Il martedì 12 novembre a Lisbona è stato inaugurato un monumento dedicato a Alexey Navalny. È una pietra con il nome, le date della nascita e della morte e la scritta «Non mollare mai» in tre lingue. Si trova a cento metri dall’edificio dell’ambasciata russa, in via Visconde de Santarém, 71. Eccolo:
Dal punto di vista puramente artistico – ma anche commemorativo – mi sembra un formato di monumento interessante. Infatti, assomiglia lontanamente alle cosiddette «pietre d’inciampo»: compatto e capace di stimolare l’interesse, dedicato pur sempre a una persona concreta. Allo stesso momento, è una via di mezzo tra un monumento tradizionale e una targa commemorativa su un muro (la quale, però, per tradizione avrebbe dovuto essere messa in un luogo in qualche modo legato alla vita del personaggio ricordato).
In generale, direi che si potrebbe prendere l’esempio e creare molti monumenti del genere in giro per il mondo, lasciando il formato del monumento classico ai personaggi di importanza più universale, «planetaria».
L’archivio del tag «navalny»
Non so se lo sapete (e non so se tutti sono interessati a saperlo), ma per il martedì 22 ottobre è programmata l’uscita – contemporaneamente in 36 Stati del mondo – del libro di memorie di Alexey Navalny (non è necessario raccontare chi sia stato e perché non c’è più). La scrittura del libro era iniziata nel 2020, quando Navalny si stava sottoponendo alle cure in Europa, dopo il tentato avvelenamento con il novichok. Ma avendo per ora letto solo alcuni frammenti resi noti in anticipo, non volevo parlarvi del libro. Il pretesto del post odierno è un’altra lettura.
Pochi giorni prima della pubblicazione delle memorie di Navalny, la sua vedova Yulia Navalnaya ha rilasciato una grande intervista al quotidiano britannico The Times, nel corso della quale, tra le altre cose, aveva detto «Non auguro a Putin di morire. Voglio che finisca in una prigione russa».
Ebbene (ebbene?), finire in una prigione russa di oggi è peggio di morire: significa trovarsi in una struttura (e, spesso in un clima) fisicamente inadeguata alla vita umana ed essere torturato quotidianamente dalla maggioranza delle guardie e dalla maggioranza degli altri detenuti che non si preoccupano (gli esponenti di entrambe le categorie) della vostra vita e personalità. Ma non sono assolutamente sicuro che Putin, una volta finito in una carcere russa (se per qualche miracolo dovesse succedere), sarà messo nelle condizioni comuni dalle guardie penitenziarie che proprio a lui devono tutto: il lavoro, lo status dei padroni della vita, delle certezze sul proprio futuro… So che Putin ha paura della presenza fisica delle altre persone nelle sue vicinanze e degli ambianti non sterilizzati ma, comunque, penso una carcere russa (quella attuale, ovviamente) per lui sarebbe un grande regalo.
Io, personalmente, gli auguro la sorte di Gheddafi, anche ritengo poco probabile pure questa opzione.
P.S.: il libro menzionato all’inizio del post è «Patriot», pubblicato dalla casa editrice Knopf. Uscirà anche in italiano.
Il media The Insider scrive di avere ottenuto l’accesso a «centinaia» di documenti ufficiali relativi alla morte del politico Alexey Navalny: a giudicare da quei documenti, «le Autorità hanno volutamente rimosso dai documenti i riferimenti ai sintomi che non corrispondevano alla versione ufficiale [ufficialmente pubblicata]».
In particolare, The Insider ha pubblicato le copie di due versioni della risoluzione sul rifiuto di avviare un procedimento penale, firmata dall’investigatore Alexander Varapaev. Entrambe le versioni del documento affermano che Navalny «ha avvertito un forte peggioramento della sua salute» e lo ha riferito all’ufficiale di servizio che lo ha portato dal cortile delle passeggiate al chiuso.
The Insider non specifica se altre «centinaia» di documenti dei quali è entrato possesso saranno resi pubblici, mentre le citazioni dei due documenti di cui sopra mi sembrano una prova un po’ povera. Allo stesso tempo, l’interpretazione di questa prova povera mi sembra credibile perché rientra nella logica degli eventi che conosciamo. Di conseguenza, non potevo non segnalarvi l’articolo di cui sopra.
Ieri, sei mesi dopo la morte di Alexey Navalny, la sua vedova Yulia ha ricevuto una sentenza che rifiuta l’apertura di un caso penale. Il documento è stato firmato dall’investigatore Alexander Varapaev: proprio quello che si era rifiutato di consegnare il corpo di Alexey alla sua madre aveva preteso che il funerale si svolgesse in segreto.
Il documento ricevuto da Yulia Navalnaya afferma che la causa del decesso sarebbe una malattia combinata e che la morte avrebbe un «carattere aritmogeno». La pressione sanguigna di Navalny sarebbe aumentata, innescando ulteriori processi che hanno portato alla sua morte. La pressione sanguigna sarebbe aumentata perché, come si legge nella sentenza, il politico soffriva di ipertensione arteriosa, che aveva già causato danni ai vasi sanguigni e agli organi.
Inoltre, il documento afferma che Navalny avrebbe avuto malattie e condizioni di comorbidità:
– pancreatite cronica
– colecistite cronica
– gastroduodenite cronica
– epatite cronica con cisti nei lobi destro e sinistro del fegato;
– osteocondrosi della colonna vertebrale lombosacrale;
– ernia del disco intervertebrale;
– protrusione posteriore del disco intervertebrale;
– sindrome radicolare;
– encefalopatia;
– sialoadenosi; sialoadenite;
– ghiandola del timo persistente;
– iperplasia prostatica benigna;
– presenza di Staphylococcus aureus e parvovirus nella trachea;
– presenza di herpes virus in entrambi i polmoni;
– presenza di herpes virus e parvovirus nella milza.
Più o meno tutte le cose elencate, come dicono i medici indipendenti dallo Stato russo, potevano e dovevano essere scoperte mentre Navalny era ancora in vita, nel corso dei vari controlli medici previsti dai regolamenti nelle varie fasi della sua vita carceraria (trasferimenti da un carcere all’altro o trasferimenti da un regime di detenzione all’altro). E dato che la lunga lista riportata sopra «salta fuori» solo ora, è logico presumere che sia stata inventata appositamente (e non in base alla autopsia) per il comunicato ufficiale fatto arrivare ai parenti di Navalny.
Insomma, sull’assassinio di Alexey Navalny non abbiamo saputo alcunché di nuovo. Abbiamo solo ricevuto la conferma che tenteranno di nascondere tutto fino all’ultimo.
Dato che in settimana c’era il primo compleanno di Alexey Navalny trascorso in sua assenza da questo mondo, sfrutto l’occasione postare pure un video che per qualche motivo non vi avevo segnalato a marzo: quello sulla partecipazione al funerale di Navalny. Con i sottotitoli in inglese:
Il video è stato realizzato dal media «Mediazona».
Un semplice dato di cronaca: oggi Alexey Navalny avrebbe compiuto 48 anni. Ed è il primo compleanno nella sua totale assenza.
Meno di quattro mesi fa è stato ucciso in carcere: mi sono accorto ora che non riesco a capire se sia passato poco o molto tempo. Come non riesco ancora a capire se vorrei più vedere comparire altre persone della sua portata o, al contrario, una veloce instaurazione di un mondo che non necessiti eroi.
Nel frattempo, faccio – mentalmente – gli auguri ad Alexey e a tutta la sua famiglia.
Questa volta «l’articolo del sabato» è quello racconta (elencando, per coloro che non le ricordassero, tutte le fasi fondamentali) come lavorava il team di Navalny prima della incarcerazione del politico, poi mentre egli era in carcere e, infine, cosa è cambiato dopo la sua morte.
In sostanza, è il racconto su una delle poche modalità praticabili rimaste di «fare la politica» interna russa, anche trovandosi fisicamente all’estero.
Secondo me negli ultimi mesi, se non anni, l’organizzazione fondata da Alexey Navalny si trova in una seria crisi, non dimostra di avere degli obbiettivi concreti sensati e sembra più orientata verso l’autopromozione finalizzata a sé stessa (quando non pubblica qualche video-«indagine» che palesemente colpisce più altri oppositori che i personaggi realmente problematici per la Russia e il mondo). Insomma, sta diventando una organizzazione abbastanza strana. Ma ai tempi della attività maggiore di Alexey Navalny (quando egli era ancora vivo e libero) era una organizzazione interessante, utile e importante.
È, dunque, utile leggere qualcosa sulle loro modalità di lavoro.
Il consiglio del 16° arrondissement di Parigi ha votato all’unanimità a favore della iniziativa dal senatore Francis Spiner (capo del 16° distretto fino al 2023) di intitolare una via a Alexey Navalny (lʼavenue Alexeï Navalny).
Si dice che si tratterrebbe dell’avenue Chantemesse, vicino alla quale si trova l’Ambasciata russa. Si vede chiaramente manifestarsi e diffondersi una tradizione nata quasi nove anni fa, quando in varie capitali occidentali, vicino alle ambasciate russe hanno iniziato a dedicare diverse piazze e vie a un altro oppositore russo ucciso da Putin: Boris Nemtsov. Per me non solo è una tradizione bella, ma è anche un modo giusto di prendere un po’ in giro Putin… Ma, allo stesso tempo, spero che non ci siano altre occasioni per continuarla!
La rivista Time ha pubblicato la sua tradizionale lista delle «100 persone più influenti del 2024». Come al solito, riconosco senza sforzare particolarmente la memoria solo pochi personaggi menzionati. La maggioranza di questi si trova, almeno nella edizione 2024, nella categoria «leaders».
Ovviamente, la persona che conosco meglio (non personalmente!) e da più tempo è Yulia Navalnaya, la vedova di Alexey Navalny. La sua presenza nella lista – evidenziata dal Time in tutti i modi possibili – può essere vista in almeno due modi.
In primo luogo, è la chiara dimostrazione del fatto che Alexey Navalny, ucciso già due mesi fa e sepolto in un cimitero moscovita di minima importanza, continua a essere un politico influente in Russia e nel mondo. Influente per la sua visione del futuro di uno degli Stati più grandi e (in questo momento purtroppo) importanti al mondo, influente per i suoi metodi politici e per la capacità di comunicare con il mondo circostante. L’inserimento della sua vedova nella lista delle cento persone più influenti al mondo è, in questo momento storico, un omaggio soprattutto a lui.
In secondo luogo, si tratta di un «premio» anticipato: Yulia ha promesso, già il giorno della notizia della morte di Alexey, di continuare la missione del marito e sta facendo i primi passi importanti su questa strada. Non sappiamo ancora se e in quale misura ci riuscirà, ma pure il Time ha deciso di incoraggiarla. Come in relazione al primo punto, direi che ha fatto bene.
Auguri a Yulia Navalnaya. Auguri a Alexey Navalny.
Intanto, ieri il tribunale della città (russa) di Labytnangi ha chiuso il procedimento sulla causa amministrativa contro la colonia e il Servizio penitenziario federale per l’erogazione impropria di cure mediche ad Alexey Navalny. La causa era stata presentata dalla madre di Alexey, Lyudmila Navalny, in seguito alla morte di Navalny avvenuta – come è stato ufficialmente comunicato dallo Stato russo – «per un improvviso malore». Il tribunale ha ritenuto che solo lo stesso Navalny potesse costituirsi parte civile nel caso. Logico, vero?
La vedova di Navalny, Yulia Navalnaya, ha dichiarato (direi, logicamente) che il caso è stato chiuso per un unico motivo: «al processo dovevano fornire documenti e video di quanto accaduto il 16 febbraio».
Mentre io aggiungo che si tratta anche di una banale scelta «razionale», almeno dal punto di vista chi l’ha presa: abbiamo la possibilità di fatto di non sprecare le forze per giustificarci, e allora non le sprechiamo.
Ora siete un po’ più informati sul funzionamento della «giustizia» russa contemporanea.