L’archivio del tag «joe biden»

Un problema inesistente

Non per fare delle battute in «stile Trump» sulle condizioni di salute e sulla preparazione di Joe Biden, ma devo ammettere che questa recente dichiarazione mi preoccupa un po’:

When I was with Mr. Putin, who has a real problem – he is – he’s sitting on top of an economy that has nuclear weapons and oil wells and nothing else. Nothing else. Their economy is – what? – the eighth smallest in the world now – largest in the world? He knows – he knows he’s in real trouble, which makes him even more dangerous, in my view.

La dichiarazione appena citata, infatti, testimonia una certa incomprensione della mentalità di Putin. Perché in base a quello che vedo da oltre vent’anni, si possono evidenziare almeno tre punti caratterizzanti le «preoccupazioni» del presidente russo:
1) è totalmente disinteressato alla politica interna (compresa quella economica) ed è poco informato su di essa;
2) ragiona per induzione: secondo egli, se un sistema funzionava ieri e funziona oggi, funzionerà anche domani. Quindi i sistemi funzionanti non si toccano finché non crolla il mondo;
3) il suo unico grande interesse è la politica estera, nella quale servono le armi di ogni genere. L’arma delle risorse naturali, in particolare, serve per comprare o ricattare gli stati esteri; le armi nucleari, invece, danno una certa sensazione di impunità militare.
Di conseguenza, potete facilmente intuire anche voi che la situazione descritta da Biden non è assolutamente vista da Putin come un problema. Resta da capire perché si sia espresso proprio in quel modo…


Come valutare l’incontro

Le persone che decidano di leggere qualcosa sull’incontro di ieri tra Joe Biden e Vladimir Putin (o che abbiano già letto qualcosa), devono avere in mente un preciso punto di partenza. I due politici avevano degli obbiettivi molto diversi per questo incontro.
Joe Biden voleva – e in un certo senso doveva – esprimere di persona le principali pretese americane (o meglio dire occidentali?) nei confronti della Russia contemporanea. Quindi doveva tentare una conversazione che avrebbe potuto influire sulle relazioni tra i due Stati, sebbene non sia solo il suo compito, che possono essere più nemici o più partner nella politica internazionale.
Vladimir Putin aveva un compito molto più banale: tentare di difendersi – con delle dichiarazioni più o meno scandalistiche – dalle pretese (per non dire accuse) di Joe Biden (per non dire «dell’Occidente»). E, magari, far vedere al mondo e ai sudditi di essere un politico che è ancora accettato agli incontri internazionali seri.
Questi sono i concetti principali che possono aiutarvi a valutare l’incontro con una mente non condizionata dalle dichiarazioni più o meno forti.


Il killer politico?

Come avrete già letto o sentito, per il 16 giugno è programmato il primo incontro offline tra Joe Biden e Vladimir Putin (alla villa La Grange di Ginevra). Per l’occasione, il Time è uscito con una nuova copertina interessante. Non ne ho — almeno per ora — l’assoluta certezza, ma mi sembra che il gioco grafico riprenda, in qualche modo — la risposta affermativa data alla domanda su «Putin killer»:

Nel frattempo, ricordo a tutti (e soprattutto a me stesso) che il sito del Time ha  una sezione relativamente comoda per la consultazione di tutte le copertine. Ma io avrei aggiunto anche, per esempio, la possibilità di visualizzare, in pochi clic, tutte le copertine che raffigurano ogni determinato personaggio.


Paragoni leggermente esagerati

Commentando il piano degli investimenti proposti da Joe Biden per l’economia statunitense, The Associated Press paragona i risultati promessi a quelli dei programmi del New Deal o della Great Society.
Da un lato, potremmo essere contenti per gli americani: alcuni usi economici/finanziari e infrastrutture che caratterizzano la vita quotidiana statunitense potrebbero sembrare obsoleti pure agli europei.
Dall’altro lato, gli stessi europei potrebbero (ri)cominciare a invidiare gli americani già adesso. Per esempio: gli USA sono l’unico Stato a me noto dove alle poste è possibile pagare – da anni ormai – con una carta bancaria. Se almeno una parte della spesa voluta da Biden per promuovere il progresso dovesse essere approvata, la situazione relativa dell’Europa dovrebbe spingere quest’ultima nella direzione preoccupante di uscita dal «primo mondo».
Detto questo, torno a ribadire che mi sembra molto più utile, dal punto di vista strategico, mettere il privato nelle condizioni di investire direttamente nelle opere (più o meno grandi) che egli ritiene più utili. Quindi non mi immagino nel ruolo di un elettore dei Democratici (almeno in assenza di Trump sulla scena politica, ahahaha).


Mmm, sì

Non posso dire che Joe Biden mi sia diventato meno antipatico di prima, ma non posso non riconoscere che la capacità di dare delle risposte precise e sintetiche alle domande concrete è molto rara di questi tempi (e quasi assente tra i politici).


[il video dura poco più di un minuto, l’audio è fondamentale]
Aggiungo solo che condivido pienamente quella risposta affermativa.


Lavorare con i documenti

Più o meno tutti hanno letto dei 17 provvedimenti firmati da Joe Biden durante la sua prima giornata lavorativa piena da Presidente…

Non tutti però sanno che appena entrato nel suo ufficio della Casa Bianca, il nuovo presidente ha trovato nel cassetto della scrivania una tradizionale lettera lasciatagli dal suo predecessore. Sì, Donald Trump ha rispettato almeno questa tradizione. Joe Biden non ha (ancora) svelato il contenuto del messaggio, ma qualcuno sostiene che la lettera sia brevissima: Continuare la lettura di questo post »


Ciao Trump, ciao Biden

L’ecologia mediatica sta per migliorare: da ieri Donald Trump non è più il presidente degli Stati Uniti e – si spera – dovremo leggere di meno almeno delle sue avventure. Ma non dobbiamo illuderci troppo: rimarrà comunque un politico statunitense rilevante (rimane il fatto che lo ha votato quasi la metà degli aventi diritto) e rumoroso (come lo è stato negli ultimi quattro anni). Il secondo tentativo di impeachment può anche raggiungere il risultato sperato dai democratici, ma Trump non toglierà certo il diritto di parola a se stesso.
Allo stesso tempo dobbiamo riconoscere un altro dato di fatto: indipendentemente dal nostro grado di simpatia nei confronti del nuovo presidente americano (sì, stranamente riesce a essere simpatico ad alcuni), Joe Biden è una figura transitoria. O, se preferite, è il primo presidente della epoca del bipartitismo 2.0. Biden è il rappresentante del partito del vecchio establishment americano (i tradizionali democratici + i tradizionali repubblicani) che almeno questa volta ha vinto contro il partito dei «teppisti» (il più noto dei quali è l’ex presidente Trump). Il primo partito è unito nel difendere i valori e le regole condivise e formate nei secoli. Il secondo partito è di creazione recentissima. La cerchia dei suoi sostenitori è diventata visibile – ma non è stata importata in un attimo dai marziani! – negli ultimi quattro anni, anche se aveva aspettato il proprio candidato tipico per anni e lo ha visto comparire sulla scena politica solo in occasione delle elezioni del 2016.
Nei prossimi quattro anni, poi, potrà formarsi il vasto fronte dei sostenitori di un altro partito: quello dei cittadini dell’internet. Il partito delle persone abituate a vivere nel cosiddetto «tempo reale». Il partito delle persone che non possono capire perché debbano necessariamente essere governati dai vecchietti che hanno sviluppato le proprie idee politiche all’epoca dei dinosauri (e hanno iniziato la propria scalata verso il potere più o meno nello stesso periodo). I nuovi leader competenti (almeno apparentemente) nelle sfide di oggi si trovano e/o si creano ora con il voto tramite i tap o i click.
Donald Trump non è fa più il presidente. Ma noi ci divertiremo ancora a osservare.


Uno degli indici di Biden

Il Twitter informa che gli account presidenziali ufficiali saranno «consegnati» al nuovo presidente Biden con follower azzerati. Non so se tutti se ne accorgono, ma si tratta di una scelta potenzialmente pro-repubblicana. Infatti, né Joe Biden né la sua squadra (o, almeno, la sua parte già annunciata) sembrano delle persone particolarmente adatte per (ri)acquistare la popolarità in Internet. Non per le loro qualità politiche, ma, purtroppo, a causa dei fattori di età e formazione.
Allo stesso tempo, la velocità di crescita della quantità dei lettori (anche quando si parte dallo zero) è un bel indice di popolarità di un qualsiasi politico. Quindi le persone particolarmente interessate alla politica statunitense possono iniziare — a gennaio — a osservare il facilmente reperibile numero dei follower.

P.S.: Barack Obama, nel 2016, aveva esplicitamente chiesto di far mantenere i vecchi follower al suo successore. Donald Trump preferisce usare il twitter personale e, forse, anche per questo non è particolarmente interessato alla questione.


Una delle delusioni del 2020

Ora, dopo il voto dei grandi elettori, Joe Biden è un Presidente eletto anche dal punto di vista formale: non è una grossa sorpresa.
La vera e deludente sorpresa è l’atteggiamento di Donald Trump e del suo team nelle settimane seguite alla votazione popolare. Infatti, ci avevano promesso una battaglia legale seria contro tutti i «brogli elettorali» (nella terminologia trumpista l’espressione indica il risultato favorevole a Biden), ma alla fine ci hanno privati di questo grande divertimento. Uno spettacolo divertente nel senso migliore, quindi uno spettacolo interessante da seguire. Uno spettacolo sostituito da una stranissima buffonata di ricorsi giuridicamente mal preparati, «testimoni» ubriachi e avvocati-ex-sindaci avventurati in dichiarazioni discutibili.
Non volevo che Trump si attaccasse al potere con tutti i mezzi disponibili. Volevo che il 2020 fosse rimasto nei libri di storia mondiale con più di un argomento. E invece no: si vede che è proprio impossibile.

P.S.: dal punto di vista socio-politico, comunque, l’operato distruttivo di Trump è stato neutralizzato abbastanza facilmente dal Sistema. Certo, questa esperienza comporterà la formalizzazione di alcuni principi politici (o, se preferite, democratici) americani che prima si riteneva sufficiente applicare semplicemente per tradizione, ma, complessivamente, si può dire che poteva andare molto peggio.


Il paradosso elettorale

Cosa è comparso prima: l’uovo o la gallina?
Cosa si forma prima: l’opinione pubblica o il giudizio dei mass media importanti?
La reazione alle elezioni presidenziali statunitensi di quest’anno possono essere commentate anche con almeno una di queste due domande. Infatti, in questi giorni possiamo vedere che Donald Trump ha  rotto i coglioni  stufato talmente tanto alla gente in giro per il mondo che tutti si sono messi a festeggiare la vittoria di Joe Biden ancor prima che quest’ultimo venisse eletto.
Non voglio apparire uno che ci spera ancora: Trump mi è più antipatico di Biden. Però ricordo che dobbiamo essere onesti: prendere la maggioranza dei voti popolari tecnicamente non significa vincere le elezioni presidenziali americane. Non lo è neanche essere proclamato vincitore dai mass media. Nemmeno quando è stata teoricamente «raccolta» la maggioranza dei grandi elettori. Per esempio, perché i grandi elettori che votano per un candidato diverso da quello per il quale hanno ricevuto il mandato di votare (quindi i cosiddetti faithless electors) capitano a quasi tutte le elezioni. Solitamente questi «elettori infedeli» sono pochi e non influiscono quindi sul risultato finale, ma capitano.
Non so se e quanti faithless electors si manifesteranno questa volta. Ma se Donald Trump avesse raccolto la maggioranza dei voti popolari, proprio grazie a quei «infedeli» avremmo avuto l’occasione di vedere la sua reale popolarità all’interno del partito. Invece ora non saprei; bisogna osservare bene.

Comunque, per prendere meno voti di un candidato anziano (in tutti i sensi) e noioso che di fatto non ha condotto una campagna elettorale bisognava impegnarsi veramente tanto.