L’archivio del tag «politica»

L’inutilità delle sanzioni

Lo scrivono pure i giornali italiani: ieri l’UE e gli USA hanno adottato – in risposta alla persecuzione dell’oppositore Alexey Navalny – delle sanzioni contro alcuni alti funzionari russi.
In merito a tale notizia il concetto fondamentale da sapere è semplice: tutte le sanzioni del genere sono completamente inutili. Infatti, la grande maggioranza dei personaggi direttamente interessati non viaggia all’estero da anni (salve le rarissime, eccezionali, visite di lavoro presso alcune organizzazioni internazionali), tiene la maggioranza delle proprie ricchezze nelle banche russe (Vladimir Putin si è impegnato per anni a convincerli) e, allo stesso tempo, non ha alcun motivo di preoccuparsi per i parenti eventualmente residenti negli Stati occidentali. Di conseguenza, tutti i funzionari «sanzionati» non si sentono assolutamente scomodati.
Di fronte a tale situazione potremmo chiederci: perché l’UE e gli USA hanno adottato delle sanzioni del genere? Non si saranno accorti già nelle situazioni precedenti che tale modo di fare non produce alcun effetto? Ecco, in realtà la risposta è semplice: le sanzioni del genere vengono regolarmente adottate solo per mostrare la posizione dei leader occidentali nei confronti della politica russa (di solito quella internazionale, ma da poco anche quella interna). Allo stesso tempo, però, non si capisce quali altri obiettivi si vorrebbe raggiungere con l’uso dello strumento politico chiamato «sanzioni». E in assenza degli obbiettivi precisi vengono logicamente inventati degli strumenti inutili. Inoltre, è abbastanza evidente l’impossibilità di inventare delle sanzioni efficaci e, in contemporanea, continuare a comprare le risorse naturali (necessarie per il funzionamento della propria economia) e a evitare di colpire i cittadini comuni della Russia.
A questo punto non mi resta altro che constatare: è assolutamente normale la situazione in cui i politici siano più preoccupati per gli interessi nazionali che per i problemi interni di uno Stato lontano. Così, anche la Russia risolverà i propri problemi interni senza ricorrere all’aiuto esterno. Sarà una cosa bellissima nella sua normalità.


Lavorare con i documenti

Più o meno tutti hanno letto dei 17 provvedimenti firmati da Joe Biden durante la sua prima giornata lavorativa piena da Presidente…

Non tutti però sanno che appena entrato nel suo ufficio della Casa Bianca, il nuovo presidente ha trovato nel cassetto della scrivania una tradizionale lettera lasciatagli dal suo predecessore. Sì, Donald Trump ha rispettato almeno questa tradizione. Joe Biden non ha (ancora) svelato il contenuto del messaggio, ma qualcuno sostiene che la lettera sia brevissima: Continuare la lettura di questo post »


Ciao Trump, ciao Biden

L’ecologia mediatica sta per migliorare: da ieri Donald Trump non è più il presidente degli Stati Uniti e – si spera – dovremo leggere di meno almeno delle sue avventure. Ma non dobbiamo illuderci troppo: rimarrà comunque un politico statunitense rilevante (rimane il fatto che lo ha votato quasi la metà degli aventi diritto) e rumoroso (come lo è stato negli ultimi quattro anni). Il secondo tentativo di impeachment può anche raggiungere il risultato sperato dai democratici, ma Trump non toglierà certo il diritto di parola a se stesso.
Allo stesso tempo dobbiamo riconoscere un altro dato di fatto: indipendentemente dal nostro grado di simpatia nei confronti del nuovo presidente americano (sì, stranamente riesce a essere simpatico ad alcuni), Joe Biden è una figura transitoria. O, se preferite, è il primo presidente della epoca del bipartitismo 2.0. Biden è il rappresentante del partito del vecchio establishment americano (i tradizionali democratici + i tradizionali repubblicani) che almeno questa volta ha vinto contro il partito dei «teppisti» (il più noto dei quali è l’ex presidente Trump). Il primo partito è unito nel difendere i valori e le regole condivise e formate nei secoli. Il secondo partito è di creazione recentissima. La cerchia dei suoi sostenitori è diventata visibile – ma non è stata importata in un attimo dai marziani! – negli ultimi quattro anni, anche se aveva aspettato il proprio candidato tipico per anni e lo ha visto comparire sulla scena politica solo in occasione delle elezioni del 2016.
Nei prossimi quattro anni, poi, potrà formarsi il vasto fronte dei sostenitori di un altro partito: quello dei cittadini dell’internet. Il partito delle persone abituate a vivere nel cosiddetto «tempo reale». Il partito delle persone che non possono capire perché debbano necessariamente essere governati dai vecchietti che hanno sviluppato le proprie idee politiche all’epoca dei dinosauri (e hanno iniziato la propria scalata verso il potere più o meno nello stesso periodo). I nuovi leader competenti (almeno apparentemente) nelle sfide di oggi si trovano e/o si creano ora con il voto tramite i tap o i click.
Donald Trump non è fa più il presidente. Ma noi ci divertiremo ancora a osservare.


Un nuovo rifugiato

Bene, il servizio di microblogging Parler si è trasferito su un hosting russo. (Per le persone lontane dalle conoscenze sul lato tecnico del web preciso che un hosting è un servizio di pubblicazione di siti: comprende uno spazio sul server, i programmi e i linguaggi di programmazione installati sul server stesso, l’assistenza tecnica etc.) L’azienda russa si chiama DDoS-Guard, tra i suoi clienti, in particolare, c’è anche il Ministero della Difesa russo. Il Parler, essendosi appena trasferito, non ha ancora completamente ripreso il servizio.

Come probabilmente vi ricordate, in precedenza Parler era stato «cacciato» dal hosting dell’Amazon e dai negozi Apple App Store e Google Play solo perché diventato popolare tra i sostenitori di Donald Trump. E ora voglio vedere se questa notizia si riveli capace di far alzare una nuova ondate di accuse nei confronti di Trump: il clima dell’odio cieco (creato da Trump e alla fine rivolto contro egli stesso) potrebbe portare le persone psicologicamente poco stabili a ricominciare di accusarlo dei «rapporti con la Russia». Sarà uno spettacolo incredibilmente divertente…


Chi verrà graziato?

Scrivono che il 19 gennaio (l’ultima giornata piena da Presidente) Donald Trump dovrebbe graziare circa cento persone. In particolare, si precisa che dovrebbe evitare di graziare se stesso (qualcuno gli ha logicamente suggerito che l’auto-grazia equivarrebbe a una ammissione di avere qualche colpa) e i propri familiari. Inoltre, non dovrebbe graziare Julian Assange (nulla di grave in questo caso).
Ma per me la domanda più interessante sull’argomento è: tenterà di graziare tutti quei geni alternativi che sono andati ad assaltare il Senato interpretando troppo letteralmente le parole di egli stesso? A differenza dei «democratici», non cerco un progetto laddove c’è una banale manifestazione di stupidità, e quindi non penso che quello di Trump sia stato un invito intenzionato alla insurrezione. Ma questo sarebbe un ulteriore motivo per [tentare di] dimostrare di essere una persona minimamente responsabile, una persona che protegge i propri elettori. Chissà se a qualcuno verrà l’idea di spiegarlo a Trump…


Il messaggio di Schwarzenegger

Non è molto frequente che Arnold Schwarzenegger pubblichi dei video seri e, sicuramente, è diventato un buon youtuber grazie ai contenuti di altro genere. Ma il finesettimana scorso ha diffuso un messaggio politico interessante:

Molto probabilmente lo avete già visto. Quindi io lo lascio qui anche solo per ritrovarlo più facilmente in un ipotetico futuro.


Una delle grandi stranezze di Trump

Indipendentemente dal fatto che ci piaccia o meno Donald Trump, dobbiamo ricordare che la possibilità del popolo di manifestare per (o protestare contro) qualsiasi propria convinzione è uno dei segni distintivi di una democrazia. Nessun principio democratico stabilisce che una protesta debba necessariamente essere impercettibile da coloro contro chi sta protestando una parte della popolazione. In più, nessuna Istituzione viene smantellata dai colpi di selfie delle persone più o meno strane. E, sicuramente, non dobbiamo e non possiamo definire come antidemocratiche sempre e solo quelle manifestazioni che per qualche motivo non ci piacciono.
Donald Trump, invece, non è il popolo. Ha delle sue responsabilità e sicuramente sarà giudicato in un futuro più o meno prossimo: da un giudice o dalla storia (ovviamente, dobbiamo ricordaci che «giudicato» non è sempre un sinonimo di «condannato»). Ma già ora possiamo chiederci perché non faccia nulla di concreto contro ciò che è realmente un attentato alla democrazia: la censura esercitata dai social networks. Come avete probabilmente letto, ieri è stato bloccato su Twitter, Facebook e Instagram, i cui proprietari a parole difendono la libertà di espressione, mentre sulla pratica concedono quella libertà solo alle persone che esprimono le idee «giuste».
A me non piace Trump, ma non capisco comunque perché in tutti questi quattro anni non abbia fatto la cosa più logica e semplice. Non capisco perché non abbia registrato e creato un sito proprio. Un sito dove avrebbe potuto pubblicare qualsiasi cosa e raccogliere tutti i like e i commenti del mondo. Dal punto di vista tecnico non ci vuole niente a realizzare una cosa del genere: a suo (come pure a nostro) servizio c’è una grande varietà di CMS più o meno avanzati.
Si vede che gli piace soffrire…


Una delle delusioni del 2020

Ora, dopo il voto dei grandi elettori, Joe Biden è un Presidente eletto anche dal punto di vista formale: non è una grossa sorpresa.
La vera e deludente sorpresa è l’atteggiamento di Donald Trump e del suo team nelle settimane seguite alla votazione popolare. Infatti, ci avevano promesso una battaglia legale seria contro tutti i «brogli elettorali» (nella terminologia trumpista l’espressione indica il risultato favorevole a Biden), ma alla fine ci hanno privati di questo grande divertimento. Uno spettacolo divertente nel senso migliore, quindi uno spettacolo interessante da seguire. Uno spettacolo sostituito da una stranissima buffonata di ricorsi giuridicamente mal preparati, «testimoni» ubriachi e avvocati-ex-sindaci avventurati in dichiarazioni discutibili.
Non volevo che Trump si attaccasse al potere con tutti i mezzi disponibili. Volevo che il 2020 fosse rimasto nei libri di storia mondiale con più di un argomento. E invece no: si vede che è proprio impossibile.

P.S.: dal punto di vista socio-politico, comunque, l’operato distruttivo di Trump è stato neutralizzato abbastanza facilmente dal Sistema. Certo, questa esperienza comporterà la formalizzazione di alcuni principi politici (o, se preferite, democratici) americani che prima si riteneva sufficiente applicare semplicemente per tradizione, ma, complessivamente, si può dire che poteva andare molto peggio.


Un esempio dell’autolesionismo

Io – come, immagino, anche la maggioranza di voi – ho rischiato di perdere una notizia curiosa. In vista delle elezioni politiche del 6 dicembre, il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha dettato in diretta televisiva il proprio numero di telefono e ha invitato tutti di aggiungerlo nei gruppi su WhatsApp e Telegram. Non importa che una delle app sia di produzione statunitense: l’obiettivo di Maduro sarebbe quello di «lottare per la verità» sulle vicine elezioni.
Non voglio ora ipotizzare quante migliaia di messaggi sarebbe costretto a scrivere ogni giorno se gestisse in persona la missione annunciata.
Sarei invece molto curioso di vedere quali messaggi arrivano a lui da quei gruppi. Perché dire che sotto la sua guida la Venezuela sia arrivata in una situazione difficilissima è come non dire niente.
Ma, ovviamente, non vi invito a divertirvi inviando delle espressioni troppo pesanti al numero di Maduro +5804262168871
Siete tutti delle persone adulte e responsabili, quindi capaci di prendere le decisioni con la testa propria.


Io vorrei avere qualche altro numero, ma so che non esiste…


Il paradosso elettorale

Cosa è comparso prima: l’uovo o la gallina?
Cosa si forma prima: l’opinione pubblica o il giudizio dei mass media importanti?
La reazione alle elezioni presidenziali statunitensi di quest’anno possono essere commentate anche con almeno una di queste due domande. Infatti, in questi giorni possiamo vedere che Donald Trump ha  rotto i coglioni  stufato talmente tanto alla gente in giro per il mondo che tutti si sono messi a festeggiare la vittoria di Joe Biden ancor prima che quest’ultimo venisse eletto.
Non voglio apparire uno che ci spera ancora: Trump mi è più antipatico di Biden. Però ricordo che dobbiamo essere onesti: prendere la maggioranza dei voti popolari tecnicamente non significa vincere le elezioni presidenziali americane. Non lo è neanche essere proclamato vincitore dai mass media. Nemmeno quando è stata teoricamente «raccolta» la maggioranza dei grandi elettori. Per esempio, perché i grandi elettori che votano per un candidato diverso da quello per il quale hanno ricevuto il mandato di votare (quindi i cosiddetti faithless electors) capitano a quasi tutte le elezioni. Solitamente questi «elettori infedeli» sono pochi e non influiscono quindi sul risultato finale, ma capitano.
Non so se e quanti faithless electors si manifesteranno questa volta. Ma se Donald Trump avesse raccolto la maggioranza dei voti popolari, proprio grazie a quei «infedeli» avremmo avuto l’occasione di vedere la sua reale popolarità all’interno del partito. Invece ora non saprei; bisogna osservare bene.

Comunque, per prendere meno voti di un candidato anziano (in tutti i sensi) e noioso che di fatto non ha condotto una campagna elettorale bisognava impegnarsi veramente tanto.