Ieri sono stati presentati alla Duma gli emendamenti al disegno di legge sulla responsabilità per la cooperazione con le Organizzazioni internazionali di cui la Russia non fa parte. Gli autori formali degli emendamenti – cioè quelli che hanno ricevuto le relative mail dal Cremlino – propongono di integrare il Codice penale russo con il comma 3 dell’articolo 284 sulla «prestazione di assistenza nell’esecuzione di decisioni di organizzazioni internazionali a cui la Federazione Russa non partecipa o di organismi statali stranieri».
«Prestare assistenza nell’esecuzione di decisioni di […] organismi statali stranieri in merito al perseguimento penale di funzionari delle Autorità pubbliche della Federazione Russa in relazione alle loro attività di servizio, di altre persone in relazione al loro servizio militare o alla permanenza in formazioni di volontari» sarebbe considerato un reato. La riforma prevede fino a cinque anni di reclusione per il «reato» trattato.
Il deputato Vasily Piskaryov – il presidente del Comitato della Duma per la sicurezza e la lotta alla corruzione e uno degli «autori» degli emendamenti – ha dichiarato che gli emendamenti mirerebbero a proteggere i cittadini russi.
In realtà possiamo immaginare quale cittadino specifico si tenta di proteggere in tal modo. Altrettanto facilmente possiamo immaginare da quale Organizzazione si tenta di proteggerlo. E, a differenza dei deputati e degli autori degli emendamenti, possiamo immaginare che molto difficilmente Putin verrà rapito sul territorio russo (dove si applica il Codice penale russo) per essere portato all’Aja. Indipendentemente dalla modalità in cui verrà – eventualmente – consegnato alla Corte penale internazionale (dalla quale è ricercato), gli esecutori di tale consegna si organizzeranno abbastanza bene per sottrarsi alla applicazione del Codice penale russo.
Cosa sarà del Codice stesso dopo l’arresto di Putin è un’altra grande domanda, ma sicuramente sarà applicato non come ora.
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Fino all’altro ieri, la Russia confinava con cinque Stati membri della NATO: Estonia (333,7 km di confine), Lettonia (270,5 km), Lituania (288,4 km), Polonia (236,3 km) e Norvegia (219,1 km). In totale, il confine tra Russia e NATO era di 1348 chilometri.
Ma ieri la Finlandia è finalmente entrata ufficialmente nella NATO, avendo presentato la domanda di adesione contemporaneamente alla Svezia dopo l’attacco della Russia all’Ucraina. Logicamente, aveva deciso di prendere delle precauzioni…
Ecco, noi sappiamo che il confine della Russia con la Finlandia è di 1271,8 km.
Il confine complessivo della Russia con la NATO è ora lungo 2619,8 km. È quasi raddoppiato.
Meno male che Putin voleva far allontanare la NATO dai confini russi, ahahaha
A volte capitano, contemporaneamente, delle notizie belle da leggere insieme. Per esempio…
Ieri il Presidente ucraino Vladimir Zelensky ha firmato i decreti di licenziamento dei capi di tre amministrazioni regionali: quelle di Lugansk, Odessa e Khmelnytskyy. In particolare, Serhiy Gayday è stato licenziato da capo dell’amministrazione regionale di Lugansk: la stampa ucraina sostiene che dovrebbe essere presto nominato l’ambasciatore ucraino in Kazakistan.
Sempre ieri Vladimir Putin ha nominato Vladislav Kuznetsov, l’ex vice primo ministro della autoproclamata «Repubblica Popolare di Lugansk», capo del distretto autonomo della Chukotka («in cu… al mondo»).
Ma non dovrebbero essere i «conquistatori dei territori» a fare una carriera politica migliore? Ahahaha
Mi ero quasi dimenticato che la premiazione dell’Oscar 2023 dovesse avvenire proprio la notte passata… Ma è stato impossibile non essere informato dei risultati. Quindi oggi scrivo molto brevemente di quattro film coinvolti in questa edizione del premio.
Prima di tutto faccio i miei complimenti agli autori del documentario «Navalny»: la loro vittoria è la giusta premiazione di un lavoro fatto al momento giusto. È una vittoria molto importante anche per il protagonista del film: perché alimenta l’attenzione proprio nel momento storico in cui ne ha più bisogno. Non è stata sprecata l’occasione di fare una premiazione politicizzata che non infastidisce. N.B.: sul palco erano presenti la moglie e i figli di Alexey Navalny.
L’evento per me più incomprensibile è la pluri-premiazione del film Continuare la lettura di questo post »
Il museo cittadino di Amsterdam (Stedelijk Museum) ha iniziato a indicare – nelle proprie descrizioni sui cartelli informativi fisici e sul sito web – il pittore Kazimir Malevič come un artista ucraino e non più come russo. Malevič nacque a Kiev (anche se all’epoca fu il territorio dell’Impero russo) da genitori polacchi e passò una parte significativa della propria vita privata e professionale sul territorio «tradizionale» russo, ma va bene: si hanno dei motivi formali anche per definirlo ucraino. Se in questo periodo particolare qualcuno possa essere rasserenato dalla assegnazione di una nuova appartenenza nazionale a un artista di portata mondiale, accettiamolo pure.
Allo stesso tempo, possiamo notare che ormai si tratta di una tendenza. A febbraio, per esempio, si è saputo che il Metropolitan Museum of Art di New York ha cambiato le didascalie dei dipinti di Ivan Aivazovsky, Ilya Repin e Arkhip Kuindzhi presenti nella collezione del museo: ora accanto ai loro nomi si legge che sarebbero dei pittori ucraini e non [più] russi.
Tutti questi cambiamenti costituirebbero un motivo sufficiente per scandalizzarsi o allarmarsi? Per le persone normali sicuramente no. Infatti, dalla tendenza osservata mi sembra di capire che nell’Occidente stia aumentando la capacità di non definire più come «russi» tutti coloro che vengano dall’ex territorio sovietico, ma di tentare di comprendere le loro differenze. Paradossalmente, non è una tendenza nazista (senza la divisione dei terrestri secondo il criterio nazionale saremmo stati molto meglio), ma, al contrario, è una utile eliminazione delle generalizzazioni offensive. Quelle come «africano», «latinos» etc.
Ci voleva proprio qualcosa di positivo in questi tempi brutti.
P.S.: tra le generalizzazioni offensive avrei aggiunto anche «afroamericano», ma le persone povere di cervello avrebbero perso tutto il testo precedente.
Uno dei modi possibili – anche se, ovviamente, non il più importante e scientifico – di valutare quanto stia andando «bene» l’economia russa ai tempi di guerra è vedere quanto sarebbe disposto «il Cremlino» a spendere per l’apparenza della normalità e della unità ideologica interna.
Sul social network «VKontakte» (VK) è partita la campagna di arruolamento degli spettatori per il concerto con il quale si intende festeggiare il nono anniversario della annessione della Crimea. Il concerto è programmato per il 18 marzo allo stadio moscovita Luzhniki.
Il luogo del concerto è dunque lo stesso del «concerto patriottico» del 22 febbraio. Ma, a differenza di quella occasione, ai potenziali spettatori del 18 marzo non vengono più promessi 500 rubli (poco più di 6 euro) per la presenza. In compenso, vengono promessi un pasto, l’esibizione di alcuni famosi artisti noti per la loro posizione «patriottica» e un nuovo stand-up comedy di Vladimir Putin…
Ma io mi ricordo bene che prima della pandemia per la presenza alle manifestazioni pro-governative pagavano anche più di mille rubli (che all’epoca valevano di più). Considerando che dopo oltre un anno il grado di approvazione popolare della guerra dichiarata è sceso notevolmente (anche se le indagini sociologiche sono un po’ difficili da fare), i dirigenti dello Stato russo avrebbero dovuto essere un po’ meno tirchi. Di conseguenza, possiamo presumere che i soldi stiano finendo: anche quelli ottenuti attraverso degli schemi fantasiosi di vendere il petrolio alla India e ad alcuni stati africani.
P.S.: l’economia russa – parlandone seriamente – per ora sta andando meno male del previsto, ma molto peggio di quanto si tenti di mostrarlo con la statistica ufficiale. Solo nel contesto della guerra in corso, le sanzioni occidentali, la fuga delle persone più istruite e dei capitali avranno degli effetti negativi pesanti a lungo termine, ma, logicamente, non immediati. Ma si tratta di un argomento serio e lungo, dunque lo rinvio a un altro articolo.
Le persone che seguono poco la politica internazionale (oppure non la capiscono) di fronte a ogni notizia circa le sanzioni contro la Russia – da anni, non solo nell’occasione di questa guerra – spensieratamente dicono: «Beh, tanto c’è la Cina…»
Lo stato reale delle cose ha già dimostrato una infinità di volte che la Cina non ha alcun interesse e alcuna intenzione di aiutare la Russia. Non le conviene economicamente perché è un mercato piccolo e povero. Non le conviene politicamente perché non vuole litigare troppo fortemente con gli USA e l’Europa (molto più potenti e ricchi). Può provare di sfruttare le risorse naturali e i territori russi, può utilizzare il territorio russo come una strada di passaggio verso l’Europa, ma non è disposta di rischiare facendosi coinvolgere in relazioni politiche o economiche troppo strette.
L’ultima testimonianza di tale concetto è il documento «La posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina» pubblicato il 24 febbraio dal Ministero degli Esteri cinese. Il documento è pieno di espressioni molto-molto diplomatiche… Talmente diplomatiche che non si capisce che senso abbia avuto pubblicarle.
L’unica dichiarazione da senso preciso e ben determinabile è contenuta al primo punto. Con quel punto la Cina, in sostanza, sta dicendo alla Russia: «uscite dal territorio ucraino internazionalmente riconosciuto e solo dopo parliamo di tutto il resto». La posizione mi sembra molto chiara:
1. Respecting the sovereignty of all countries. Universally recognized international law, including the purposes and principles of the United Nations Charter, must be strictly observed. The sovereignty, independence and territorial integrity of all countries must be effectively upheld. All countries, big or small, strong or weak, rich or poor, are equal members of the international community. All parties should jointly uphold the basic norms governing international relations and defend international fairness and justice. Equal and uniform application of international law should be promoted, while double standards must be rejected.
Meno male che c’è la Cina. E meno male che è riuscita mostrare le proprie reali intenzioni non solo ai dirigenti dello Stato russo, ma anche al pubblico internazionale.
P.S.: l’immagine con la quale posso illustrare al meglio il presente post è stata suggerita, involontariamente, dallo staff di Vladimir Putin. Vi ricordate il suo mega-tavolo diventato famoso poco prima della guerra? Ebbene, guardate come viene utilizzato da Putin quando egli si trova a parlare con un diplomatico dal quale vuole realmente qualcosa:
Che tristezza ridicola…
Ieri – quando mancano tre giorni al primo anniversario della guerra in Ucraina – Vladimir Putin ha pronunciato il suo messaggio annuale alle Camere riunite del Parlamento russo (in base alla Costituzione lo avrebbe dovuto fare l’anno scorso, ma non voleva distrarsi). Logicamente, tante persone si aspettavano di sentire qualcosa di nuovo o almeno forte in quel messaggio… In realtà, non molto logicamente: nelle dichiarazioni di Putin a volte compaiono delle nuove giustificazioni e dei nuovi obiettivi della guerra in corso, ma ogni volta sono noiosamente lontani da ogni somiglianza con la realtà.
Il discorso di ieri non è stato una eccezione. Anzi, peggio: non è stato inventato alcunché di nuovo. Di conseguenza, l’intero discorso può essere riassunto in una frase: «L’Occidente ci ha costretti a fare la guerra in Ucraina».
Per le persone in cerca di maggiori informazioni posso aggiungere altri concetti sorprendenti: «sono cattivi tutti tranne noi», «le nostre armi sono le più potenti anche se nessuno le vede», «le elezioni presidenziali del 2024 saranno democratiche»…
Se non ci fosse una guerra, avrei controllato il calendario per vedere se è già il primo di aprile. Ma sul mio calendario, da quasi un anno, è quotidianamente il 24 febbraio.
Il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione che invita le autorità russe a rilasciare il leader dell’opposizione Aleksey Navalny e altri prigionieri politici russi. Il comunicato stampa del Parlamento europeo afferma, poi, che, fino a quando i prigionieri politici non saranno rilasciati, le condizioni della loro detenzione dovranno essere conformi agli impegni internazionali della Russia. In particolare, i deputati chiedono che a Navalny sia consentito di vedere la sua famiglia e di rivolgersi ai medici e agi avvocati di sua scelta.
E poi ci sono altre belle parole sulla guerra in Ucraina e sul destino giudiziario del criminale chiamato Putin.
A questo punto non riesco a capre ben due cose: 1) a chi è rivolta la risoluzione (se non alla coscienza degli eurodeputati che vogliono sentirsi bravi) e 2) quanto bene sia chiara ai deputati europei la totale inutilità pratica del documento da loro prodotto.
Però posso sfruttare l’occasione per informarvi di una idea che mi capita sempre più spesso di sentire da alcuni giornalisti russi: Aleksey Navalny è un prigioniero politico che — mentre persiste il regime putiniano — non verrà liberato, ma nemmeno ucciso su «ordine supremo» proprio perché è una merce di scambio preziosissima. Una merce da utilizzare non per liberare qualche collaboratore importante di Putin (anche perché nessun Stato occidentale si è finora deciso di arrestarne uno, per esempio il ministro degli Esteri Lavrov), ma per ottenere qualcosa di importanza vitale in una situazione di vera emergenza. Navalny è l’oppositore russo con la notorietà e la reputazione più elevati al livello mondiale, quindi può essere scambiato, per esempio, per la possibilità dei vertici russi di fuggire da qualche parte in America latina o su qualche isola oceanica… So che sembra quasi una teoria complottistica, ma ha una sua logica interna.
P.S.: ovviamente, tutto questo non significa che la vita terrestre di Aleksey Navalny non sia quotidianamente a rischio per colpa di un impegno professionale eccessivo dei carcerieri russi.
Scegliere il video di questa settimana è stato facilissimo: è quello del discorso del presidente Vladimir Zelensky davanti ai parlamentari dell’UK!
Per fortuna, il Governo inglese è già il più favorevole – tra quelli europei – alla causa di Zelensky. In molti altri Stati dell’Europa occidentale sarà un po’ difficile…