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Non si era accorto

Ogni volta che vedo arrivare, in un periodo di tempo breve, due notizie così complementari, mi diverto tantissimo.
La prima notizia è molto diplomatica. I ministri degli Esteri del G20 riuniti a Bali hanno rinunciato alla tradizionale foto di gruppo per evitare di comparire sulla stessa immagine con il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Il Ministero degli Esteri russo non ha commentato la notizia. Allo stesso tempo, i rappresentanti degli Stati del G7 presenti a Bali si sono rifiutati di partecipare pure alla cena di benvenuto (tenutasi il 7 luglio) a causa della presenza di Lavrov. Maria Zakharova, la portavoce del Ministero degli Esteri russo, ha dichiarato che Lavrov «non si era accorto della assenza di boicottatori».
La seconda notizia è, invece, molto «umana».
Il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha deciso di lasciare la riunione ministeriale del G20 a Bali prima del previsto: non parteciperà al pranzo ufficiale e alla sessione di lavoro pomeridiana. Ha lasciato la sala della sessione subito dopo il proprio discorso e ha evitato di rispondere alle domande del ministro degli Esteri tedesco Annalena Berbock.
Come potete facilmente notare, la seconda notizia costituisce un bellissimo commento alla prima. Infatti, si vede subito che Lavrov non si era proprio accorto di essere evitato dai rappresentanti di tutti gli Stati più seri, ahahahaha
Beh, tanti anni fa era un diplomatico vero e serio, quindi forse qualcosa capisce ancora…


Distinguere le cause

Il presidente della Duma Vyacheslav Volodin ha scelto bene il momento e ha dichiarato (citando l’economista americano Jeffrey Sachs) che gli USA dovrebbero risarcire i Paesi colpiti dalla pandemia del coronavirus perché le autorità statunitensi potrebbero essere coinvolte nella diffusione del virus. L’accusa si basa sulla ipotesi che il virus della SARS-CoV-2 possa essere stato creato in un laboratorio biologico statunitense. Da anni – sì, ormai da anni – sappiamo che non ci sono prove a sostegno della teoria della origine artificiale del coronavirus.
Come succede quotidianamente in Russia, anche la dichiarazione appena menzionata di Volodin ha solo un semplice obiettivo: pronunciarsi in qualche modo contro gli USA per sottolineare di essere «dalla parte giusta». Di conseguenza, sarebbe una ennesima stronzata non degna di attenzione.
Ma io ne vorrei approfittare per ricordare: con l’inizio della guerra in Ucraina il mondo si è dimenticato abbastanza facilmente il periodo della pandemia e tutte le conseguenze economiche dei vari relativi lockdown. Vedo tantissime persone che attribuiscono la colpa della crisi corrente esclusivamente alla guerra e alle sanzioni contro Putin. Di conseguenza, sottolineo che bisogna fare uno sforzo mentale e ricordarsi di fare una distinzione tra i motivi delle difficoltà economiche attuali. Per esempio: l’inflazione è dovuta prevalentemente alle misure di sostegno delle economie durante la pandemia, mentre l’aumento dei prezzi del gas e del petrolio è invece dovuto alla guerra. Oppure: la carenza del grano in certe zone del mondo è dovuta alla logistica rovinata durante la pandemia e non perché meno del 3% del grano mondiale è bloccato in Ucraina.
Naturalmente, tutto questo non giustifica Vyacheslav Volodin, la guerra i complottisti vari.


I nuovi membri della NATO

La grande notizia di ieri era in realtà scontata: Erdogan ha «acconsentito» l’adesione della Svezia e della Finlandia alla NATO. Era scontata non solo perché la diplomazia è sempre una trattativa, ma anche e soprattutto perché Erdogan è un uomo dell’est. Un uomo dell’est non vende alcunché senza trattive lunghe, accese e piene di pseudo-rifiuti «categorici» di accettare le proposte della controparte. Molto probabilmente la maggioranza dei miei lettori occidentali conosce poco o per nulla tale modo di fare, mentre per me è sempre stato evidente il concetto di base: Erdogan alla fine accetta, ma bisogna vedere in cambio di cosa.
In sostanza, Erdogan ha ottenuto due cose. La prima era facilmente immaginabile: la Finlandia e la Svezia hanno concordato di «prevenire le attività» del Partito dei Lavoratori del Kurdistan e delle altre strutture che la Turchia considera terroristiche. Inoltre, si sono impegnate a non sostenere la Forza di autodifesa curda siriana (YPG) – affiliata al Partito dei lavoratori del Kurdistan – e il movimento FETO del predicatore Fethullah Gülen.
La seconda cosa ottenuta da Erdogan era un po’ meno ovvia (probabilmente in forza delle nostre dimenticanze), ma sempre logica: la Finlandia e la Svezia hanno accettato di revocare l’embargo sulle armi alla Turchia precedentemente imposto in risposta alle azioni della Turchia in Siria nel 2019.
Direi che in entrambi i casi la vittoria diplomatica di Erdogan può anche essere considerata temporanea (almeno nel lungo periodo: in futuro nessuno impedisce, per esempio, a riavviare le discussioni sul destino dei curdi), mentre l’importante rafforzamento della NATO è permanente.
Tutti, compresi i nuovi due membri, ringraziano vivamente lo sponsor politico principale di tale rafforzamento. Conoscete benissimo il suo nome, quindi è inutile che io lo scriva ancora una volta.


I nuovi candidati all’UE

Come era facilmente prevedibile, ieri il vertice dei leader dell’UE ha concordato lo status di candidato all’UE per l’Ucraina e la Moldavia. Ha dunque seguito le raccomandazioni della Commissione europea.
Considerando che nel mondo esistono da tempo anche alcuni altri potenziali candidati allo status di candidato (sono abbastanza sicuro di Azerbaijan, Armenia, Bosnia ed Erzegovina, Georgia, Kosovo), vediamo ancora più facilmente che la scelta dei leader europei è motivata prevalentemente dalle questioni di sicurezza. Infatti, dopo l’Ucraina, la Moldavia rimane lo Stato della zona meno «protetto» da accordi internazionali (nonostante la «cooperazione» con la NATO).
L’aspetto per ora più interessante della notizia di ieri è invece il destino della Georgia. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha infatti annunciato che il vertice dell’UE ha riconosciuto la «prospettiva europea» della Georgia ed è pronto a concederle lo status di candidato una volta che la Georgia avrà soddisfatto una serie di condizioni. Il primo ministro georgiano Irakli Garibashvili, a sua volta, ha dichiarato che il suo Paese «merita lo status di candidato all’UE più di ogni altro candidato». Ma si è dimenticato di precisare che tutti i successi georgiani sulla strada verso la candidatura all’UE sono stati fatti sotto la presidenza di Mikhail Saakashvili (2004–2013). Quest’ultimo si trova ora in opposizione e – sostanzialmente di conseguenza – in carcere. Mentre i governanti georgiani di oggi hanno già disfatto una parte delle modernizzazioni della Georgia volute da Saakashvili.
A questo punto penso che l’Ucraina e la Moldavia non avranno molti concorrenti (o compagni di viaggio?) sulla loro lunga strada verso l’ingresso nell’UE.


Interpretare Medvedev

I tentativi dei giornalisti occidentali di dare una qualsiasi interpretazione alle parole di Dmitry Medvedev (l’ex premier, l’ex custode della sedia presidenziale, l’ex primo tra i collaboratori di Putin) sorprendono e fanno un po’ ridere allo stesso tempo.
Sorprendono e fanno ridere perché indicano chiaramente il grado della (in)competenza delle persone che sono state incaricate a scrivere della Russia.
Da oltre due anni ogni dichiarazione di Dmitry Medvedev — che a differenza di Putin sa usare anche l’internet — ha un obiettivo solo: ricordare della esistenza di chi la esprime. Da quando non ricopre più l’incarico del premier (dal 15 gennaio 2020) e non passa più il tempo libero in compagnia di Putin (dai tempi ancora più lontani), Medvedev si sente, non senza motivo, escluso dalla vita politica «seria» russa. Ma, ovviamente, vorrebbe tanto esservi riammesso. Quindi cerca di attirare costantemente l’attenzione del capo, tentando di apparire il più agguerrito, il più categorico e il più fedele di tutti.
Di conseguenza, dobbiamo ricordare che tutte le parole di Medvedev sono rivolte prima di tutto (o addirittura solo) a Putin. Ed è una cosa normalissima, le cose del genere succedono in ogni struttura gerarchica non democratica.
Avrei potuto anche ipotizzare che stia lottando per qualche incarico importante nella Russia post-putiniana, ma non vorrei dedicarmi troppo a ciò che per ora non è fondato su alcuna informazione certa.


Il piano della pace putiniana

Se io non conoscessi il partito di appartenenza del ministro di Maio, avrei pensato che il suo «piano per la pace in Ucraina» fosse la manifestazione di un improvviso colpo di pazzia (probabilmente dovuta al caldo di questi giorni). Infatti, è riuscito a esprimere – in soli quattro punti – un curioso mix tra gli «accordi di Minsk» (i quali sembravano essere scritti apposta per rimanere impossibili da rispettare) e le iniziali «proposte» della Russia per le trattative bilaterali Russia – Ucraina (proposte/richieste poi fortemente ridimensionate con l’emergere delle difficoltà dell’esercito russo nell’avanzare sul territorio ucraino).
Il «piano» presentato da di Maio sembra dunque molto più favorevole alla Russia che alla Ucraina. La prima avrà la possibilità di sostenere di avere raggiunto l’obbiettivo di scongiurare l’ingresso della Ucraina nella NATO… Ora trascuriamo pure due semplici fatti: 1) la NATO non voleva l’Ucraina prima del 24 febbraio; 2) non si capisce perché qualcuno debba decidere per uno Stato sovrano terzo sulla sua eventuale adesione alle alleanze varie.
L’Ucraina, invece, dovrebbe perdere – in base al «piano» italiano – il controllo su altri territori e la speranza di riavere il controllo sulla Crimea.
Io, in questo momento, non posso fare delle previsioni sulla reazione di Zelensky e di Putin di fronte a quei quattro punti. Ma posso prevedere altre due cose: 1) per una notevole parte del popolo ucraino l’accettazione di quel piano sarà una forma di resa; 2) il tentativo di fare contento Putin è una soluzione molto temporanea del problema. Infatti, accumulare le forze in uno Stato non democratico per una nuova guerra è molto più facile che ricostruire uno Stato di qualsiasi tipo distrutto dalla invasione militare già avvenuta.
E la nuova invasione chissà dove e quando inizia. Ma sicuramente inizia. Perché, per esempio, non è stato raggiunto l’obiettivo minimo putiniano di conquistare il passaggio via terra verso la Crimea «russa».
P.S.: capisco benissimo che di Maio non poteva proporre un qualsiasi piano in piena autonomia dal Governo. Mi stupisce quindi la grande ingenuità con la quale è stato accettato.


La festa della guerra

Ormai tutti sanno che oggi Vladimir Putin ha un po’ «deluso» le attese più pessimiste di molti analisti: tenendo il discorso alla parata militare per la Giornata della Vittoria non ha dichiarato la guerra alla Ucraina e al mondo, non ha dato il via alla mobilitazione di massa e non ha nemmeno detto di avere vinto qualche altra guerra o battaglia importante. Ha solo ribadito le proprie fantasie perverse sulla Russia circondata dai nemici.
L’aspetto preoccupante è un altro: ha ufficialmente e definitivamente trasformato una festa importante (anche se troppo militarizzata, statalizzata e storicamente un po’ artificiale) in una festa della guerra permanente tra la Russia e il mondo circostante. Da quasi vent’anni la propaganda statale sosteneva che l’URSS non avrebbe avuto degli alleati nella Seconda guerra mondiale e avrebbe «fatto tutto da sola». Ora quegli ex alleati – ai quali in realtà dovremmo essere grati per gli aiuti importantissimi – vengono apertamente accusati della politica aggressiva durante e dopo la «guerra fredda».
Di conseguenza, posso constatare che con la fine della Russia putiniana finirà inevitabilmente anche l’epoca della Giornata della Vittoria. Fino a pochi anni c’erano ancora delle persone che sognavano di trasformare quella festa militare in una giornata pacifica di lutto e di memoria. Ma ora che è diventata una festa di nuova aggressione nazista (perlopiù contro i territori che hanno già sofferto tanto durante la Seconda guerra mondiale), dovrà necessariamente essere cancellata nella futura Russia normale.
A questo punto, l’unica cosa costante è: la sola festa non ancora rovinata che la Russia ha ereditato dal passato è il 12 aprile, la Giornata della Cosmonautica.


La “lista dei 6000”

Se vi dovesse capitare, in questi giorni, di leggere della «lista dei corrotti e dei guerrafondai» russi (quasi sei mila nomi) stilata dai colleghi di Alexey Navalny al fine di segnalare all’Occidente i nomi dei futuri destinatari delle sanzioni personali, non illudetevi. Per ora si tratta di una lista molto, molto provvisoria. Infatti, anche una lettura non particolarmente attenta di quella proposta consente di notare una serie di imperfezioni. Per esempio, alcuni nomi vengono ripetuti in più sezioni della lista. Alcuni nomi, poi, evidentemente sono stati inseriti in fretta e per sbaglio (perché sono delle persone normali che tempo fa hanno avuto qualche forma di contatto con qualche organo di propaganda russa). Alcuni nomi apparentemente evidenti, al contrario, mancano.
Però si tratta dell’inizio di un lavoro importante. Un lavoro sulla ricerca di quelle persone che devono essere non «riprese» o «punite», ma fermate. Fermate per rendere impossibile il loro sostegno alla guerra in Ucraina e, quindi, avvicinare più possibile la fine della guerra stessa.


Il rascismo

Abbastanza prevedibilmente sulla Wikipedia è comparso l’articolo – disponibile già in 25 lingue – dedicato alla ideologia chiamata «rascismo». Metto il link alla versione inglese dell’articolo perché quella italiana non esiste ancora (penso che si tratti solo di una questione di tempo), mentre quella russa viene puntualmente cancellata o seriamente danneggiata, nei suoi contenuti, dai personaggi anonimi legati indovinate a chi.
Il suddetto articolo può e deve essere ampliato perché parla di un fenomeno ampio e importante (purtroppo) per la realtà socio-politica russa e internazionale. Ma già ora potete leggere la sua prima versione: è utile per farsi una idea generale dell’argomento.
L’unica cosa che in un certo senso mi ha sorpreso nell’articolo è la proporzione dello spazio dedicato alla figura di Aleksandr Dughin. Ammetto che si tratta di un personaggio che mi è fortemente antipatico per le sue idee – ma che deve comunque essere menzionato in quel contesto – ma allo stesso tempo non posso non riconoscere che nei suoi scritti e discorsi orali la forma prevale fortemente sui contenuti dal punto di vista quantitativo e qualitativo. In sostanza, è tecnicamente un buon oratore con pochi e mal approfonditi concetti teorici. Beh, la sproporzione potrebbe finire a essere superata in seguito.
Ora lascio tutti gli interessati alla lettura.
P.S.: ho scelto bene il giorno per scriverne…


Le illuminazioni

Ora che più o meno tutti hanno letto la (o sentito parlare della) intervista di Mario Draghi pubblicata ieri, posso dire che nel mondo c’è almeno una persona in più che ha finalmente capito tutto. Perché questa frase è un ritratto sintetico ma preciso di Vladimir Putin:

Comincio a pensare che abbiano ragione coloro che dicono: è inutile che gli parliate, si perde solo tempo.

Dopo averla letta, mi sono improvvisamente ricordato delle parole di Angela Merkel sullo stesso personaggio, dette – come sostengono i giornalisti – a Barak Obama: «non sono sicura che Putin abbia mantenuto il contatto con la realtà». Quel commento era stato pronunciato all’inizio di marzo del 2014, dopo una conversazione telefonica tra Merkel e Putin dovuta alla invasione russa della Crimea (la quale era in corso proprio in quel periodo).
Aspettiamo altri otto anni per la prossima illuminazione? O acceleriamo un po’ il ritmo?