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Lo scambio dei condannati

Come forse sapete, ieri a Kiev sono stati condannati a 14 anni di reclusione due militari russi (Yevgeny Yerofeyev e Alexandr Alexandrov) per aver partecipato ai combattimenti contro l’esercito ucraino nel sud-est della Ucraina stessa. Come nei casi di tutti gli altri militari russi imprigionati, feriti, uccisi o semplicemente fotografati nell’area del conflitto, il Ministero della difesa russo ha da subito sostenuto che i due si sarebbero licenziati prima di andare a combattere in Ucraina.

Il fatto storicamente provato che la Russia ha sempre lasciato soli i propri militari finiti in difficoltà nel corso di una missione merita un testo serio a parte. Oggi volevo scrivere sul possibile scambio di militari fatti prigionieri e condannati dalle corti dei due Stati-parte del conflitto.

Yerofeyev e Alexandrov condannati in Ucraina, una volta finiti nelle mani degli ucraini, hanno ammesso di fare parte dell’esercito regolare. Ma, visto che il loro datore di lavoro nega tutto, formalmente avrebbero potuto essere processati per il terrorismo internazionale. Processati e condannati a una pena ben più grave.

Nadezhda Savchenko, al momento del suo rapimento, era una militare ucraina: non lo nega lei e non lo nega lo Stato ucraino. Quindi Savchenko è stata condannata a 22 anni di reclusione per avere combattuto contro gli invasori. Processata e condannata dagli invasori stessi. Si trova qualcosa di simile nella storia militare?

Ora il presidente ucraino Poroshenko propone di fare uno scambio: Yerofeyev e Alexandrov per Savchenko. Tale proposta fa ridere per due motivi. Prima di tutto, nessuno dei dirigenti dello Stato ucraino è realmente interessato, in questo periodo storico, a rivedere la Savchenko in patria. La sua popolarità (l’immagine della ucraina) è troppo facilmente convertibile in un consistente capitale politico. Non è detto che sia in grado di convertirla lei, ma ci sono dei partiti pronti ad aiutarla nella traballante situazione politica ucraina. Mi riferisco, in particolare, al partito della miracolosamente risorta Yulia Timoshenko.

Il secondo motivo è l’interesse dei dirigenti dello Stato russo verso i propri cittadini. Come ho scritto poco prima, un semplice militare non ha alcun valore e può essere lasciato dove sta per l’eternità. Un commerciante di armi (Viktor Bout) o un trafficante-grossista di droga (Konstantin Yaroshenko), essendo evidentemente legati a più personaggi di spessore russi, hanno invece un valore altissimo. In più, il presidente Putin trova molto più interessante trattare con l’Occidente che con il governatore di un territorio «storicamente russo». Un territorio che per uno spiacevole equivoco si chiama, per ora, Ucraina.

L’interesse mediatico e politico verso la sorte della Savchenko fa comunque da garanzia di un suo ritorno in patria prima dell’esaurimento della pena.


Oggi vi spiego in poche parole il riaccendersi del conflitto sul controllo di Nagorno-Karabakh.

Quando i prezzi del petrolio crollano e non vogliono proprio rialzarsi, ogni petrocrazia inizia a sentire, prima o poi, il bisogno di una piccola guerra vittoriosa. Una guerra finalizzata alla riappropriazione dei «territori storici sottratti ingiustamente». Una guerra che appare molto utile per risolvere i problemi politici interni del governante, di distrarre i cittadini dagli emersi problemi economici. Provate a ricordarvi voi qualche esempio recente.

Ricordatevi, poi, che già domenica, dopo tre giorni di scontri, il presidente di Azerbaijan Ilham Aliyev ha dichiarato di avere vinto la guerra. Come nei precedenti ai quali mi riferivo io, il reale risultato è poco chiaro e non ha alcuna importanza.

Certo, una telefonata da Mosca a Baku avrebbe potuto fermare la guerra già nelle prime ore, ma non avrebbe risolto i problemi di Aliyev di cui sopra. In più, Azerbaijan e Armenia, se ho capito bene, sono destinatari di circa 5% dell’export degli armamenti russi.


Nadezhda Savchenko

Oggi i giudici hanno concluso la lettura pubblica della sentenza con la quale Nadezhda Savchenko è stata condannata a 22 anni di reclusione (poco più di 20 ancora da scontare). Nonostante l’assurdità della accusa e l’indicativa profanazione totale del processo penale russo, continuo a non capire perché il caso debba interessare l’opinione pubblica al di fuori dalla Russia e Ucraina.

E’ naturale che il fatto sia diventato un argomento discusso nella politica interna dei due Stati. Grazie, in parte, all’impegno di uno dei tre avvocati è diventato uno dei pochi temi della politica estera nella campagna elettorale statunitense. In quest’ultimo caso si tratta però più del ricorso a uno strumento estremo per salvare l’assistita in tempi brevi, salvarla possibilmente anche in senso fisico.

Non vedo però la ragione per parlare in questa sede di questa ennesima follia giudiziaria russa. Essa, come tante altre degli ultimi quindici anni, fa parte della politica interna. Cosa ne può fregare ai miei lettori?


Ritirandosi non si risparmia

Relativamente al ritiro delle truppe russe dalla Siria in tanti hanno pensato, logicamente, alle positive conseguenze di tale mossa per lo Stato russo. In assenza di dati ufficiali, è calcolato dagli esperti del settore militare che un giorno di guerra in Siria costa alla Russia circa 2,5 milioni di dollari.

Mi sento però in dovere di dare una grande delusione a chi ci tiene tanto ai soldi dei contribuenti russi. Le missioni militari all’estero come quella in questione hanno una incidenza minima sulle spese dello Stato. Le principali quote di risorse destinate al Ministero della Difesa, infatti, in tempo di pace vengono spese per la produzione del nuovo materiale bellico e le esercitazioni dei militari.

La produzione di un aereo militare (giusto per fare un esempio) dura alcuni anni. Una volta prodotto, l’aereo militare inizia a invecchiare con la velocità del pensiero di un ingegnere aerospaziale, quindi diventa presto obsoleto: va modernizzato o sostituito con uno più vicino alle tendenze generali del settore. Lo stesso vale per le bombe portate dall’aereo in questione. I piloti, poi, devono fare continue esercitazioni: pure questo comporta una serie di spese.

Insomma, la maggior parte delle risorse materiali impegnate nella missione siriana è stata in realtà spesa nei decenni precedenti. L’unica vera spesa aggiuntiva è rappresentata dagli stipendi dei militari. Questi ultimi non fanno più le esercitazioni, ma combattono, prendendo circa 200 mila rubli al mese (poco più di 2500 euro) per la missione all’estero. Considerate, però, che il budget militare della Russia per il 2015 è stato di 3 trilioni e 300 miliardi di rubli.

Direi che le motivazioni economiche del ritiro non meritino tanta attenzione.


Missione compiuta. Quale?

Un politologo intelligente russo (di quelli intelligenti ce ne sono pochi in tutto il mondo), Stanislav Belkovsky, sostiene da anni che Vladimir Putin è un tattico e non un stratega. Di conseguenza, il presidente russo può permettersi di svegliarsi una mattina (nel suo caso sempre tarda) e decidere, senza un apparente motivo, che gli «obbiettivi fissati per la missione in Siria sono stati raggiunti». Raggiunti in meno di sei mesi?

Pur essendo infinitamente contento per il ritiro delle truppe russe, continuo a non capire le motivazioni del loro invio in Siria. Il ministro della Difesa russo, per esempio, ha dichiarato oggi che nel corso della missione sono stati distrutti più di due mila «delinquenti» provenienti dalla Russia, di cui 17 leader di bande. Si tratterebbe di un risultato eccezionale dei famosi bombardamenti fatti a canine penis.

La spiegazione più razionale del ritiro delle truppe che posso inventarmi per ora è l’offesa di Putin per la recente intervista di Obama. Lo so che una persona not completely stupid non si offende così facilmente e/o vistosamente, ma non diventa nemmeno l’oggetto di determinate dichiarazioni/definizioni.

In chiusura del presente post vi do una piccola informazione storica. Nell’URSS esisteva un metodo facile di riempire di spettatori tutte quelle manifestazioni patriottiche e ideologiche che la gente non visitava per l’iniziativa propria: si mandavano i militari, cioè i dipendenti pubblici meno liberi di decidere sul proprio tempo libero. Ecco: due anni fa la Russia ha ottenuto una località turistica quotata pochissimo tra le persone libere di scegliere. Chi potrà dare a loro un giusto esempio? E chi potrà allargare quella località turistica in caso di arrivo di decine di milioni di turisti?


Scatola cinese

Venerdì 18 dicembre a Mosca è stata aperta la scatola near dell’aereo russo abbattuto dalla Turchia.

L’apertura è avvenuta in diretta televisiva, la procedura è stata ripresa da 4 telecamere.

Il risultato è stato sorprendente. Prima di tutto guardate questo fotogramma:

E ora vi faccio una breve spiegazione tecnica.

Prima di tutto, bisogna specificare che le scatole nere degli aerei possono registrare le informazioni in tantissimi modi. Quelli più diffusi in passato scrivevano su fili metallici, nastri magnetici o le pellicole fotografiche. Oggi, invece, funzionano un po’ come le nostre chiavette USB: all’interno hanno un hardware simile che funziona sulle schede della stessa tipologia.

Secondo: come potete vedere, le schede si sono spezzate. Più o meno lo stesso succederebbe alla vostra chiavetta USB chiusa in un barattolo metallico e buttata giù da diecimila metri. Lo succederebbe, essenzialmente, per tre motivi contemporaneamente: 1) le schede sono sottili e fragili; 2) le schede sono fissati in pochi punti; 3) all’interno della chiavetta c’è troppo spazio vuoto che permette alle schede di sbattersi una infinità di volte durante la caduta.

Terzo: è facilmente visibile che per la scatola nera sono state utilizzate le schede e il telaio che normalmente si utilizzano per gli elettrodomestici di casa. Saranno stati comprati direttamente in Cina o su qualche negozio online?

Quarto: una volta tutta elettronica di bordo degli aerei russi (e sovietici) era pesante, tecnicamente obsoleta e costosa. Allo stesso tempo, però, era difficile da rompere perché (ma non solo) tutti gli spazi vuoti tra le componenti e le pareti interne delle singole «scatole» erano riempiti con una materia simile al silicone. Di conseguenza, ogni pezzo era ben protetto dagli urti dovuti alle cadute.

Quinto: le schede (flash) di memoria danneggiate in quel modo non sono altro che spazzatura. E’ impossibile recuperare alcuna informazione da esse.

Conclusione: la televisione di Stato russa ha svelato in diretta uno dei più grandi segreti militari. Tale segreto consiste nel fatto che in Russia non sanno produrre (e nemmeno montare in modo sicuro) l’elettronica aerospaziale.

Un grande saluto a tutti coloro che considerano la Russia una Grande Potenza.

Preciso subito che io non sto ridendo per le figuracce della Russia e non voglio essere cittadino di una grande potenza. Io voglio essere cittadino di uno Stato normale nel quale, semplicemente, funziona tutto.

P.S.: i più curiosi possono vedere il video della apertura della scatola nera di cui sopra:
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Niente paura

Ieri è stato interessare notare, su Facebook, che un possibile conflitto armato tra la NATO e la Russia fa molta più paura dell’ISIL e del terrorismo islamico in Europa.

Se siete preoccupati anche voi, smettete pure di esserlo: la Russia non è attualmente in grado di condurre una guerra seria. Può vincere il confronto con la Georgia (vedi la guerra del 2008), può annettere una regione ucraina (vedi la Crimea), può mandare dei «ex-militari» nelle regioni dell’est ucraino (sono ancora lì).

Quando, invece, un membro della NATO abbatte un suo aereo, la Russia si limita a sconsigliare ai propri turisti di viaggiare verso quello Stato-membro. Ah, no: ha pure vietato l’import del pollo turco.

Rimane, certamente la bomba atomica, ma Putin non mi sembra ancora tanto disperato e deluso per il «tradimento dell’amico Erdogan» da tentare un suicidio. Si sente offeso, è incazzato, ma non ancora fino a tal punto. Non preoccupatevi.

Preciso, infine, che non sto chiedendo dei fiumi di sangue turco: preferisco le guerre commerciali a quelle vere e proprie.


Il Su-24 abbattuto

Oggi al confine turco-siriano è stato abbattuto un bombardiere russo Su-24. Il Ministero della Difesa russo sostiene che sarebbe stato abbattuto col fuoco tera-aria mentre si trovava sopra il territorio siriano. La Turchia, invece, sostiene che l’aereo russo sarebbe stato abbattuto dai due F16 turchi dopo la violazione delle spazio aereo turco e dieci (10) avvisi ignorati in 5 minuti.

Non chiediamoci cosa facesse un aereo militare russo sopra un territorio controllato dai «ribelli» non alleati con l’ISIL. Chiediamoci quale dei due Stati dice la verità sull’accaduto.

E’ molto più probabile che la versione veritiera sia quella turca. Infatti, da quando è iniziato l’intervento russo in Siria, sono state numerose le proteste della Turchia sulla violazione del suo spazio aereo. La Russia, da parte sua, ha sempre ammesso i fatti ma sostenendo, di fatto, che gli aerei russi possano passare dove pare a loro. Di conseguenza, la Turchia ha finalmente mantenuto la promessa di «prendere le contromisure».

A questo punto i vertici politici e militari russi hanno due possibilità:

1) Cercare di mantenere dei buoni rapporti con un alleato storico (anche se si è rivelato un «alleato») e riconoscere che le perdite dal «fuoco amico» capitano in tutte le guerre.

2) Insistere di avere ragione e dichiarare guerra alla Turchia, quindi alla NATO. Sarebbe la fine.

Non prendo per ora in considerazione l’opzione di «fare finta di niente», anche se Putin e compagni ne sarebbero capaci.

Sottolineo, infine, che l’avvenimento in questione ci illustra come sono fragili certe illusioni. La Russia considerava da tempo la Turchia un alleato strategico, con l’aiuto del quale avrebbe potuto continuare a vendere il gas in Europa. E invece arriva questo schiaffo (o forse addirittura lo sputo) in faccia.

Concludo con il video della caduta dell’aereo: Continuare la lettura di questo post »


Bombardare Bruxelles

Stanotte l’aviazione francese ha sganciato 20 bombe su Raqqa, la «capitale» dell’ISIL in Siria. La portaerei «Charles de Gaulle» dovrebbe partire tra poco verso la Siria per triplicare la presenza degli aerei francesi impegnati nella operazione. Ritengo giusto ogni tentativo di desertificare tutti i territori controllati dall’ISIL.

Ma come dimostrano le indagini, un intervento altrettanto deciso andrebbe fatto nelle periferie di Parigi e Bruxelles. Dal solo Molenbeek-Saint-Jean (vicino a Bruxelles) sono usciti gli attentatori parigini, Mehdi Nemmouche (terrorista del museo ebraico di Bruxelles) e Ayoub El Kahzzani (terrorista del treno Parigi-Amsterdam). E poi, i fratelli Kouashi che hanno sparato nella redazione di Charlie Hebdo e Amedy Coulibaly che ha sperato nel supermercato kosher di Parigi si sono riforniti di armi in Belgio.

E’ logico almeno chiedersi se è finalmente arrivata l’ora di estradare gli elementi pericolosi, fare una seria selezione di «profughi» all’ingresso, chiudere le moschee salafite, riconoscere la responsabilità degli imam etc..


Il primo riconosciuto

Il diciannovenne Vadim Kostenko è la primo militare russo, la cui morte in Siria è stata ufficialmente riconosciuta dall’inizio dell’intervento. Era un tecnico addetto alla manutenzione degli aerei nella base russa a Lattakia. E’ morto sabato 24 ottobre 2015.

Secondo il comunicato ufficiale del Ministero della Difesa russo, si tratterrebbe di un suicidio dovuto a un rapporto sentimentale finito male. Ma siccome negli ultimi anni il Ministero appena nominato mente poco più spesso che sempre, nessuno crede alla versione del suicidio. Le prime indagini confermano i dubbi.