Il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione che condanna la partecipazione del regime di Alexander Lukashenko all’aggressione militare «ingiustificata, illegale e non provocata» della Russia contro l’Ucraina.
Tutte le motivazioni – numerose – della risoluzione possono essere lette sulla apposita pagina ufficiale.
Mentre io sono quasi pronto a esprimere le mie condoglianze a Lukashenko. Per tutta la sua carriera politica aveva cercato di ottenere qualcosa da due «fronti» politici in mezzo ai quali si trova (la Russia e l’Europa). Cercava di rimanere l’ultimo dittatore, ma utile a tutti per guadagnare un po’ da tutte le parti. Ma nel 2022 – e nemmeno nel 2023 – non poteva esprimere la contrarietà alla guerra perché immaginava troppo facilmente tutte le conseguenze per la propria persona e per il proprio regime (Putin avrebbe punito subito). Ha cercato di apparire più neutrale possibile, ma non si è comunque salvato dalla condanna europea.
Non so se sarà capace di cercare l’origine del fallimento nel proprio comportamento degli ultimi decenni.
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Una settimana fa Alexander Lukashenko ha raccontato a Putin che egli (Lukashenko) era «in tensione» con i combattenti della PMC Wagner schierati in Bielorussia, perché quelli volevano «andare a fare un giro a Varsavia». Mentre ieri lo stesso Lukashenko ha definito la propria dichiarazione di prima come uno scherzo.
Perché all’improvviso, senza un apparente motivo, avrebbe deciso di rinunciare all’opportunità di continuare a presentarsi come un eroico «spartano» sulla strada dei «cattivi» (realmente cattivi)?
Naturalmente non lo so, ma posso supporre che qualcuno abbia fatto intendere a Lukashenko che si stava preparando un attacco a uno Stato membro della NATO dal territorio del suo Stato e addirittura nelle condizioni del pieno possesso delle informazioni necessarie da parte sua. Qualcuno gli ha ricordato cosa potrebbe accadere a un Paese che lascia passare o invia degli «escursionisti» armati a «fare un giro» sul territorio della NATO. Lukashenko ha dunque avuto paura: sa che il grande vicino orientale ha già abbastanza problemi militari, quindi potrebbe non essere in grado di proteggerlo.
Ha avuto paura e ha pubblicamente rovesciato il proprio discorso: «in realtà non sapevo nulla, stavo solo scherzando». Insomma, ha «salvato» la propria faccia ben nota e riconoscibile da tempo.
Non so se questo lo possa aiutare.
Provo a schematizzare le mie prime considerazioni… Per capire appieno quella iperveloce «rivolta» di Evgeny Prigozhin che sabato ha scosso un po’ tutto l’Occidente, bisogna capire le motivazioni di almeno quattro suoi protagonisti.
1. Evgeny Prigozhin. Bisogna ricordare che non è un personaggio pubblico né dal punto di vista attivo né da quello passivo. Questo significa che utilizza i social media per rivolgersi alle persone le cui attenzione e reazione gli interessano, ma non cerca il consenso popolare (anche se, ovviamente, c’è chi lo legge); allo stesso tempo, non è un personaggio pubblico dal punto di vista passivo perché i mass media russi ne parlano poco (al massimo dicono «guardate cos’altro ha detto quel pazzo»); più una testata è vicina allo Stato e meno parla di Prigozhin. In generale, si può dire che il personaggio è molto più noto e seguito in Europa che in Russia.
Ovviamente, in Russia non è necessario essere noto e/o popolare per conquistare e mantenere il potere. È sufficiente conquistare i principali posti di comando a Mosca. A quel punto la maggior parte della popolazione resterà totalmente indifferente al cambio del «capo» (sì, c’è questo interessante fenomeno sociale che può essere riassunto con la frase «l’importante è che mi lascino stare»), mentre l’esercito, le forze dell’ordine e i vari dipendenti statali cercheranno di puntare sul candidato al potere più probabile. La storia insegna che in Russia succede così da secoli.
Il problema è che Prigozhin, non essendo interessato alla vita pubblica in generale e agli impegni istituzionali in particolare, non aveva iniziato la «rivolta» per conquistare il potere. A Prigozhin interessano due cose: i soldi (da sempre) e la sicurezza personale (in un modo particolare negli ultimi mesi). I soldi costituiscono il motivo principale del suo lungo conflitto con il ministro della «Difesa» Shoigu: anni fa, molto prima della guerra in Ucraina, Prigozhin aveva tentato (come si deduce da alcuni indizi) diventare uno dei fornitori principali del cibo all’Esercito russo. Potete immaginare facilmente che si trattava di contratti molto ricchi. Ma quei contratti non erano stati ottenuti, quindi era iniziato quel conflitto con il ministro che durante la guerra in Ucraina ha messo a rischio la sicurezza fisica di Prigozhin. Infatti, egli ha fatto delle promesse a Putin, ma da un certo punto in poi non si è più sentito in grado di mantenerle: non sa più dove prendere altri combattenti e altre munizioni (molte munizioni non vengono fornitegli proprio dal Ministero di Shoigu). Di conseguenza, già mesi fa comprende il rischio di essere nominato un «traditore di Putin» e «colpevole degli insuccessi militari in Ucraina». Comprende che la minaccia per la sua vita arriva proprio da Putin, quindi tenta di salvarsi.
Purtroppo per lui, si è dimenticato che accettando la «proposta di Lukashenko», si è creato un nemico eterno. Infatti, Putin non dimentica e non perdona: finché è in vita, cercherà di punire il «traditore» Prigozhin. Ha dei mezzi per farlo in qualsiasi punto del pianeta.
2. Vladimir Putin. Probabilmente lo sapete anche senza di me, ma a Putin nella vita pubblica piacciono almeno due cose: essere associato solo alle notizie positive e apparire un tipo duro. Non ha mai parlato degli insuccessi militari in Ucraina (gli insuccessi sono la colpa dei generali, mentre le vittorie sono il merito di Putin), si era nascosto da qualche parte nei periodi meno favorevoli per l’Esercito russo e, inizialmente, non aveva reagito alla «rivolta» di Prigozhin. Ma la mattina del sabato 24 giugno era apparso in televisione con un discorso debolissimo. Anziché dire qualcosa come «Fottuto Prigozhin, ti do due ore per sparire, poi mi incazzo sul serio!», ha iniziato quasi a piangere del tradimento… Alla fine, avendo paura di fallire pubblicamente, non ha voluto nemmeno combattere o trattare con Prigozhin per il proprio potere. E ha affidato tutto a Lukashenko.
3. Sergey Shoigu. Ho già menzionato il suo lungo conflitto con Prigozhin. Ma ora ci interessa per un motivo molto più curioso: da mesi (forse anche da più mesi di noi) sapeva dell’aggravarsi dei rapporti con il capo di una grande banda armata, ma l’intero Esercito (del quale è Ministro) non si è preparato in alcun modo agli eventuali problemi. Non vedeva alcun pericolo? Allora è un cretino che debba essere ricoverato al più presto. O, forse, cerca di non farsi attribuire tutte le colpe per gli insuccessi in Ucraina passando per pazzo?
4. Aleksander Lukashenko. Sicuramente ora è felice come mai (tranne un giorno degli anni ’90) è stato nella propria vita: ha fatto un enorme favore a Putin, gli ha salvato la faccia, e ora può pretendere altri aiuti economici (li pretende da quando è al potere) fino alla fine dei giorni presidenziali di Putin. E/o dei propri. Si vedrà.
A questo punto vi concedo una pausa perché il testo è venuto un po’ troppo lungo.
Bene, per la seconda giornata di fila scrivo di Alexander Lukashenko.
Questa è la sua foto del 9 maggio 2023 scattata durante la parata sulla Piazza Rossa a Mosca:
Mentre questa sarebbe la sua foto scattata ieri, il 15 maggio 2023, a Minsk (dopo le voci riguardanti la sua prolungata assenza):
Lasciando da parte le reazioni e le emozioni che provoca la seconda foto, riconosco di essere vicino al chiedermi se si tratti di a) della stessa persona, b) di due persone. Sì, punto.
Ieri pomeriggio alcuni giornalisti si sono accorti che il presidente bielorusso autoproclamato Alexander Lukashenko – che non appare in pubblico dal 9 maggio – non si è presentato nemmeno al festeggiamento ufficiale della Giornata della bandiera, dello stemma e dell’inno, che si celebra in Bielorussia il 14 maggio. Il 9 maggio Lukashenko aveva partecipato alla parata per il Giorno della Vittoria a Mosca, ma ha saltato una colazione informale con il Presidente russo Vladimir Putin e, a quanto pare, sarebbe partito in anticipo per Minsk a causa di problemi di salute. In molti ipotizzano ora che Lukashenko sia gravemente malato o addirittura morto. I portavoce di Lukashenko non diffondono alcun comunicato e non rispondono alle domande dirette de giornalisti.
Ah, sì: alcuni sostengono che il 9 maggio Lukashenko era a Mosca con un catetere mascherato in questo modo:
Ovviamente io non intendo commentare (o partecipare alla creazione) le varie voci, ma non posso non menzionarne una veramente strana (in qualche modo poteva arrivare anche a voi). C’è chi sostiene che Lukashenko sia in fase di eliminazione da parte dello Stato russo. Il motivo sarebbe l’utilizzo del territorio, dell’esercito e delle risorse bielorussi per la guerra in Ucraina: quell’utilizzo al quale Lukashenko è sempre riuscito a opporsi.
Ebbene, a me sembra una ipotesi un po’ stupida. Certo, Putin e i suoi collaboratori hanno già combinato diverse cose molto stupide – a cominciare dal fatto stesso di attaccare l’Ucraina –, ma contare sul fatto che poche decine di militari preparati e attrezzati non meglio di quelli russi possano cambiare qualcosa nell’andamento della guerra sarebbe una manifestazione di disperazione totale. Se Putin non lo capisce, le sue condizioni mentali sono infinitamente peggio di quanto pensassi.
E sembrava impossibile…
A volte nella vita capitano delle situazioni strane in cui il male agisce a favore del bene. Non lo fa apposta (come non fa delle cattiverie tanto per farle), ma solo perché in quelle determinate circostanze è convinto di tutelare i propri interessi. Si tratta di una coincidenza casuale.
Per esempio: pensiamo al presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko. Con il Covid-19 e la guerra in Ucraina molte persone potevano essersi un po’ dimenticate dell’«ultimo dittatore europeo», del suo modo di condurre la politica interna in generale e della sua reazione alle proteste post-elettorali del 2020 in particolare. Ma Lukashenko esiste, è sempre al suo posto, e sempre dalla parte del male…
Ebbene, da oltre nove mesi sta resistendo alle pressioni di Putin e sta evitando di sostenerlo, nella guerra con l’Ucraina, con le forze militari bielorusse. Ovviamente non lo fa per l’amore verso gli ucraini o verso i propri militari. Lo fa perché ha paura – a ragione – di perdere il potere a causa dell’andamento della guerra. Proprio grazie a questo vengono salvate decine di migliaia di vite umane e l’Ucraina non è costretta a combattere su un fronte ancora più lungo. Il male sta agendo a favore del bene.
A questo punto posso aggiungere solo una constatazione: decine di miliardi di dollari regalati da Putin a Lukashenko sono stati sprecati. Lo «Stato unitario» tra la Russia e la Bielorussia sembra sempre più un fantasma.
Come molti di voi sanno (forse) la Russia e la Bielorussia fanno parte (in teoria) di uno Stato unitario. Di conseguenza, dobbiamo ricordare che pure le innovazioni tecnologiche seguono – in Russia e in Bielorussia – una strada unica. Ieri ho scritto di uno robot cinese che è stato spacciato per uno robot «militare» «innovativo» «russo». Oggi, invece, vi racconto brevemente di una innovazione analoga bielorussa.
Lunedì si è svolta la presentazione di un nuovo modello della moto «Minsk» (del produttore bielorusso esistente dal 1951). In tale occasione, il direttore della azienda Nikolai Ladutko ha raccontato al presidente Aleksandr Lukashenko che il nuovo modello sarebbe realizzato con le componenti di produzione cinese, ma su progetto tecnico ideato e sviluppato all’interno della azienda.
Lukashenko ha rimproverato Ladutko per il fatto che le singole componenti della moto non vengano prodotte in Bielorussia ma, ovviamente, non si è accorto che si tratta della moto francese Mash X-Ride 650 Classic (la quale viene assemblata in Cina) con l’adesivo «Minsk» applicato sul serbatoio (non so dove sia stato stampato l’adesivo)..
Insomma, entrambi i presidenti possono essere facilmente ingannati allo stesso identico modo.
Ho sempre pensato che l’evoluzione politica di un dittatore rende quest’ultimo molto prevedibile e comprensibile in ogni dettaglio del suo comportamento. Ma ora devo riconoscere che oltre 27 anni al potere hanno trasformato Aleksandr Lukashenko in una creatura stranissima.
Per esempio: a cosa serve importare con gli aerei dei rifugiati di qualsiasi tipo per farli poi camminare verso il confine dell’UE?
Per provocare uno scontro e dimostrare di essere «meno peggio» di certi politici europei? Non sarebbe un risultato tanto credibile.
Per provocare una crisi umanitaria interna e rinviare la realizzazione della propria promessa di lasciare il potere (dopo il referendum costituzionale dell’inizio del 2022)? Non si capisce secondo quale logica si possa fare.
Per ricattare l’EU e recuperare un po’ di quei finanziamenti che negli ultimi anni sono stati negati dalla Russia? Ehm, non so bene come si possa riuscire in questa missione, ma la conoscenza dei modi di fare di Lukashenko mi suggerisce che al giorno d’oggi sia la versione più logica. Perché al potere vorrà rimanere, ma dovrà riempire di soldi le forze dell’ordine di repressione e l’esercito per farsi proteggere per dei lunghi anni.
In ogni caso, sarà interessante osservare gli sviluppi di questa operazione originale…
Alla fine di maggio Vladimir Putin e Aleksandr Lukashenko (potreste avere già sentito questi due nomi) hanno avuto un incontro lungo due giorni a Sochi. Il principale risultato politico dell’incontro è un nuovo «prestito» (si traduce in italiano come regalo) all’ospite Lukashenko: 500 milioni di dollari statunitensi per la continuazione della sua fantastica politica interna.
Ma a un lettore italiano medio potrebbero anche non interessare questi dettagli.
Un lettore italiano medio potrebbe invece provare ad apprezzare lo humor popolare circa il tempo passato dai due politici su una barca:
Le persone che risiedono sul territorio europeo potrebbero provare a indovinare – senza temere le conseguenze fatali – chi due personaggi ritratti abbia la parte maschile e a chi, invece, rimanga quella femminile…
P.S.: la sorte della loro nave comune sarà l’oggetto di un esercizio mentale futuro.
Tutte le persone che seguono minimamente le notizie internazionali si saranno accorti, in questi giorni, della nascita di un nuovo terrorista internazionale. Il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko, ormai insoddisfatto della propria onnipotenza sul territorio del proprio (nel senso ampio della parola) Stato, ha deciso di dedicarsi anche al terrorismo aereo: se nel cielo della Bielorussia compare un velivolo con una persona indesiderata, in qualche modo va atterrato.
Ma non ha molto senso scrivere delle cose che sanno già tutti.
Ho la possibilità di illuminarvi su qualcosa di poco ovvio.
Per esempio: il secondo personaggio della suddetta vicenda – Roman Protasevič – è l’ex capo-redattore del Telegram- e YouTube-canale chiamato Nexta. Ebbene, il nome del nome del canale si pronuncia come Néhta (va pronunciata anche la lettera H). Scegliendo questo nome, i fondatori del canale hanno cercato di fare un gioco di parole: fare un incrocio tra l’espressione «generation next» e la parola bielorussa néhta (не́хта) che significa «taluno». In questo modo, si voleva mettere in evidenza l’impegno per la creazione di un futuro migliore per il Paese e l’anonimato della fonte delle informazioni (necessario nella Bielorussia contemporanea).
Bene, ora avete la possibilità di correggere tutti quei giornalisti che pronunciano il nome Nexta troppo «alla inglese».