Nel tentativo di selezionare qualcosa di leggero, ma allo stesso tempo anche di buona qualità, ho pensato che per il post musicale di questo sabato possa andare bene la collaborazione dei due classici del jazz: il chitarrista George Benson e il compositore-pianista Joe Sample.
Prima di tutto metto il brano «Deeper Than You Think»:
E poi aggiungo il brano «Lately»:
Spero che abbiano portato un po’ di serenità anche a voi.
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Il compositore, direttore d’orchestra e violoncellista prussiano Jacques Offenbach viene logicamente considerato un musicista francese: tutta la sua vita artistica, a partire dal periodo degli studi al conservatorio parigino, è trascorsa quasi totalmente in Francia. E, nonostante un periodo psicologicamente ed economicamente difficile tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 (del XIX secolo) – quando era sostanzialmente considerato un simpatizzante del nemico sia in Francia che in Germania – è sempre rimasto un compositore e musicista apprezzato in tutto il mondo. Lo è ancora oggi. Ancora oggi viene ricordato e riconosciuto come il fondatore e il maggior rappresentante dell’operetta francese.
L’operetta, però, è un genere troppo leggero e spensierato per i miei gusti. Inoltre, le composizioni di questo genere mi sembrano difficilmente pubblicizzabili attraverso il format che ho adottato già da tempo sul sito (anche se fino al 1858 Offenbach aveva la possibilità economica/organizzativa di pubblicare ed eseguire solo le operette da un atto). Di conseguenza, per il post musicale di oggi ho pensato di selezionare qualche sua composizione più seria. Da un certo punto di vista è meglio così: un bravo artista va ricordato anche per le sue creazioni non commerciali.
La prima composizione selezionata per oggi è la «Introduction et valse mélancolique» per violoncello e pianoforte (composta nel 1839):
La seconda composizione selezionata per oggi è la «Les Belles Américaines» (composta durante la tournée statunitense di Offenbach nel 1976):
Mi sa che è stato comunque un post un po’ leggero.
Quasi tutti i miei post musicali degli ultimi anni sono dedicati ai musicisti e cantanti occidentali: questo fenomeno statistico mi sembra abbastanza normale.
Altrettanto normale sarebbe, però, informare i miei lettori anche di qualche rappresentante delle culture geograficamente lontane. Per esempio: qualche settimana fa ho saputo, quasi per caso, della esistenza del gruppo folk-metal mongolo The Hu (da non confondere con un noto gruppo britannico degli anni ’60 e ’70 ahahaha). Il gruppo si è formato nel 2016 nella capitale mongola Ulan-Bator, il suo nome è un riferimento alla parola mongola hun (uomo). La musica del gruppo si caratterizza con l’uso del canto di gola e degli strumenti musicali nazionali mongoli: morin khuur (uno strumento ad arco con due corde) e tovshuur (una specie di chitarra a due o tre corde).
Per ora The Hu hanno pubblicato solo due album. Io ho pensato di selezionare, per il post odierno, un brano da ognuno degli album.
Il primo brano selezionato per oggi è «Wolf Totem» (dall’album «The Gereg» del 2019):
Il secondo brano selezionato per oggi è «Bii Biyelgee» (dall’album «Rumble of Thunder» del 2022):
Nemmeno voi conoscevate il gruppo? Allora vi siete appena accorti di avere perso tantissimo! Ahahaha
Mancano appena due giorni alla festa più allegra dell’anno, quindi dobbiamo prepararci ad affrontarla con tutti i mezzi possibili e immaginabili. Anche con la musica adatta…
Per esempio, potremmo ascoltare qualche composizione legata al tema della danza macabra… Dopo alcuni ragionamenti – in realtà non particolarmente intensi – sono giunto alla conclusione che non è necessario tentare di essere troppo originale: posso far (ri)ascoltare la «Homo fugit velut umbra». Si tratta di una delle opere musicali più datate sull’argomento; non si ha una assoluta certezza sul nome del suo reale autore, quindi viene attribuita al compositore italiano del XVII secolo Stefano Landi. L’interpretazione a noi contemporanea più nota e citata è quella di Marco Beasley accompagnato dal «gruppo» l’Arpeggiata:
Non è male, sicuramente meglio di tante altre versioni che mi è capitato di sentire, ma troppo facilmente riesco a immaginarla cantare da qualcuno che ha più voce.
Sto ancora cercando l’interpretazione ideale per i miei gusti (sperando che esista da qualche parte) e nel frattempo aggiungo al presente post musicale, in qualità del tradizionale secondo brano, una composizione per l’orchestra abbastanza famosa.
Infatti, ho pesato di ricordarvi il poema sinfonico «Danse macabre» composto nel 1874 dal compositore francese Camille Saint-Saëns. In particolare, Saint-Saëns si ispirò alla poesia «Égalité-Fraternité» (del poeta Henri Cazalis), nella quale viene descritta la danza degli scheletri al cimitero accompagnata dal battito dei tacchi e dal suono del violino eseguiti dalla Morte. Il compositore ha tradotto la poesia in musica creando una sorta di dialogo tra il violino solista (su cui la Morte suona un valzer) e lo xilofono (che simboleggia il suono delle ossa di scheletri danzanti), accompagnato da violoncelli e contrabbassi, che suonano sempre più forte.
Ecco, per oggi è andata così. Buon Ciaowindows a tutti.
Solo in base all’umore del momento ho pensato di scegliere qualcosa di molto classico per il post musicale di questo sabato… E alla fine ho scelto quasi a caso: il concerto per violino e orchestra n. 1 di Niccolò Paganini, composto (probabilmente) tra il 1817 e il 1818. Questa esecuzione della Detroit Symphony Orchestra, diretta da Jader Bignamini e con il violino di Augustin Hadelich, non è male:
Facciamo che sia un modo di prepararsi al 240-esimo anniversario dalla nascita di Paganini, nato il 27 ottobre 1782.
Una delle canzoni più famose del gruppo Mountain è la «Mississippi Queen», nata dall’unione delle musiche e dei testi scritti in un primo momento – precedente alla creazione del gruppo – separatamente dal batterista Corky Laing e dal chitarrista Leslie West. La canzone era arrivata alla posizione 21 della Billboard Hot 100; fa parte dell’album «Climbing!» (del 1970) dei Mountain.
Successivamente, tantissimi gruppi e cantanti hanno pubblicato le proprie interpretazioni di questa canzone. Alcuni di loro sono riusciti a produrre delle versioni interessanti. Per esempio, Ozzy Osbourne ha incluso la propria versione della «Mississippi Queen» nell’album delle reinterpretazioni delle famose canzoni dei vari gruppi degli anni ’60 e ’70 del XX secolo «Under Cover» (uscito nel 2005). Direi che è venuta una canzone di Osbourne stilisticamente riconoscibile.
Un’altra versione della «Mississippi Queen» che potrei proporre è quella del gruppo rock statunitense Ministry: nel 2008 avevano incluso la propria interpretazione nell’album «Cover Up» (anche esso composto interamente dalle cover). In particolare, questa sembra una versione classificabile come «rock modernizzato»: non saprei inventare una definizione che renda meglio la mia idea…
E poi esistono tante altre versioni che non pubblico solo perché non voglio farvi stancare. I melomani più resistenti e/o interessati possono fare delle ricerche in proprio.
Paul Hindemith è uno dei più importanti compositori tedeschi della prima metà del XX secolo. Volevo scrivere «compositori classici», ma non sono ancora del tutto convinto sulla opportunità di applicare a egli proprio di quella espressione.
Per fortuna, la classificazione e le definizioni sono quelle cose che mi interessano meno della musica. Prima di tutto, la musica deve essere bella e interessante. Paul Hindemith riusciva a rendere la propria musica bella e interessante in un modo suo: molto spesso componeva per quelle combinazioni degli strumenti classici fino a quel momento considerate insolite. Potrei utilizzare proprio questa particolarità del compositore in qualità del criterio di scelta della musica da postare.
Inizierei dunque dalla sonata per contrabasso e pianoforte (composta nel 1949):
E poi aggiungo la sonata per trombone e pianoforte (composta nel 1941):
Per me la musica di Paul Hindemith è particolare, ma interessante.
Il brano strumentale «Cat’s Squirrel» è stato eseguito e registrato, nel corso degli anni, da diversi gruppi rock e blues-rock. Tutti quei gruppi hanno accompagnato il titolo del brano con una nota strana: «una canzone popolare inglese». Mentre in realtà, come ben sanno gli esperti del blues, il prototipo di tale brano è il «Mississippi Blues», registrato nel 1953 dal bluesman Charles Isaiah Ross (noto anche come Dr. Ross):
Il nuovo nome del brano, quello pseudo-popolare-inglese, è comparso per la prima volta sulla copertina dell’album dei Cream «Fresh Cream» del 1966. Ecco la loro interpretazione:
Nel 1968, poi, sono stati i Jethro Tull a includere il brano, sempre con il nome «Cat’s Squirrel», nel proprio album del debutto «This Was».
Poco dopo la pubblicazione del primo album, il gruppo è stato lasciato da uno dei fondatori: Mick Abrahams. Quest’ultimo ha fondato, nello stesso 1968, il gruppo Blodwyn Pig. Anche con questo secondo gruppo ha spesso suonato il brano «Cat’s Squirrel»:
Il brano è stato suonato anche da alcuni altri gruppi, ma non vorrei appesantire troppo il post musicale di oggi. Forse un’altra volta…
Alla corte reale britannica esiste la figura del Master of the Queen’s Music (o Master of the King’s Music). Tale incarico fu creato nel 1626 dal re Carlo I. Il titolare dell’incarico fu originariamente al servizio del monarca d’Inghilterra, dirigendo l’orchestra di corte e componendo o commissionando musica secondo le necessità. Al giorno d’oggi, invece, l’incarico viene ricoperto da persone che si distinguono nell’ambito della musica classica, quasi sempre da compositori. Così, la Regina Elisabetta II ha nominato – durante il proprio regno – quattro Maestri della Musica della Regina, trasformando la nomina a vita in una nomina decennale: al fine di rendere l’incarico più attraente per i compositori contemporanei.
Nel 2014 Elisabetta II ha nominato, per la prima volta nella storia, una donna all’incarico di Master of the Queen’s Music: la compositrice britannica Judith Weir. Le tendenze musicali di Judith Weir sono abbastanza conservatrici, ma i critici musicali sostengono che la signora «sa come rendere misteriose le idee musicali semplici in modi nuovi». Purtroppo, solo gli eventi di cronaca recenti mi hanno spinto ad ascoltare qualche composizione di Weir. Ora provo a condividere con voi due degli esempi scoperti.
Inizio con la «Love Bade Me Welcome» su testi di George Herbert, un poeta metafisico e paroliere spirituale inglese del XVII secolo:
La seconda composizione di Judith Weir selezionata per oggi è la «Ascending into Heaven»:
E ora un Bonus Track: Continuare la lettura di questo post »
Nel corso delle ultime due settimane mi capitato di (ri)ascoltare – per un motivo triste – diverse canzoni occidentali dedicate a Mikhail Gorbachev. In tal modo mi sono ricordato di alcuni esempi notevoli del trash epocale (come, per esempio, la canzone «Tovarish Gorbachev» dei Midnight Moscow pubblicata nel 1987 o la canzone «Clap Your Hands (Michael Gorbachev)» del 1988 di Eva Csepregi). Ma, allo stesso tempo, mi sono ricordato anche di alcuni brani relativamente ascoltabili. Quindi provo a riportare due esempi di questi ultimi nel post musicale di oggi.
Inizierei con il gruppo The Shamen, che ha incluso il brano «In Gorbachev We Trust» nel proprio album omonimo del 1989. Sovrapponendo i ritmi ai filmati dei telegiornali, gli indie-rockers scozzesi hanno suggerito di vedere il leader sovietico come un guru spirituale il cui messaggio porta «giovinezza e libertà», mentre la sua comparsa sulla scena politica come il secondo avvento.
E poi aggiungerei il popolare video musicale/comico «Rock the Wall – Gorby 2» di Ronald Knapp (il vincitore del concorso americano per i sosia di Gorbaciov, che ha recitato con successo il Segretario Generale in programmi televisivi e cerimonie). Faccio notare che il video è stato realizzato nel 1987: due anni prima del crollo del muro di Berlino.
Bene, il post di oggi è stato più storico che musicale, ma abbiamo comunque ripassato un po’ di storia culturale del XX secolo.