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Studiare le elezioni americane

Come avete probabilmente già letto negli ultimi giorni, Donald Trump si sta lamentando di molti aspetti tecnici delle elezioni presidenziali 2020. Sicuramente non smetterà di farlo per un certo tempo ancora.
Noi, invece, da osservatori estranei possiamo non limitarci al contemplare il suo attaccamento al potere e studiare un po’ meglio anche la storia delle elezioni statunitensi. Per esempio, potremmo iniziare dallo studio di questo database delle frodi elettorali americane dal 1979 ad oggi. Sì, i casi esistono, ma sono pochissimi e, soprattutto, hanno tutti avuto delle loro conseguenze legali.


Lo show elettorale

Qualcuno non sa ancora che negli USA è iniziato il giorno ufficiale delle elezioni presidenziali? Chi non lo sa non usa l’internet, quindi andiamo avanti.
Qualcuno ritiene scontata – in base ai dati sulle probabilità pubblicati negli ultimi mesi – la vittoria di Joe «sleepy» Biden? Chi lo pensa, probabilmente non si ricorda che la volta scorsa la probabilità di vittoria di Hillary Clinton era attorno al 70%. Pure io ritenevo ovvia la sua vittoria, ma ora non voglio più ripetere l’errore ahahaha
Qualcuno ritiene che le elezioni di oggi siano solo un fatto interno americano? Farebbe bene a ricordarsi che gli USA sono – indipendentemente da quanto possa piacere questo fatto – la principale potenza mondiale (in tutti i sensi). Quindi conviene essere informati su quale dei due vecchietti (così diversi tra loro) avrà la carica presidenziale e il controllo del Congresso.
Qualcuno sente comunque la necessità di commentare queste elezioni prima della pubblicazione dei risultati definitivi? Io, a questo punto, dovrei ricordare che in alcuni Stati la pubblicazione dei risultati ufficiale avverrà non prima del 28 novembre. E, la cosa più importante, in ogni Stato il nome del vincitore potrebbe cambiare anche più volte nel corso dei prossimi giorni o settimane. Infatti, i cittadini statunitensi possono scegliere tra quattro modi di votare – anticipatamente, via posta, il giorno ufficiale delle elezioni e il cosiddetto voto preventivo (messo da parte e conteggiato solo se lo stesso cittadino non ha poi votato in alcun altro modo) – e in ciascun Stato c’è il proprio ordine per lo scrutinio dei diversi tipi di voto. A questo punto dobbiamo ricordare che gli elettori di Biden vengono ritenuti più portati al voto via posta, mentre quelli di Trump più portati al voto «in presenza» il 3 novembre. Di conseguenza, ognuno dei due schieramenti potrebbe avere una iniziale illusione di vincere largamente e poi vedere ridursi il vantaggio (o, addirittura, scoprire di avere perso).
Secondo me sarà interessantissimo osservare la reazione popolare a questa «altalena» dei voti conteggiati. Soprattutto se consideriamo che tale reazione sarà quasi sicuramente incoraggiata dai candidati principali. Anzi, uno dei due mi sembra molto più propenso a spacciare i risultati intermedi a lui favorevoli per quelli «reali ma rubati».
Saranno le elezioni molto interessanti. E i commercianti americani, logicamente, preferiscono osservarle dai loro negozi blindati per l’occasione.

Ah, per questa volta io non ho un candidato preferito.


Le sanzioni contro Lukashenko

Pare che i Ministri degli Esteri dell’UE si siano finalmente decisi di adottare delle sanzioni – non si capisce ancora bene quali – anche contro Aleksander Lukashenko (il diretto interessato dei brogli alle elezioni presidenziali del 9 agosto e repressioni nei confronti dei manifestanti scontenti ma pacifici). Le sanzioni europee adottate precedentemente, infatti, erano rivolte solo contro circa quaranta funzionari bielorussi di livello medio e alto.
Se l’idea delle nuove sanzioni dovesse realizzarsi, sarà un intervento del tutto logico: il concetto precedente «non puniamo Lukashenko per lasciare lo spazio alla possibilità del dialogo» equivale al «nel bel mezzo del 1943 facciamo le sanzioni contro Goebbels e Himmler, ma non contro Hitler per poter dialogare con quest’ultimo».
La fine di Lukashenko al potere oggi sembra essere molto, molto più vicina rispetto a soli sei mesi fa e, quasi sicuramente, non saranno le sanzioni europee ad avvinarla ancora in una maniera rilevante. Ma quando ci si mette a fare a una cosa, è giusto farla come si deve. Altrimenti non andrebbe fatta proprio.
Purtroppo, l’UE non si distingue tanto spesso per la capacità di correggere la propria posizione una volta presa.


Clinton e Putin

Quasi per caso è stato scoperto un fatto curioso: già il 29 agosto 2019 sul sito della Biblioteca digitale di Bill Clinton sono stati pubblicati i testi stenografici delle conversazioni telefoniche e «in presenza» tra il presidente statunitense Bill Clinton (e la sua amministrazione) e Vladimir Putin. I documenti si riferiscono al periodo 1999–2001, quando Putin aveva ricoperto le cariche del direttore della FSB, del segretario del Consiglio di sicurezza russo, del premier, del facente funzioni del presidente e poi del presidente della Russia. La maggioranza dei documenti pubblicati prima era protetta dal segreto di Stato.
Ovviamente si tratta di una bella – grande e interessante – fonte di informazioni sulla base della quale verranno scritti tanti articoli (forse anche dal sottoscritto) e libri. Ma i lettori più interessati possono iniziare già ora a frugare in quei documenti storici.
In ogni caso, la sola lista degli argomenti e i nomi degli interlocutori fanno capire quanto sia enorme il periodo di vent’anni nella politica.


Si poteva immaginarlo

Come avevo probabilmente già scritto, non mi piace interrompere a metà il trattamento degli argomenti importanti. Così, per esempio, non posso non aggiungere un aggiornamento di rilevanza fondamentale a quanto avevo scritto la settimana scorsa sull’avvelenamento del politico russo Aleksej Navalny.
In una dichiarazione per la stampa il Governo tedesco (Navalny si trova in una clinica tedesca) ha dichiarato ieri che nell’organismo di Navalny sono state rilevate le tracce di un agente nervino simile al tristemente noto «Novichok».
Aggiungo anche il link al comunicato ufficiale.
Da questa notizia possiamo trarre solo una, ma importante conclusione: l’avvelenamento di Navalny è stata una opera dello Stato. Perché gli agenti nervini non si vendono nei negozi specializzati o mercati cittadini.
Ma non penso che la semplice conclusione appena riportata costituisca una grande notizia per la maggioranza dei miei lettori.


L’avvelenamento di Navalny

Ho sempre dubitato della opportunità di scrivere sulle questioni puramente interne russe, ma, relativamente spesso, i mass media e i social network occidentali mi suggeriscono che ci sarebbe un certo interesse verso alcune questioni…
Questa volta il punto di partenza è noto a molti: la mattina del 20 agosto l’oppositore russo Aleksej Navalny, mentre era sul volo di ritorno da Tomsk verso Mosca, si è sentito molto male. L’aereo ha dunque fatto un atterraggio a Omsk per permettere il ricovero di Navalny in reanimazione di un ospedale locale.
Ecco, a questo punto andrebbero precisati alcuni aspetti importanti.
Aleksej Navalny poteva essere stato avvelenato intenzionalmente? Sì, poteva.
Su mandato di chi poteva essere stato avvelenato Aleksej Navalny? Su mandato di qualche noto politico o grosso imprenditore vicino a quel noto politico.
Perché Aleksej Navalny è stato avvelenato proprio ora? Per due motivi strettamente connessi tra loro. Il primo motivo: il 13 settembre in molte zone della Russia (regioni, province e città) si vota alle elezioni amministrative (il viaggio di Navalny in Siberia aveva per l’obiettivo la preparazione del suo network politico proprio a quelle elezioni). Il secondo motivo: un noto politico russo e la sua squadra hanno molta paura dello «scenario bielorusso», quindi delle forti manifestazioni popolari in seguito alle nuove truffe elettorali (è noto che Navalny sa percepire e sfruttare molti sentimenti popolari, quindi anche l’ammirazione verso il coraggio di un popolo geograficamente vicino e culturalmente abbastanza simile).
I timori del noto politico e della sua squadra sono giustificati? Sì, ma solo fino a un certo punto. Infatti, non si sono ancora resi conto del fatto che le proteste bielorusse non hanno per l’obiettivo la difesa di un concreto candidato di opposizione. Quelle proteste nascono dalla insoddisfazione accumulata nei decenni per la permanenza e l’operato della stessa persona al potere. Di conseguenza, quelle proteste non hanno un leader e non ne hanno nemmeno bisogno. L’umore politico della popolazione attiva russa è molto simile, quindi l’eliminazione di Aleksej Navalny peggiora e non migliora il clima di «pace e tranquillità».
Il noto politico e la sua squadra avevano l’intenzione di uccidere Aleksej Navalny? Non penso. Ci sono dei modi molto più efficaci di uccidere una persona indesiderata: vi rimando, per esempio, alla uccisione di Boris Nemtsov (nel caso della quale, ricordo, le «indagini» si sono fermate alla condanna degli esecutori scelti apparentemente quasi a caso). Mentre Aleksej Navalny e le persone vicine a lui andavano spaventate fortemente, molo fortemente. L’eventuale morte di Navalny avrebbe costituito solo un effetto collaterale verso il quale la classe dirigente attuale avrebbe provato una totale indifferenza: la vita delle persone non appartenenti alla cerchia non vale.
Perché per molte ore è stato ostacolato l’ingresso della moglie di Aleksej Navalny nell’ospedale di Omsk? Non è solo una questione di un ordine arrivato da Mosca o di una grave insensibilità dei medici dell’ospedale. Purtroppo, è anche una applicazione letterale di una legge federale russa del 2011. In base a quella legge, in sostanza, ogni paziente è la «proprietà» dell’ospedale. Per esempio, la moglie (o il marito) non è considerata una parente, ma solo un membro di famiglia: «per default» non può accedere. Mentre per una qualsiasi azione del personale medico e amministrativo dell’ospedale è necessario il consenso diretto ed esplicito del paziente; se tale consenso non può essere espresso, decide il personale di cui sopra. A meno che non ci sia una delega scritta firmata precedentemente dal paziente. Tale legge, però, merita un commento serio a parte.
Perché per molte ore i medici e i dirigenti dell’ospedale di Omsk si sono opposti al trasferimento di Navalny nella clinica tedesca attrezzata decisamente meglio? Per ora è possibile rispondere solo con una ipotesi: perché sono stati obbligati a farlo. Infatti, nella medicina contemporanea non esiste più il concetto del «paziente non trasportabile». E poi, c’è chi ipotizza che il rinvio del consenso al trasferimento di Navalny sia stato dettato dalla necessità di aspettare la decomposizione di alcune sostanze nel suo organismo.
Perché per molte ore i medici e i dirigenti dell’ospedale di Omsk si sono rifiutati di diffondere qualche notizia sullo stato di salute di Aleksej Navalny e, eventualmente, sulle cause delle sue condizioni? Perché hanno diffuso dei comunicati spesso strani e contraddittori? Si riveda l’inizio della risposta precedente.
È corretto accusare direttamente il noto politico? E che c…, nominiamolo pure per nome: Vladimir Putin. Sì, possiamo accusarlo. Poteva anche non essere stato lui ad alzare la cornetta e dire: «Raga, domani avvelenate quel tipo che mi ha rotto!» Però ha creato e coltivato per oltre vent’anni un sistema dove gli avvelenamenti del genere – e non solo – accadono con una certa frequenza.

Sottolineo, infine, che il reale grado di popolarità di Aleksej Navalny in Russia non è l’argomento del presente post. Ricordo solo che è uno degli oppositori più noti e discussi.


Le elezioni di Lukashenko

Probabilmente lo avete già letto o sentito da qualche parte: domenica si sono concluse le elezioni  di Lukashenko  presidenziali in Bielorussia. Seguendo il recente e «fortunato» esempio russo, la votazione popolare era durata più giorni (in questo caso tre), permettendo dunque di profanare tutte le regole volte a garantire la corrispondenza tra il contenuto delle urne e il reale utilizzo delle schede da parte degli elettori. Questa, però, è stata l’unica somiglianza evidente con le elezioni russe.
In generale, devo constatare che le elezioni presidenziali bielorusse ormai da due decenni è un fenomeno stranissimo. Da una parte, Aleksander Lukashenko meriterebbe non solo il titolo dell’"ultimo dittatore d’Europa«, ma anche del dittatore in un certo senso più massimalista. Se mi dovesse capitare, un giorno, di diventare un dittatore di un qualsiasi Stato, continente, arcipelago o Pianeta (mai dire mai), io avrei adottato un metodo semplicissimo per vincere le ennesime elezioni: avrei fatto contare i voti in modo «giusto». Forse perché ultimamente sono diventato troppo pigro e quindi amo raggiungere il risultato con meno mosse possibile. Lukashenko, invece, non è per nulla pigro. Ogni volta inizia la propria strada verso una nuova vittoria elettorale con alcune mosse preventive: pima di tutto, elimina tutti i candidati di opposizione più popolari. In alcuni casi li fa eliminare fisicamente, in alcuni altri li elimina attraverso l’arresto per qualche crimine palesemente inventato e la negazione della registrazione in qualità del candidato ufficiale per qualche motivo diverso dal presunto crimine. Sì, avete capito bene: l’arresto e la non-registrazione vengono utilizzati in contemporanea: probabilmente, «per sicurezza». No, in Russia si agisce in un modo un po’ diverso: solitamente i candidati di opposizione non vengono ammessi alle elezioni per dei motivi palesemente ridicoli, ma almeno formalmente legali (molto, molto in fondo).
Dall’altra parte, le elezioni presidenziali bielorusse sono strane perché ogni volta tra i candidati di opposizione troviamo qualche personaggio che fino a pochi mesi – o addirittura settimane – fa era un alto funzionario statale perfettamente integrato nel sistema di potere creato e coltivato da Lukashenko. È incredibile, ma ogni volta si trova dunque un nuovo tonto presuntuoso convinto di poter evitare la sorte di altri oppositori in generale e dei propri predecessori-candidati in particolare. Ma anche a un osservatore estraneo minimamente attento è chiaro che Lukashenko non tollera due cose: l’opposizione e il «tradimento» politico.
Altrettanto chiaro è anche un altro principio: le dittature non possono cadere in seguito a una sconfitta elettorale. Lo devono capire gli oppositori (sebbene la partecipazione alle elezioni sia l’obbligo professionale di ogni politico), come lo devono capire anche i dittatori. A questo punto non è molto chiaro che senso possa avere infastidire la gente due volte (non registrando i candidati e alterando i risultati della votazione) se si può farlo solo una volta? La forza della protesta popolare è un vaso in fase di riempimento e non un torrente già esistente da dividere in ruscelli. In ogni caso, la situazione attuale è quella che è. La Bielorussia è uno Stato con un alto livello delle repressioni. L’assenza della pluralità politica (ma anche, per esempio, dei media) è il «merito» di Lukashenko e non un difetto della società.
Secondo i dati ufficiali, Lukashenko (al potere dal 1994) avrebbe preso più dell’80% dei voti e la candidata arrivata seconda (Svjatlana Cichanoŭskaja, una casalinga senza alcuna esperienza della attività pubblica, la moglie di un candidato-oppositore arrestato) avrebbe preso poco meno del 10%. Secondo le indagini socio-politiche, invece, i due risultati reali sarebbero dell’8% per Lukashenko e del 70% per Cichanoŭskaja. La percentuale reale della candidata di opposizione, chiaramente, non è il suo risultato politico personale, ma la reazione popolare ai 26 anni della presidenza di Lukashenko. Pure le manifestazioni di protesta verificatesi a Minsk la sera e la notte dopo le elezioni non erano dunque a sostegno di Cichanoŭskaja: ella ha sempre dichiarato che il suo unico programma presidenziale è quello di organizzare le elezioni presidenziali libere in sei mesi dalla entrata in carica.
Nonostante la breve durata della protesta e la sua soppressione abbastanza forte, non penso che sia già tutto finito. Perché non ho mai visto i bielorussi deridere così apertamente Lukahenko. E non ho mai visto lo stesso Lukashenko così palesemente nevoso: probabilmente si rende conto che ora la sua permanenza al potere dipende solo dalla fedeltà dei militari e delle forze dell’ordine.
Ecco, si dimentica che nella storia queste due entità sono sempre state le prime ad abbandonare i dittatori esauriti.

Di conseguenza, ritengo che la storia mi stia offrendo la possibilità di rinviare la pubblicazione della seconda parte del testo a tempi non molto lontani.


Poteva andare peggio

Sicuramente lo avete già letto: è stato raggiunto l’accordo sul Recovery Fund. All’Italia, in particolare, vanno 81,4 miliardi di aiuti «gratuiti» e 217,4 di prestiti. Ma il punto che a noi interessa di più è il momento nel quale dovrebbe iniziare la restituzione del debito: a partire dal 2027.
A questo punto non tutti potrebbero rendersi conto di un aspetto in un certo senso paradossale: alle persone comuni conveniva un debito più grande possibile. Perché? È semplice, cercate di seguire la logica.
I debiti vanno restituiti e per farlo bisogna in qualche modo guadagnare dei soldi.
I Capi di Stato e di Governo che raggiungono gli accordi sui debiti non producono e non guadagnano, quindi pagano i debiti concordati con i soldi dei cittadini (nel linguaggio popolare si chiamano tasse).
Per pagare le tasse il comune cittadino deve lavorare.
Per pagare con le proprie tasse un debito pubblico alto il cittadino comune deve lavorare tanto.
Per lavorare tanto… tutti devono avere la possibilità di lavorare tanto (ma in realtà anche di spendere tanto per fare lavorare gli altri).
Di conseguenza, tenendo in mente il momento della restituzione, ci accorgiamo che ogni miliardo di debito in più verso l’UE riduce ulteriormente il rischio di un nuovo lockdown del cazzo*.
A questo punto potrei anche dire, in merito all’accordo raggiunto, che poteva andare peggio. Ma l’espressione significa che il prestito (= debito) poteva essere ancora più basso.

* Uno Stato del Nord Europa è stato molto criticato dalla gente isterica per non avere introdotto il lockdown. Tantissime persone hanno sottolineato il numero dei contagiati e dei deceduti più alto rispetto agli Stati vicini. Tutti i critici hanno preferito dimenticare che quello Stato – rispetto ai vicini – ha il numero più alto delle case di cura (luoghi di alta concentrazione delle persone altamente a rischio) e dei ghetto per gli immigrati (dove è difficile imporre qualsiasi regola, compreso l’eventuale lockdown). Sempre gli stessi critici isterici si dimenticano di riconoscere che in quello Stato, alla fine, non è alcunché di più grave rispetto alla media mondiale, anzi. E che ora i numeri sono migliori a molti altri Stati europei.


Le vostre letture del giovedì

Le persone che semplicemente cercano di apparire sempre e comunque politicamente corrette, in realtà sono solo infinitamente noiose. Tutta la loro vita ha il «sapore» dell’acqua demineralizzata. Ma è soprattutto un loro problema personale: i loro amici, conoscenti e colleghi hanno a disposizione molti modi di eliminare quelle persone dalla propria vita.
Le persone che cercano di dettare alla comunità delle regole comportamentali – anche quelle derivanti dai principi più corretti e condivisibili – sono invece socialmente pericolose. Perché superano velocemente ogni limite di ragionevolezza nei modi di agire, nelle proprie richieste e nella scelta delle vittime (in sostanza, delle streghe). Queste persone solitamente appartengono a qualche minoranza attiva e rumorosa (quindi difficilmente evitabile), ma costituita da una massa uniforme grigia (non intendo il colore della pelle!). Scelgono come vittime gli esponenti più interessanti della società: quelli che non si accontentano di produrre l’acqua demineralizzata al posto dei contenuti di qualità.
Più di quaranta anni fa Ray Bradbury aveva già scritto un testo bellissimo sull’argomento. Conviene rileggerlo ogni qualvolta sentite delle accuse verso qualcuno che non tenta di essere completamente inoffensivo verso il mondo intero.
I personaggi della cultura di oggi, purtroppo, si sono sentiti costretti a tentare una azione collettiva. Non so se servirà a qualcosa ma, almeno, non esporrà a dei rischi eccessivi ogni singolo partecipante.


Il voto di azzeramento

Come forse avete già letto o sentito, il 1 luglio in Russia si è conclusa la settimana della votazione sulla «riforma costituzionale». Si è trattato di una manifestazione ben lontana dal costituzionalismo e dal diritto elettorale, quindi è assolutamente condivisibile il suo nome popolare: il voto sull’azzeramento di Putin. Infatti, l’obiettivo principale della «riforma» è stato quello di permettere a Vladimir Putin di non conteggiare i mandati presidenziali già ottenuti (azzerarli, appunto) e candidarsi altre due volte alla Presidenza. Di conseguenza, se la natura non dovesse intervenire prima, Putin dovrebbe rimanere alla carica almeno fino al 2036.
A questo punto avrei potuto scrivere un lungo post sul livello dei brogli eccezionale pure per la Russia degli ultimi 24 anni. Secondo i dati ufficiali, la partecipazione al voto sarebbe stata del 67,97%, il «sì» alla riforma avrebbe raccolto il 77,92%, mentre il «no» il 21,27%. I matematici hanno già calcolato che il livello reale del «sì» sarebbe attorno al 30%, ma questo è uno dei dettagli che dovrebbero interessare soprattutto ai cittadini russi.
Ai miei lettori italiani comunico solo che i risultati ufficiali di vari seggi corrispondono – con una precisione «sorprendente» – alle attese del Cremlino collettivo:

Quindi torniamo alla vita reale quotidiana che, nonostante tutto, continua. In assenza delle reali alternative pacifiche alla situazione creatasi, la gente tenta ancora di riderci sopra come può. Per esempio, la Costituzione russa del 1993 è già stata inserita nel famoso Continuare la lettura di questo post »