Il gruppo rock sovietico Gorky Park è stato un fenomeno stranissimo e, come potrei immaginare ora, non destinato a un successo duraturo a causa di tutte le sue particolarità. Prima di tutto, è un gruppo perfettamente artificiale, inventato e raccolto da un manager (Stas Namin, un personaggio a sua volta molto particolare in tutti i sensi). Si tratta dunque di una nascita abbastanza anomala: solitamente sono i gruppi pop a essere creati dai manager, mentre i gruppi rock nascono nelle cantine o nei box, per volontà di amici o conoscenti che condividono gli stessi interessi per la musica più sensata e «impegnativa». L’unica eccezione fortunata alla regola che conosco io sono i «The Rollig Stones», creati da Andrew Loog Oldham come gli anti-«The Beatles».
In secondo luogo, per il volere del manager il gruppo Gorky Park è stato fin da subito pensato come un prodotto destinato al mercato estero (in particolare gli USA). Se inizio a spiegare tutti i motivi di questa scelta, mi viene un manuale di sociologia sovietica, quindi passo subito all’aspetto culturale che volevo sottolineare. Il gruppo è stato sempre caratterizzato da una immagine che potremmo definire «kitsch russo»: esso consisteva nell’abbigliamento pseudorusso, l’uso massiccio della simbologia sovietica e degli strumenti musicali stilizzati («balalaika elettriche» etc).
Nonostante tutto questo – ma in parte anche grazie a – il gruppo ottenne un certo successo negli USA e una parte dell’Europa. Una parte della popolarità, sicuramente, fu dovuta anche all’interesse verso le persone provenienti da uno degli Stati più particolari di quel momento storico.
Quindi oggi ho pensato di postare due canzoni dal primo album dei Gorky Park: l’unico prodotto non solo dalla formazione originale, ma anche sotto la direzione del manager-creatore.
La prima canzone scelta è quella più nota: «Bang» (dall’album «Gorky Park» del 1989):
Mentre la seconda è la «My Generation» (sempre dall’album «Gorky Park» del 1989):
Nel 1990, a causa di alcuni conflitti interni, il cantante Nikolai Noskov lasciò il gruppo. I restanti tre membri del «Gorky Park», convinti delle proprie capacità e popolarità, decisero di sbarazzarsi del manager-creatore e di rimanere illegalmente negli USA dopo la scadenza dei visti. Tuttavia, non riuscirono più a produrre delle canzoni della stessa popolarità di prima. Di fatto, il gruppo si sciolse abbastanza velocemente e tutti i componenti si ridussero al pop più o meno schifoso. Da oltre vent’anni vivono tutti in Russia.
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Milij Balakirev è uno dei più noti compositori classici non professionisti russi. Come la maggioranza dei suoi colleghi, non svolse nemmeno gli studi musicali rilevanti dal punto di vista accademico (frequentò la Facoltà di Matematica della Università di Kazan senza però laurearsi). Ma, a differenza di alcuni colleghi non professionisti, dedicò quasi tutta la sua vita professionale alla musica: insegnò il pianoforte, diresse la Scuola musicale gratuita imperiale prima e la Cappella accademica statale poi, in alcune occasioni diresse l’orchestra sinfonica patrona dalla famiglia zarista.
In qualità di compositore non scrisse tantissimo, me nemmeno poco.
Per il post musicale di oggi ho scelto probabilmente non la più ovvia tra le sue composizioni, ma una delle mie preferite: il poema sinfonico «Tamara». La versione del video è suonata dalla Orchestra Sinfonica di Montréal (direttore Kent Nagano):
Il gruppo statunitense Weather Report è stato uno degli esponenti più noti del jazz fusion e, nel periodo iniziale, formato da una parte dei musicisti-collaboratori di Miles Davis. Negli anni la formazione del gruppo è cambiata molto; un po’ è variata anche la qualità della musica. Ma per il post musicale di oggi ho selezionato due brani del loro primo album «Weather Report» (del 1971).
Il primo brano è «Umbrellas»:
E il secondo brano è «Tears»:
Un giorno del 1919 la madre di Samuel Barber, un ragazzo di nove anni, trovò sulla propria scrivania una lettera del figlio:
Dear Mother: I have written this to tell you my worrying secret. Now don’t cry when you read it because it is neither yours nor my fault. I suppose I will have to tell it now without any nonsense. To begin with I was not meant to be an athlet. I was meant to be a composer, and will be I’m sure. I’ll ask you one more thing. – Don’t ask me to try to forget this unpleasant thing and go play football. – Please – Sometimes I’ve been worrying about this so much that it makes me mad (not very).
Effettivamente, Samuel fu un ragazzo insolito ed ebbe, per la sua fortuna, una brava madre che seppe leggere la lettera e non le lettere. Samuel Barber riuscì dunque a studiare seriamente la musica e diventare un buon compositore.
Nel 1936 compose «Adagio per archi», ritenuto «una delle composizioni più tristi della musica classica». Io ho scelto la versione della orchestra Los Angeles Philharmonic diretta da Leonard Bernstein:
Per farvi sentire qualcosa decisamente meno triste, aggiungerei in qualità della seconda composizione il «Copricorn Concerto» del 1944 (suona la Pacific Symphony Orchestra).
Dedicarsi a ciò che piace non è sempre una brutta idea.
All’inizio di febbraio mi ero promesso di dedicare i singoli post musicali ai componenti del duo Simon and Garfunkel.
Oggi è arrivato il turno di Art Garfunkel e non posso non constatare che questi, a differenza del serio Paul Simon, ha sempre mostrato nella propria attività da solista delle tendenze troppo pop. Non dovremmo stupircene troppo: tutta la qualità dei testi e della musica del vecchio e glorioso duetto era garantita esclusivamente dall’impegno del suo amico-collega.
Tentando di trovare qualcosa di serenamente ascoltabile, ho selezionate le seguenti due canzoni di Art Garfunkel.
La prima canzone è «Another Lullaby» (dall’album «Angel Clare» del 1973):
E la seconda è «Crying in My Sleep» (dall’album «Watermark» del 1977):
Da oltre dieci anni Art Garfunkel ha dei continui problemi con la voce (ma ha anche una certa età) e quindi non canta quasi più. Ma io preferisco che entri nella storia musicale – meritatamente! – come la voce alta di Simon and Garfunkel.
La Sinfonia n. 3 in mi bemolle, detta Eroica, fu composta da Ludwig van Beethoven tra il 1802 e il 1804 e dedicata dall’autore stesso a Napoleone Buonaparte. In quegli anni, infatti, il destino e l’attività eroica del generale francese furono ancora largamente ammirati in tutto il mondo occidentale. L’auto-incoronamento a imperatore fu però un gesto che fece perdere – almeno al compositore tedesco – il resto di quei sentimenti positivi. Beethoven tolse dunque il nome di Napoleone dalla partitura e inserì quello del principe boemo Joseph Franz Maximilian von Lobkowicz.
La cosa che personalmente io trovo molto strana è il fatto che in qualità dell’inno europeo sia stata scelta un’altra sinfonia di Beethoven. Eppure, nonostante una notevole quantità degli aspetti negativi, Napoleone Buonaparte fu il primo ideatore di quella entità territoriale che oggi conosciamo con il nome di Unione Europea. In più, molti Stati dell’UE vivono ancora nei contesti giuridici e culturali ereditati dall’operato di Napoleone…
Insomma, come ben sapete, oggi è la Festa dell’Europa. Mentre martedì era l’anniversario della morte di Napoleone. Quindi oggi è il giorno ideale per ascoltare la Sinfonia n. 3 «Eroica» di Ludwig van Beethoven.
La lunga quarantena mondiale stimola molte persone a creare qualcosa di nuovo, a realizzare qualche vecchio piano lavorativo, finire un progetto archiviato tempo fa o, semplicemente, decidere di pubblicare qualcosa che altrimenti sarebbe rimasto nel cassetto per chissà quanti altri anni (forse per sempre).
Tutto questo vale anche per i musicisti che non hanno potuto svolgere la loro attività professionale quotidiana: concerti, tour o registrazioni in studio. Ma la creatività — non solo quella musicale — non si spegne con un tasto come un computer. Nel corso della quarantena molti musicisti hanno saputo pubblicare qualcosa di nuovo. Quindi oggi nella mia rubrica musicale propongo due dei tantissimi esempi scoperti nelle ultime settimane.
L’esempio numero uno. Per la prima volta dal 2012 i The Rolling Stones hanno pubblicato una canzone nuova: «Living In A Gost Town»:
L’esempio numero due. Per la prima volta dal 2016 i Kings of Leon hanno pubblicato una canzone nuova: «Going Nowhere»:
E chissà quanta musica nuova è stata scritta in attesa della riapertura degli studi.
Qualcuno dei lettori potrebbe avere visto, nei giorni scorsi, quel video realizzato dalla polizia finlandese con il cantante lirico e poliziotto Petrus Schroderus che canta la canzone «Rakastan sinua, elämä» camminando per la città vuota.
Non tutti sanno, però, che si tratta della traduzione di una canzone russa del 1956. In originale essa si chiama «Ti amo la vita» («Я люблю тебя, жизнь»); fu scritta per il noto cantante Mark Bernes, ma una delle sue interpretazioni più famose è del cantante Georg Ots:
So che nel 1963 erano state registrate in URSS anche le versioni in inglese («I’m in Love With You, Life») e in francese («Oui, je t’aime, la vie»), ma non le ho ancora trovate su YouTube.
Non ho mai capito perché così tante persone trovano difficile da ascoltare la musica di Charles Camille Saint-Saëns… Certo, nel corso di tutta la sua lunga carriera da compositore, Saint-Saëns è sempre stato un innovatore (forse da giovane lo è stato in una misura un po’ più grande), ma dal punto di vista melodico e ritmico non produceva delle cose impossibili da seguire. Anzi, in alcune occasioni tenderei a pensare proprio l’opposto.
Ma, in ogni caso, non pretendo di apparire un grandissimo esperto. Anche per questo oggi nella rubrica musicale metto due sue composizioni famosissime.
La prima è «Le Carnaval des animaux» suonato dalla Symphony Orchestra of The Stanisław Moniuszko Music School in Wałbrzych:
E la seconda è «Le danse macabre» suonata dalla Orchestra Filarmonica della Radio France:
Nella storia musicale esistono due «edizioni» di Chris Rea: pre- e post malattia. Nella seconda fase della sua carriera musicale – più o meno dall’inizio degli anni 2000 – Rea mostra delle tendenze più nette al blues. Proprio a questa fase è dedicato il mio post musicale di oggi.
La prima canzone selezionata è la «Dancing the Blues Away» (dall’album «Stony Road» del 2002):
E la seconda è «The Last Open Road» (dall’album «Santo Spirito Blues» del 2011):



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