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L’importanza delle facce nuove

Come avrete già letto, il lunedì 7 maggio il nuovo Presidente russo Vladimir Putin ha proposto al Parlamento, quasi subito dopo il proprio giuramento, la candidatura del nuovo Premier: un certo Dmitry Medvedev.
Il martedì 8 maggio il Parlamento ha approvato la candidatura con 374 voti favorevoli e 56 contrari. In questi giorni si sta dunque lavorando sulla composizione del futuro Governo (penso che il risultato di tale lavoro interessi ben poco alla maggioranza degli italiani).
Limitandoci anche ai soli nomi di Putin e Medvedev possiamo però constatare alcune cose rilevanti. Per chi ha delle conoscenze molto superficiali dell’argomento è molto facile ridere delle grandi «novità» che avvengono nella politica interna russa. È ancora più facile farlo conoscendo la «qualità» e l’"indipendenza" del precedente Governo guidato da Medvedev. Ma è importantissimo capire una cosa: nelle condizioni politiche attuali il Governo russo non è un organo che governa. Non è nemmeno un organo che esegue gli ordini di una persona determinata (indovinate il nome), perché quella persona è quasi totalmente disinteressata alla politica interna. Il Governo russo è un organo che trasmette le occasionali e non sistematiche Volontà Supreme verso il basso ed i dati (spesso elaborati in modo molto creativo) circa la realizzazione di quelle volontà verso l’alto. L’indice di efficienza del Governo russo è determinato dalla capacità di mettere sulla scrivania di una persona ben determinata le cartellette con dei dati belli (il che non presuppone affatto che siano dati reali).
La candidatura di Dmitry Medvedev non è dunque stata nuovamente scelta per le tradizionali qualità di un dirigente. Ma nemmeno perché il suo Governo precedente era stato bravo a presentare dei dati belli. La grande verità sta nel fatto che Dmitry Medvedev è stato nuovamente scelto in qualità del Vice-Presidente. In base alla costituzione russa, infatti, il Primo ministro russo diventa il facente funzioni del Presidente in tutte le situazioni qualora quest’ultimo sia impossibilitato a svolgerle.
Di conseguenza, abbiamo avuto un’altra grande prova del fatto che Dmitry Medvedev sia l’unica persona ad avere la piena (o forse addirittura infinita) fiducia di Vladimir Putin. Molto probabilmente questa fiducia si basa in parte sulla evidente tendenza di Putin a seguire il metodo induttivo («una cosa che ha funzionato ieri funzionerà anche domani»), ma in parte deve basarsi anche sulle qualità di Medvedev. E sono proprio le qualità di Medvedev che non mi sono ancora chiare. La fiducia di una persona attaccata al potere non si acquista una volta per sempre (per esempio custodendo la poltrona presidenziale per un mandato), va confermata tutti i giorni. E se Medvedev fosse un semplice lecca[qualsiasipartedelcorpo], sarebbe stato solo uno dei tanti. Non so ancora quali qualità politiche gli permettono di rimare l’unico.


La protesta armena (parte 3)

Stamattina il leader della opposizione armena Nikol Pashinyan è stato eletto Primo ministro dal Parlamento: 59 voti favorevoli e 42 contrari (in totale il Parlamento armeno ha 105 deputati).
Martedì 1 maggio, al primo tentativo, il risultato era stato negativo: solo 45 voti favorevoli su 53 necessari (è richiesta la maggioranza dei deputati).
Sia oggi che una settimana fa Pashinyan è stato l’unico candidato sottoposto al voto parlamentare. Se anche la votazione di oggi non avesse portato alla elezione di un premier (quindi di Pashinyan), il Parlamento armeno avrebbe dovuto essere sciolto.
Secondo me la situazione nella quale attualmente si trova Nikol Pashinyan è più che curiosa. Da una parte, in qualità di un vero leader dell’opposizione e della protesta è riuscito a far dimettere il premier Sargsyan e farsi nominare al suo posto con i voti del partito politico a cui si trova, appunto, in opposizione. Non è a questo punto molto chiaro come intende governare (per i tonti: senza l’appoggio del Parlamento si combina un tubo).
Suppongo – ma potrebbe essere uno schema politico molto primitivo – che il partito di maggioranza attuale abbia accettato di nominarlo al capo del Governo per poi bocciare ogni sua iniziativa e dimostrare, in tal modo, la sua cosiddetta «incapacità di governare il Paese». Insomma, fargli perdere la popolarità acquistata nelle ultime tre settimane di proteste.
Dall’altra parte, al neoeletto Nikol Pashinyan non sarebbero più convenienti nemmeno le elezioni politiche anticipate. Egli ha certezza di essere il leader di una minoranza attiva, ma non ha alcuna certezza di poter contare sulla maggioranza degli elettori. Infatti, alle ultime elezioni politiche (2 aprile 2017) il suo partito è arrivato terzo, conquistando appena 9 seggi su 105. Nonostante l’entusiasmo per il successo della protesta, sarebbe troppo azzardato sperare in un risultato anche solo doppio rispetto alla volta scorsa.
Tra tentare di governare senza essere stato eletto per farlo e perdere nuovamente le elezioni (nel senso di non raggiungere comunque i numeri per governare), la scelta è caduta sulla prima. Non sono sicuro che per Nikol Pashinyan sia la scelta migliore.


Il risultato atteso

Commentare le «elezioni» presidenziali russe è un passatempo noiosissimo. Si sapeva tutto in anticipo: il vincitore, la sua percentuale dei voti (approssimativa), l’ordine dell’arrivo dei principali candidati, i brogli (pre e post voto) etc. Quindi mi limito a sottolineare solo alcuni piccoli aspetti.

Stamattina una signora (la incontro quasi tutte le mattine ma ci conosciamo pochissimo) mi ha chiesto, con una faccia seria, se sono soddisfatto o meno dei risultati. Il mio cervello, a quel punto, è stato colpito da una forte crisi: non sapevo se la mia conoscente mi stesse prendendo in giro o meno. In realtà chiedere a un russo se è soddisfatto o meno del risultato delle elezioni presidenziali è un po’ come chiedergli se è soddisfatto di un fenomeno astronomico. Certamente, qualcuno può esserlo o non esserlo, ma, in entrambi i casi, significa che ha una forma grave di qualche irregolarità celebrale. Tutti gli altri, invece, comprendono benissimo che i fenomeni astronomici avvengono indipendentemente dal fatto che i russi abbiano cambiato le pile degli orologi in data prestabilita. Evidentemente gli italiani sono molto più fortunati: non si trovano mai di fronte ai risultati politici che non siano derivati dalle loro scelte.
Da una votazione all’altra possono variare i numeri delle percentuali, ma a contare è – soprattutto alle elezioni presidenziali – l’ordine dei candidati all’arrivo:
1. Putin, 76,66% – è il suo miglior risultato dopo il 2004 (quando aveva preso il 71,31%)
2. Grudinin, 11,81% – è il peggior risultato di sempre di un candidato del Partito Comunista russo, ma Grudinin è comunque arrivato secondo e ciò si sapeva.
3. Žirinovskij, 5,67% – tale percentuale è nella sua media personale (si candida in tutte le elezioni presidenziali a partire dal 1996 e arriva sempre terzo).
4. Sobchak, 1,66% – tale risultato si poteva immaginare: nonostante la sua vicinanza alla opposizione a partire dal 2011, la gente fatica ancora a considerarla una politica seria.
5. Javlinskij, 1,04% – si tratta del suo risultato personale peggiore di sempre (aveva preso 7,34% nel 1996 e 5,80% nel 2000). Per un oppositore noto come egli, l’ottenere un risultato più scarso della Sobchak richiedeva un certo impegno. Effettivamente, Javlinskij si è impegnato tantissimo a non farsi notare in questa campagna elettorale.
6. Titov, 0,76% – è evidente che è stato un candidato chiamato per fingere una alta concorrenza, quindi non ci interessa.
7. Suraikin, 0,68% – è evidente che è stato un candidato chiamato per fingere una alta concorrenza, quindi non ci interessa.
8. Baburin, 0,65% – è evidente che è stato un candidato chiamato per fingere una alta concorrenza, quindi non ci interessa.
Alle elezioni del 18 marzo ha votato il 67,5% degli aventi diritto, quindi nonostante tutti gli sforzi della propaganda statale degli ultimi due mesi, non è stato battuto il record del 2008 (69,8% degli aventi diritto).
La descrizione di tutti i brogli richiederebbe un post dedicato, quindi per ora lascio l’argomento da parte.
Mi rimane a questo punto da sottolineare solo un dettaglio importante. Per Vladimir Putin era fondamentale il risultato elettorale raggiunto in Crimea: lo considera seriamente un secondo referendum sulla appartenenza della penisola. Il risultato di ieri è stato leggermente più scarso del 2014: Putin ha preso il 92,2% dei voti (contro il 96,8% a favore del passaggio alla Russia nel 2014) con l’adesione media attorno all’80% (nel 2014 era stata attorno al 90%). Evidentemente, restano da spiegare bene le modalità possibili di un eventuale referendum del genere e l’opportunità di organizzare le elezioni politiche su un territorio annesso (ricordo a tutti che annessione è un termine giuridico neutrale).
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I post precedenti sulle elezioni presidenziali del 18 marzo 2018:
Il post № 0 – alcuni candidati particolari
Il post № 1 – Vladimir Žirinovskij, Grigorij Javlinskij e Pavel Grudinin
Il post № 2 – Ekaterina Gordon, Sergej Polonskij e Boris Titov
Il post № 3 – Tristan Prisjagin e Natalia Lisitsyna
Il post № 4 – Ekaterina Gordon e Aleksej Navalny
Il post № 5 – Sergej Baburin e Maksim Suraikin
Il post № 6 – la raccolta delle firme
Il post № 7 – i programmi elettorali
Il post № 8 – le campagne elettorali


Il passatempo dei candidati russi

Mancano tre giorni alle votazioni presidenziali russe (purtroppo a volte faccio un po’ fatica ad applicare la parola elezioni a certi giochi di ruolo russi). Di conseguenza, domani è l’ultimo giorno della campagna elettorale e noi possiamo ormai dire se i candidati l’abbiano condotta bene oppure no.
Il candidato al primo posto ha fatto una campagna elettorale lunga quasi due ore. Infatti, con l’eccezione dei cartelloni pubblicitari sorvegliati in regime 24/7 dalle pattuglie della polizia, la replica in TV di alcuni film «documentari» con la sua presenza (per esempio quello di Oliver Stone) e la abituale massiccia presenza quotidiana nei servizi dei telegiornali, è stato un candidato invisibile. In qualità della sua unica partecipazione attiva alla lotta elettorale presidenziale può essere visto il suo discorso alle Camere riunite del parlamento. Da quel discorso i cittadini russi hanno appreso che i sacrifici degli anni passati sono dovuti ai preparativi alla guerra, ora siamo capaci di distruggere gli USA con un nuovo razzo figo (segue un cartone animato sul bombardamento della Florida disegnato nel 2007) e quindi ora tutti ci devono ascoltare con attenzione e timore. Insomma, ha regalato degli attimi di orgoglio ai propri elettori tipici.

Uno dei due veri candidati al secondo posto è sicuramente Pavel Grudinin. Nella campagna elettorale che sta per finire il suo compito informale ma evidente a tutti è stato quello di darne Continuare la lettura di questo post »


Alle elezioni presidenziali russe del 18 marzo manca meno di un mese. Quindi è arrivato il momento di vedere, molto brevemente, come sono messi gli 8 candidati ufficiali con i loro programmi elettorali.
Anzi, i programmi da riassumere sono appena 7. Non solo perché è questa la quantità degli aspiranti al secondo posto (ai quali è dedicata la serie dei post), ma anche perché il vincitore delle elezioni non ha un programma. E non lo ha mai avuto, nemmeno nelle occasioni di tutte le elezioni precedenti. Ora vediamo gli altri candidati nell’ordine con il quale compariranno sulla scheda elettorale.

Sergej Baburin ha il programma che si chiama «La via russa verso il futuro!». Il suo primo punto parla della lotta per le dimissioni del Governo di Dmitry Medvedev. Considerando che in Russia il primo ministro viene scelto e nominato dal presidente, il punto di cui prima diventa particolarmente interessante. Negli altri otto punti del programma si parla degli interventi di tipo socialista nell’economia, dei maggiori controlli sulla immigrazione, del miglioramento dei rapporti diplomatici con l’Asia e degli investimenti per lo sviluppo della Crimea.

Vladimir Žirinovskij ha il programma che si chiama «100 punti. Un potente salto in avanti – 2018». Il programma è diviso in 7 sezioni ed è composto di 111 articoli. La prima sezione è concentrata sulla difesa dei russi, una forte limitazione della immigrazione e una decisa lotta «contro il dilagare della cultura occidentale». La seconda sezione è dedicata alla riorganizzazione dello Stato: il punto più rilevante di esso è il divieto dei nomi nazionali delle regioni (la Russia è uno Stato multi-nazionale). La terza sezione è dedicata alla economia: totalmente populista, ma salta all’occhio il punto «fornire l’aiuto finanziario all’UE, ma solo a condizione dello scioglimento della NATO» (sottolineo solo che la Russia è in una crisi economica-finanziaria abbastanza sensibile). Le sezioni dedicate alla agricultura, demografia, welfare e infrastrutture sono complessivamente divertenti, ma non meritano di essere riassunti. L’unico punto rilevante è il rafforzamento delle forze dell’ordine: considerando il loro ruolo nella Russia odierna, il rafforzamento è difficile da immaginare senza fare delle analogie con altre epoche e altri Stati (intendo anche solo i nomi degli Stati).

Pavel Grudinin ha il programma che si chiama «20 passi di Pavel Grudinin». Si tratta di un noiosissimo programma socialista-populista che può essere riassunto con le parole «redistribuisco tutto per far stare bene tutti». Dal candidato del Partito comunista non potevamo aspettare altro.

Grigorij Javlinskij ha il programma che si chiama «La strada verso il futuro». Tale programma è un classico (ormai) manifesto della opposizione russa: complessivamente giusto nei contenuti, ma a volte troppo simile a una raccolta degli slogan da manifestazione di piazza. La fine della guerra in Ucraina, il miglioramento dei rapporti con l’Occidente, la liberalizzazione della economia russa, la democratizzazione dello Stato etc.

Maksim Suraikin ha il programma «Dieci colpi staliniani al capitalismo». In breve, il programma propone di nazionalizzare tutto, fissare le pensioni e gli stipendi minimi alti, condurre una politica estera «caratterizzata dal patriottismo». Divertente.

Ksenia Sobchak ha il programma che si chiama «I 123 passi difficili». Vale quanto già scritto sul programma di Grigorij Javlinskij. Nel caso di Sobchak, però, alcuni punti sono formulati in modo un po’ più esteso (per esempio quello sulla inammissibilità delle repressioni politiche). Ma a differenza di altri esponenti della opposizione, fino al momento della pubblicazione del suo programma, Sobchak non era in grado di ricordarsi (equindi spiegare) nemmeno un punto di esso. Si giustificava con la frase «il programma non è importante».

Boris Titov, l’ultimo della lista, ha il programma che si chiama «La strategia della crescita». Da esso possiamo apprendere che alla Russia serve un graduale passaggio verso l’economia efficiente, innovativa e concorrenziale. Inoltre, servono lo Stato di diritto e la dirigenza politica onesta e efficiente. Boris Titov ci ha illuminati.

Con questa concludo il post di oggi.
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I post precedenti sui potenziali candidati:
Il post № 0 – alcuni candidati particolari
Il post № 1 – Vladimir Žirinovskij, Grigorij Javlinskij e Pavel Grudinin
Il post № 2 – Ekaterina Gordon, Sergej Polonskij e Boris Titov
Il post № 3 – Tristan Prisjagin e Natalia Lisitsyna
Il post № 4 – Ekaterina Gordon e Aleksej Navalny
Il post № 5 – Sergej Baburin e Maksim Suraikin
Il post № 6 – la raccolta delle firme


In vista delle elezioni presidenziali russe del 18 marzo, due settimane fa introdotto la questione delle firme che gli aspiranti candidati avevano dovuto raccogliere tra la popolazione. Oggi racconto brevemente di un dubbio circa le modalità con le quali sono state raccolte quelle firme.
Prima di tutto fornisco alcuni dati necessari:
1) Ogni candidato ha diritto di spendere per tuttala procedura dalla propria candidatura non più di 400 milioni di rubli (al giorno d’oggi sono un po’ più di 5.600.000 euro). Questa somma deve copriresia la campagna elettorale, sia tutte le spese amministrative necessarie per rendere ufficiale la candidatura.
2) Il resoconto di tutte le spese deve essere periodicamente fornito alla Commissione elettorale russa (l’organo che organizza le elezioni). Questa ultima rende pubblici i dati sul proprio sito ufficiale.
3) Nel resoconto di cui sopra devono essere indicate, tra tutte le altre, anche le spese per la raccolta delle firme.
4) Le persone esperte che nel passato si sono già occupate praticamente delle elezioni forniscono una statistica interessante. In sostanza, un adetto alla raccolta firme bravo ne raccoglie 7 o 8 nell’arco di una giornata d lavoro. Un adetto ottimo ne raccoglie 14 o 15 nello stesso periodo. Potrebbero sembrare poche, ma in realtà non è così: i cittadini raramente si fanno fermare da uno sconosciuto con dei fogli in mano, raramente gli aprono la porta di casa, raramente sono disposti a mostrargli un documento di identità (i dati del quale andranno sul foglio delle firme). Di conseguenza, la raccolta delle firme è un lavoro difficile, lento e faticoso: quasi nessuno è dispostoa farlo per sola passione.
5) Gli adetti alla raccolta delle firme devono dunque essere pagati. A Mosca vengono pagati circa 300 rubli per ogni firma raccolta (poco più di 4 euro), mentre nelle altre località la paga può scendere fino a 150 rubli per ogni firma.
Bene, ora vediamo quanto hanno pagato i 6 candidati per ogni firma raccolta (in media sul territorio russo):

Come possiamo vedere, solo un candidato ha dichiarato una spesa realistica, tutti gli altri hanno a) pagato in nero, b) sfruttato degli schiavi, c) hanno compilato i fogli delle firme in ufficio proprio con dei dati falsi. Scegliete l’opzione che vi piace di più.
N.B.: due candidati (Žirinovskij e Grudinin) non dovevano raccoglierle firme in quanto appoggiati dai partiti presenti nella Duma.
E ora vediamo le spese complessive per la raccolta di ogni singola firma. Questo valore deve essere necessariamente superiore allo zero perché i fogli delle firme vengono stampati a spese dei candidati.

Se confrontiamo i due grafici, potremmo avere l’impressione che alcuni candidati abbiano dichiarato dei valori inventati a caso. Per comodità affianco i due grafici di prima:

Leggendo la documentazione finanziaria, si possono osservare altri dettagli interessanti. Per esempio:
Vladimir Putin ha ricevuto quasi subito la somma massima prevista dalla legge (400 milioni) solo da alcune perone giuridiche. In più, ha speso poco più di 71 mila per la raccolta delle 100.000 firme.
Baburin e Suraikin hanno speso meno di 1 milione a testa, pagando solo la stampa dei fogli.
Boris Titov ha speso meno di 3 milioni, dei quali esattamente 2.400.000 rubli per la raccolta delle firme. Ma veramente una somma così precisa?
Ksenia Sobchak ha speso quasi 581 mila per la raccolta delle firme e 4,3 milioni per l’organizzazione della raccolta. Sembra che abbia iniziato con l’intenzione di raccogliere le firme vere per poi abbandonare l’idea. E, in effetti, i proprietari di alcune grosse fabbriche sostengono di avere ricevuto dal Cremlino il «consiglio» di garantire una certa quantità di firme alla Sobchak.
E con questa concludo anche la puntata di oggi.
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I post precedenti sui potenziali candidati:
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Il post № 1 – Vladimir Žirinovskij, Grigorij Javlinskij e Pavel Grudinin
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Il post № 4 – Ekaterina Gordon e Aleksej Navalny
Il post № 5 – Sergej Baburin e Maksim Suraikin


Le elezioni presidenziali russe sono sempre più vicine. Oggi, prima di raccontarvi di altri candidati al secondo posto, propongo un piccolo gioco.
So che la maggioranza dei lettori di questo post non sa nemmeno una parola di russo, ma, allo stesso tempo, non ha dei problemi con la logica. Dato che la Commissione Elettorale Russa ha pubblicato la bozza della scheda elettorale del 18 marzo, io vi propongo di indovinare almeno uno dei nomi sulla lista dei candidati:

Formalmente si tratta di una scheda elettorale assolutamente legittima. Infatti, i cognomi dei candidati sono disposti nell’ordine alfabetico, con i caratteri degli stessi colore, stile e dimensione e, infine, sono accompagnati con la biografia sintetica e le informazioni sull’eventuale partito politico rappresentato. Per la fortuna di qualcuno, però, il legislatore si dimentica sempre qualche dettaglio (per esempio la lunghezza del testo informativo simile per tutti i candidati).
E ora passiamo ai nomi concreti. Continuare la lettura di questo post »


Per i pretendenti alla presidenza russa, il 31 gennaio era l’ultimo giorno per consegnare alla Commissione elettorale russa le firme dei cittadini che appoggiano le loro candidature. In base alla legge elettorale, è un passaggio necessario per tutti i candidati che non siano appoggiati da uno dei partiti politici presenti nel Parlamento. È necessario raccogliere 300.000 firme (dei quali non più di 7500 nella stessa Regione) per i candidati non appoggiati da alcun partito e 100.000 (dei quali non più di 2500 nella stessa Regione) per i candidati appoggiati da un partito non presente nel Parlamento. In base alla idea iniziale del legislatore, si tratta di un primo test preliminare della «importanza sociale» dei potenziali candidati. La raccolta delle firme è, sulla pratica, una impresa molto difficile anche perché un minimo errore in qualsiasi punto della compilazione del foglio con le firme fa annullare l’intero foglio. Per i candidati è prevista la possibilità di presentare fino al 7% delle firme in più al previsto per tutelarsi dagli eventuali errori (di fatto ce ne sono sempre). L’attenzione dei controllori, comunque, varia in base al nome del candidato.
Oggi sappiamo, ormai, che dei 64 candidati iniziali solo in 8 (otto) sono riusciti a superare tutte le formalità burocratiche e diventare dei candidati ufficiali. Due di loro non hanno dovuto raccogliere le firme: Vladimir Žirinovskij (in quanto deputato e leader del suo partito LDPR) e Pavel Grudinin (appoggiato dal Partito comunista pur non essendo un suo membro). Di loro due, però, ho già scritto nelle puntate precedenti.
Allo stesso tempo, non penso che sia necessario presentarvi il vincitore delle elezioni del 18 marzo. Per il solo dovere di cronaca preciso che è stato il primo a riuscire a raccoglire le 300.000 firme richieste (non è mai stato membro della Russia Unita e, come a volte capita, quest’anno ha deciso di candidarsi in qualità di un indipendente).
Gli altri cinque candidati sono Grigorij Javlinskij, Boris Titov, Ksenia Sobchak, Sergej Baburin e Maksim Suraikin. Non vi ho ancora presentato gli ultimi della lista – perché sin da subito mi erano sembrati tra i meno interessanti – ma ormai, se non accade qualche imprevisto, devo necessariamente scrivere anche di loro.
Ma non lo faccio oggi. Oggi sfrutto l’ultima occasione per scrivere di alcuni esclusi.
Il 26 gennaio, per esempio, l’aspirante candidata Ekaterina Gordon ha fatto una dichiarazione molto curiosa: avrebbe raccolto circa 105 mila firme (essendo appoggiata da un partito, avrebbe avuto bisogno di raccoglierne 100.000) ma si è rifiutata di presentarle alla Commissione elettorale «per non partecipare alle elezioni-farsa». Non potendo sospettare che sia affetta di una forma estrema di ingenuità (di certo non ha scoperto ora l’attendibilità delle elezioni russe) e comprendendo che la raccolta delle firme richiede un lungo, duro e ben organizzato lavoro di alcune centinaia di volontari (Gordon non si è mai mostrata una grande manager), constatiamo che la sua tentata candidatura alla presidenza è stata solo una mossa pubblicitaria di portata federale. Con il mio modesto contributo è andata anche oltre, ahahaha

Sarebbe poco logico continuare a non nominare uno dei pochissimi veri oppositori russi Aleksej Navalny nel contesto delle elezioni presidenziali. Io, però, preferisco essere molto sintetico. In sostanza, Navalny è stato escluso dalle elezioni a causa delle persecuzioni giudizioziare molto fantasiose e poco sensate dal punto di vista giuridico. Formalmente, però, la legge è stata rispettata: un cittadino con la condanna penale non estinta non può candidarsi. Ma non c’è alcun motive di preoccuparsi: nel futuro avremo ancora moltissime occasioni per parlare di Navalny-politico. Per ora mi limito a constatare la sua vera fortuna: non è costretto a perdere le elezioni contro Putin. E, allo stesso tempo, un suo errore strategico notevole: chiamando i propri sostenitori a boicottare le elezioni presidenziali, contribuisce a far aumentare il vantaggio relativo del vincitore scontato.

Beh, mi sono appena reso conto che il post è diventato un po’ troppo lungo. Quindi per oggi mi interrompo e riprendo l’argomento dei candidate la settimana prossima.
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I post precedenti sui potenziali candidati:
Il post № 0 – alcuni candidati particolari
Il post № 1 – Vladimir Žirinovskij, Grigorij Javlinskij e Pavel Grudinin
Il post № 2 – Ekaterina Gordon, Sergej Polonskij e Boris Titov
Il post № 3 – Tristan Prisjagin e Natalia Lisitsyna


La lista temuta

Come atteso, il Dipartimento del Tesoro statunitense ha diffuso il cosiddetto «Kremlin Report», cioè una lista di politici e uomini d’affari (familiari compresi) e di enti parastatali accomunati dalla vicinanza a Vladimir Putin. Si tratta di un elenco delle persone da osservare e, eventualmente, inserire nella lista dei soggetti alle varie sanzioni personali-economiche. [Io la riporto in fondo al presente post.]
Prima di leggere qualcosa sull’argomento e/o formare una propria opinione in merito, bisogna comprendere alcuni — pochi — concetti fondamentali. In primo luogo, c’è da dire che la lista dei politici appare ragionevole e potrebbe essere estesa fino a comprendere la stragrande maggioranza dei politici di livello federale, regionale e locale. Per ora, invece, pare che gli autori della lista abbiano adottato una metodologia di ricerca molto semplice: avrebbero aperto una edizione recente delle «pagine gialle» di Mosca per copiare da essa i nomi dei dirigenti delle varie strutture.
In secondo luogo, appare molto strana la lista degli imprenditori. Pare che gli autori della lista si siano limitati a copiare in massa i nomi elencati al vertice della lista Forbes-Russia. Infatti, tra gli imprenditori ho trovato i nomi delle persone che sono ricche, potenti e libere nonostante — e non grazie a — l’esistenza di Vladimir Putin al potere. Alcuni di loro anni fa hanno praticamente azzerato le loro attività economiche in Russia (come il № 59 della lista appena pubblicata Yuriy Milner o № 69 Mikhail Prokhorov) per non dipendere dal regime e non dover spartire i propri guadagni con qualcuno del potere. Alcuni altri, invece, fanno il possibile per rimanere politicamente neutrali, riuscendo a proteggere (per ora) le proprie attività (tra questi vediamo gli esempi del № 11 Petr Aven [Alfa-Bank] o il № 93 Arkadiy Volozh [Yandex.ru]).
Isomma, per adesso la lista è solo un elenco astratto che qualsiasi persona dotata dell’internet avrebbe potuto stilare in meno di un quarto d’ora (quindi molto meno dei 180 giorni che ci hanno impiegato i funzionari statunitensi). Vediamo cosa ne fannonel futuro.
E ora, finalmente, la famosa lista:
La parte politica




La parte economica



La sacra ipotermia

Questa settimana non ho scritto nulla sui candidati alle votazioni presidenziali russe del 18 marzo 2018. Quindi provo a recuperare oggi con l’aito del video-post domenicale.
Probabilmente conoscete già la storia che sto per illustrare con due brevi video, ma, in ogni caso, vanno in qualche modo conservati per la cronaca. Cercherei di limitare al minimo le parole.
Come alcuni di voi sanno, ogni anno la notte tra il 18 e il 19 gennaio la Chiesa ortodossa celebra il battesimo del Signore. E, negli utimi 10–15 anni, tra i fanatici religiosi russi si è diffuso il strano rito da ripetere ogni quella note: quello di fare un buco nel ghiaccio che copre un fiume o un lago e di tuffarsi nell’acqua gelata sotto la sorveglianza (e dopo la benedizione) di un prete. Si tratta di un rito pericoloso per la salute (può comportare anche alcuni problem non risolvibili), ma quando la religione da al cervello, il cervello spesso cede.
Da molti anni il noto funzionario russo (e candidato alla presidenza nel 2018) Vladimir Putin sta cercando di apparire un buon Cristiano [ortodosso]. Non giudico se ci sta riuscendo o meno; sottolineo solo che ha ancora dei dubbi sul come si fa il segno della croce tra gli ortodossi. Quest’anno si è immerso al lago Seliger (quasi 400 kilometri a nord-ovest da Mosca); la temperatura dell’ambiente era di –5°C.

[Ci sono dei forti dubbi circa la temperatura dell’acqua: infatti, all’uscita dall’acqua gelata il corpo di Putin dovrebbe «fumare». Ci sarà stato qualche trucco?]
La candidata Ksenia Sobchak, per qualche strano motivo, ha deciso di sfidare (o imitare?) Putin anche su questo campo. Si è immersa in un fiume vicino a Tomsk (in Siberia); la temperatura dell’ambiente era di –40°C. Si potrebbe farle i complimenti per il coraggio, ma io, personalmente, avrei preferito che trovasse il coraggio di sfidare l’avversario politico su qualche campo più impegnativo dal punto di vista intellettuale.

Il candidato del Partito Comunista russo Grudinin è tanto fortunato da non dover tentare una simile impresa (indovinate il perché). Non si sa se gli altri candidati abbiano tentato di ripetere l’impresa.