L’archivio del tag «libri»

Nessuno si disperi

Dalla storia della scienza conosciamo molti esempi delle scoperte importantissime fatte «per sbaglio», come se fossero degli effetti collaterali delle ricerche sugli argomenti ben diversi.
Pure a me, qualche volta, capita di fare delle scoperte interessanti mentre cerco ben altro. Nei giorni scorsi, per esempio, in una delle mie ricerche bibliografiche è comparsa la foto di questa piena di informazioni utilissime su come affascinare una donna:

Si tratta di una delle 158 pagine del libro «The Complete Book of Magic and Witchcraft» di Kathryn Paulsen. L’edizione del 1970 – l’unica trovata su Amazon – è un po’ costosa, ma conosco delle persone che sarebbero disposte a pagare anche il triplo per accedere alle conoscenze come quelle citate poco sopra.

Gli interessati si affrettino!


Il fallimento e l’evoluzione

Ho saputo solo ieri sera del fallimento della casa editrice UTET Grandi Opere, avvenuto a ottobre.
Di fronte a tale notizia, posso constatare solo due cose.
In primo luogo, ricorderei a tutti che è scorretto affermare che sia fallita la UTET (la casa editrice che io, come molti miei colleghi, apprezzo anche per i libri giuridici di qualità): la sezione «Grandi Opere» è una società separata da oltre sette anni.
In secondo luogo, ammetto di non capire come abbia potuto sopravvivere fino ai giorni nostri una casa editrice specializzata nella pubblicazione di dizionari ed enciclopedie. Non posso certo mettere in discussione la qualità intellettuale e materiale dei rispettivi volumi pubblicati, ma si tratta sempre di due settori «mangiati» oltre un decennio fa dall’internet. Nel solo passaggio globale dalla carta al digitale (o allo schermo, se preferite) non c’è alcunché di male: il secondo è infinitamente più comodo dal punto di vista pratico e, allo stesso tempo, non influisce in alcun modo sui contenuti. Anzi, permette di allargare più facilmente i confini delle informazioni utili ricevute. È invece molto grave non sapersi adeguare alla normale evoluzione del mondo circostante. Perché il valore della conoscenza tende allo zero quando non si è in grado di fornirla al prossimo (in realtà anche di utilizzarla, ma ora parliamo solo di una casa editrice). La conoscenza conservata e/o servita con una modalità obsoleta diventa, purtroppo, solo un peso inutile. Di conseguenza, il fallimento del suo divulgatore che non si adegua alla vita dinamica è solo una questione di tempo.
In ogni caso, gli archivi, le opere pubblicate o in lavorazione e i cataloghi costituiscono un enorme cespite che non andrà di certo perso. Dobbiamo solo sperare che finiscano nelle mani di qualcuno che sia più preparato alla vita reale contemporanea.


Per i poveri ricercatori

Caro lettore!
Sei un povero ricercatore senza scrupoli?
Se la risposta è «sì», puoi continuare a leggere.
Se, invece, la risposta è «no», abbandona pure questa pagina e vai a leggere il post su… che ne so… il «lorem ipsum».

E ora che siamo rimasti soli, Continuare la lettura di questo post »


Bisogna stringersi

L’incunabolo «Cronache di Norimberga», scritto in lingua latina da Hartmann Schedel e pubblicato nel 1493, raccontava la storia del mondo dal «momento della sua creazione» fino all’anno di pubblicazione. Tutto in 596 pagine.
Le ultime pagine furono lasciate vuote in quanto destinate alla descrizione degli eventi accaduti tra il 1493 e la Fine del mondo. Appena 6 pagine vuote.
Supponendo che l’uomo saggio fu notevolmente più informato di noi su determinate questioni, possiamo andare avanti con la massima serenità: il peggio è già accaduto un po’ di tempo fa.

P.S.: anche se, pensandoci bene, bisogna riconoscere che nulla vieta al mondo di finire più volte: potrebbe farlo anche con la frequenza del raffreddore invernale di una persona media. Ma in quel caso dovremmo preoccuparci ancora meno.


Audiolibri

Dimentico sempre di comunicare una cosa importantissima ai miei cari lettori.
Gli audiolibri non c’entrano alcunché con i libri. Gli audiolibri sono un prodotto finalizzato all’intrattenimento del tutto a sé stante.
È abbastanza facile capire la differenza tra un audiolibro e un libro leggibile con gli occhi. Prendete, per esempio, una qualsiasi novella di… che ne so… Luigi Pirandello e leggetela. Poi scaricate la stessa novella in formato audio e ascoltatela. (Il testo e l’audio si dovrebbero trovare gratis e legalmente su internet.) Vi renderete conto che si tratta di due prodotti completamente differenti.
La lettura con gli occhi è un processo unico nel suo genere; è destinato alla elaborazione dei dati in input. Non escludo l’ipotesi che nei prossimi decenni esso possa venire definitivamente spinto ai margini della attività umana quotidiana da parte del progresso, ma ciò non significa che sia di basso valore.
L’ascolto dei medesimi contenuti è un processo di consumazione della analisi altrui.
La lettura contribuisce allo sviluppo del cervello, mentre l’ascolto non tantissimo.


Superato come sempre

Per tanti anni ho cercato un modo, una formula compatta e facilmente comprensibile dalle masse, per spiegare perché vorrei evitare a ogni costo di lavorare nel settore pubblico. L’ho quasi trovata. Ho avuto la sensazione di essere a un passo dall’obiettivo tanto cercato.
Ed ecco che, come al solito, rovino la sensazione di essere un genio scoprendo che una persona concreta ha già espresso la stessa idea molto meglio di me. Anzi, in questo specifico caso è successo pure molto prima: quasi due secoli fa.
Sono comunque felice di condividere con i miei amatissimi lettori questa breve citazione dal romanzo «La lettera scarlatta» di Nathaniel Hawthorne (pubblicato per la prima volta nel 1850):

Qui basti dire che un doganiere, rimasto incarica a lungo, sarà difficilmente un personaggio degno di gran lode o rispetto per molte ragioni, una delle quali si è la maniera in cui assolve il suo incarico, ed un’altra la natura medesima del mestiere che, seppure onesto come spero, è d’una specie tale da impedirgli di partecipare agli sforzi concordi del genere umano.
Un effetto che credo si possa osservare più o meno in ogni individuo ch’abbia occupato quel posto, è poi il seguente: mentre s’appoggia al braccio gagliardo della Repubblica, gli vien meno la sua propria energia. Costui perde la capacità di sorreggersi da sé solo in misura proporzionata alla debolezza o alla forza della sua indole. Se possiede una porzione fuor del comune di volontà innata, o la snervante malia del luogo non opera troppo a lungo su di lui, le sue facoltà compromesse potranno venir riscattate. Il doganiere espulso, fortunato oggetto del villano spintone che lo manda innanzi tempo a lottare tra le lotte del mondo, potrà tornar in se stesso, ed essere quello di prima. Ma questo succede raramente. Di solito egli mantiene il proprio terreno fino al momento preciso di rovinarsi, e poi ne viene espulso tutto cionco e barcolla pel malagevole sentiero della vita arrangiandosi come può. Conscio del proprio malanno, d’aver smarrito la sua tempra d’acciaio e la baldanza, si guarderà ognora intorno ansiosamente in cerca d’un sostegno al di fuori di sé. La speranza ostinata e continua (un’allucinazione che in cospetto d’ogni scoraggiamento e tenendo in non cale l’impossibile, lo assilla finché è in vita e che, m’immagino, come gli spasimi convulsi del colera, seguiterà a tormentarlo per un breve lasso dopo la morte) si è che alla fine e tra non molto verrà rimesso al suo posto ad opera d’una fausta combinazione. Questa fiducia, più d’ogni altra cosa, spoglia dell’essenziale e dell’utile qualunque attività costui possa sognar d’intraprendere. A che mai arrabattarsi e dimenarsi e darsi tanta pena per uscire dal fango, quando di lì a un po’ interverrà il forte braccio di suo Zio Sam ad alzarlo e a sostenerlo? A che mai lavorare per vivere nella propria città od andare a cercar l’oro in California, quando sarà reso felice di qui a poco, a scadenze mensili, con un mucchietto di monete sonanti uscite dalla tasca dello Zio Sam? Meraviglia e rattrista vedere come un minimo assaggio della vita d’ufficio basti a infettare un poveraccio di questo morbo bizzarro. L’oro dello Zio Sam, salvo il rispetto dovuto al venerabile signore, possiede da questo punto di vista un potere analogo alla mercede del Diavolo. Chiunque lo tocca dovrà star bene attento, che non abbia a trovare il baratto troppo duro e svantaggioso nei propri riguardi, dacché ci andranno di mezzo, se non proprio l’anima, molti dei suoi migliori attributi: la forza incrollabile, il coraggio e la costanza, la schiettezza, la fiducia in se stesso, e tutto ciò che serve meglio ad accentuare un carattere virile.

Nei prossimi giorni scriverò più in dettaglio delle mie recenti scoperte letterarie.


A chi serve un buon lavoro?

So che pochissimi lettori di questo post hanno i requisiti per candidarsi, ma vi racconto comunque di una curiosa offerta di lavoro.
Una ricca famiglia russa sta cercando un maggiordomo in stile Jeeves ed è disposta a pagarlo il triplo del Buckingham Palace: da quattro a sei mila euro al mese.
La «fregatura» sta nelle richieste al candidato: bisogna essere residente a Londra, essere pronti a lavorare in UK, Francia, Italia e Russia, conoscere almeno l’inglese, il francese e il russo, conoscere e apprezzare la serie televisiva britannica «Jeevse and Wooster» (molto bella, ma i libri di Wodehouse sono ancora meglio – nota mia) per sapere cosa si aspetta il cliente, intendersi delle tecnologie e dei film. L’abilità nei rapporti con i bambini è stata messa al penultimo posto: subito prima dei segni zodiacali (mah…).
Guardate pure la lista completa delle richieste e pensateci su. Il vero Jeeves sarebbe riuscito a ottenere il posto anche partendo da un punto di formale svantaggio.
I candidati (auto)scartati possono darsi alla lettura dei romanzi di Pelham Grenville Wodehouse (spero) o alla visione della serie televisiva citata, arricchendo dunque il proprio bagaglio culturale. Un posto di lavoro non ottenuto non è sempre una perdita.


Le mie scoperte: tsundoku

Qualche giorno fa ho scoperto una bella parola giapponese: tsundoku. Essa indica i libri che una persona compra ma poi non legge nemmeno una volta.
E quindi mi sono chiesto: nelle lingue occidentali esistono delle parole di questo tipo? Non è necessario che si riferiscano ai libri. Per esempio: come definire le app «belle e potenzialmente utili» che una persona scarica ma poi non utilizza? Oppure i nuovi social networks sui quali ci si registra senza poi collegarsi nemmeno una volta?
Insomma, si può ipotizzare e definire con un termine specifico tantissime situazioni.
P.S.: i libri digitali conservati sul mio computer (ma poi li leggo con il Kindle) sono organizzati in una serie di cartelle: alcune sono chiamate con i nomi degli autori, alcune altre con il nome dell’argomento o della tematica. La cartella con il nome «Nessuno li ha letti» contiene alcuni grandi classici dei quali tutti parlano senza, appunto, averli letti (per esempio, «Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni» di Adam Smith).
Ora so come rinominare quella cartella. Anche se ho letto i libri in essa contenuti.


Gli emoji pre-digitali

È stato trovato un vero e proprio libro (si potrebbe definirlo monografia) sulle origini «antiche» dell’ASCII Art. Si tratta delle decorazioni fatte con le machine per scrivere, quindi, in molti casi, degli smiles e emoji che i nostri nonni scrivevano sulla carta.

Ripeto il link: https://loriemersondotnet.files.wordpress.com/2014/01/artyping.pdf


Da una storia falsa

Uno dei modi più sicuri di rovinare la lettura di un libro e la visione di un film è aprirlo con le parole «tratto da una storia vera».
Se non è un libro di storia o un documentario, che cazius me ne frega della veridicità? Mi interessano solo la qualità delle idee trasmesse e il modo di raccontare.
Purtroppo, il cervello umano sa funzionare secondo un solo principio: costruire i concetti nuovi con i mattoncini delle conoscenze accumulate (viste, sentite, lette), uniti tra loro in proporzioni e disegni corrispondenti alle capacità sviluppate. Ma pure la quantità e la qualità dei mattoncini contano.
In ogni caso, la frase «tratto da una storia vera» va letta come «ve la racconto così com’è perché sono povero di cervello».