche i problemi interni del Paese, avrebbe fatto molti più cambiamenti e sostituzioni.
Detto tutto questo, ribadisco che l’aggressione russa contro l’Ucraina è una stronzata senza senso.
Sulle trattative tra Merkel, Hollande, Poroshenko e Putin bisogna sapere tre cose abbastanza semplici.
1. Hollande si sta sbattendo tanto per non essere considerato in Patria un Presidente totalmente fallito. In più, l’ipotetico ritorno di Sarkozy in politica lo spaventa. Merkel, invece, ha in mente l’esempio di Kohl, il quale è spesso considerato in riunificatore dell’Europa: non vorrebbe essere considerata lei la demolitrice della stessa Europa. E nessuno dei due rappresenta l’Europa, la quale non ha una posizione unica nei confronti della Russia (la Polonia è la più aggressiva per motivi geografici e storici, mentre la Grecia manifesta di essere disposta ad essere «comprata» dalla Russia).
2. Tutto dipende solo dalla volontà di Putin, per il quale il ritiro dalla Ucraina non ha alcun costo politico: avendo eliminato ogni forma di vera opposizione interna, ha la possibilità di uscire dalla crisi con un semplice «ci ho ripensato». Poroshenko, invece, non può dire «tenetevi pure l’est della Ucraina e smettiamola di litigare» perché questo sancirebbe la sua morte politica.
3. Ogni forma di mediazione occidentale è destinata a fallire. Perché Putin vede nelle relazioni internazionali con gli Stati occidentali l’unico senso della propria vita politica ma, allo stesso tempo, usa una logica da teppista. Infatti, il fatto che due leader occidentali si siano presentati da egli per trattare, viene da Putin interpretato come un segno di loro debolezza. Questo gli permetterà di non rispettare gli accordi raggiunti o non giungere ad alcun accordo.
Quale poteva essere il primo video da postare nell’anno nuovo? Ovvio: il discorso di capodanno del presidente russo Vladimir Putin (sottotitoli in italiano).
Avrei voluto farvi ascoltare pure il discorso del presidente ucraino Petro Poroshenko, ma non ho trovato alcun video con i sottotitoli in italiano o in inglese. Chi lo trova mi faccia sapere. Io, intanto, vi dico che nel proprio discorso Poroshenko aveva parlato dell’attentato alla indipendenza e alla integrità dell’Ucraina operato da parte del «terribile nemico» e delle tante prove da superare nell’anno nuovo.
Prevedo che anche per tutti coloro che seguono la politica internazionale, il 2015 sarà un anno molto divertente.
Infine, per il solo dovere di cronaca, allego il discorso di Poroshenko in lingua ucraina.
Continuare la lettura di questo post »