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Le manifestazioni contro la guerra

Ogni sera, da alcuni giorni ormai, passando in piazza Duomo (a Milano) verso le 19:15, vedo questa piccola manifestazione contro la guerra in Ucraina. Si tratta di poche decine di persone (una trentina o poco più? boh, non si capisce molto) con una lunga bandiera ucraina e pochi slogan esclamati in italiano, in russo e in ucraino (a giudicare dall’accento, sono prevalentemente gli ucraini).

Un po’ mi dispiace che siano in pochi a manifestare, anche se capisco benissimo che la sera di un giorno feriale non è il momento ideale per aspettare una ampia partecipazione delle persone impegnate in quella vita quotidiana che rimane sempre importante per i singoli e per la collettività.
Allo stesso tempo, spero che un giorno si ripetano delle grandi manifestazioni che abbiamo visto in giro per il mondo nel fine settimana passato. Anche se osservando da anni il mondo posso constatare che la partecipazione alle manifestazioni può solo diminuire. Però qualche altra grande manifestazione sarebbe stata utile: perché una delle cose che infastidiscono maggiormente Putin è l’amore non condiviso da parte dell’Occidente (in tutte le sue forme, cominciando dalla comunità dei leader politici). Se il termine amore vi pare poco appropriato nel contesto delle relazioni internazionali, sostituitelo pure con l’amicizia. Ma la sostanza è la stessa: in oltre ventitré anni Putin ha percorso la strada da un politico orientato ai buoni rapporti con l’UE e la Nato a un politico che inizia una guerra di conquista in Europa proprio perché si sente – almeno a partire dal 2008 – una persona rifiutata. Una persona rifiutata dalla collettività la cui attenzione e benevolenza ha cercato di conquistare con tutta la sincerità e (oppure «ma»?) con tutti i modi a egli noti. Una persona rifiutata che ora si è arrabbiata e quindi tira le pietre contro le finestre chi lo ha rifiutato.
(Una tristissima curiosità: si dice che ora sarebbe depresso per il fatto che il suo esercito «liberatore» non sia accolto con gioia dagli ucraini!)
Ci vogliono – forse – diverse e intense manifestazioni per convincere definitivamente Putin o almeno una persona della sua cerchia (sì, ne basterebbe una ma coraggiosa) che non ha più senso insistere.


Eccesso di incoraggiamento

Non voglio certo dare dei suggerimenti agli avvocati del prossimo processo di Norimberga (spero che l’imputato principale sopravviva per essere presente fino alla fine), ma Putin avrà una interessante attenuante: è riuscito a scacciare dalle teste delle masse e dalle prime pagine dei mass media i resti del panico per il Covid-19.
Ma ha ampiamente esagerato con i metodi. Quindi è già diventato il protagonista di alcune copertine abbastanza gentili e diplomatiche:

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Dimenticare von Clausewitz

I numerosi «esperti» della politica internazionale amano appellarsi alla famosa citazione del generale e teorico militare prussiano Carl von Clausewitz:

La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi.

Molto probabilmente l’autore di queste parole soffriva di una specie di malformazione professionale e tendeva, dunque, a elevare la guerra – il proprio ambito di studio – al rango dello strumento più importante tra quelli a egli noti.
Tutti gli altri, però, non dovrebbero sentirsi obbligati ad attenersi alla opinione di una sola, concreta, personalità vissuta secoli fa. Alle persone dotate di una minima capacità di analisi basterebbe ripensare alla storia mondiale – anche a livello delle conoscenze scolastiche – per accorgersi che la situazione reale sia di segno opposto alle parole di von Clausewitz: in realtà la politica a essere la continuazione della guerra. Infatti, tutti i governanti (Principi) si sono serviti della politica dopo avere vinto o perso una guerra. Nel primo caso non ne avevamo momentaneamente più bisogno, nel secondo caso non avevano le forze per continuarla (o iniziarne una nuova). Ma ogni qualvolta ce ne fosse la possibilità, si faceva la guerra.
Tantissimi studiosi autorevoli non se ne sono però accorti. Si sono accorti solo di alcuni aspetti formali, quasi estetici: per esempio, del fatto che nel mondo contemporaneo le guerre inizino senza una dichiarazione. Oppure del fatto che sia mutato il concetto del campo di battaglia. In pochi si sono accorti del fatto che la guerra può manifestarsi senza uno diretto scontro armato tra le due parti. Di conseguenza, in pochi si sono accorti che la Terza guerra mondiale ci sia già stata: è durata approssimativamente dal giorno del discorso di Fulton fino al giorno di caduta dell’URSS. E, infine, in pochi hanno notato che la Quarta guerra mondiale sia iniziata anni fa con la cosiddetta guerra ibrida (l’inizio della Seconda era stato in un certo senso simile). Iniziata per il volere di un leader che mentalmente vive ancora in un mondo che a) spartito in aree di influenza decise in base ai risultati della Seconda guerra mondiale; b) non è più necessario fare lo sforzo di continuare la guerra con la politica (diversamente da quanto hanno deciso gli Stati contemporanei).
Da tutto quello che mi è capitato di leggere in questi giorni non sono riuscito a capire bene quanto sia larga la comprensione di un principio preoccupante. La guerra attualmente in corso sul territorio ucraino ha le potenzialità per trasformarsi in una guerra mondiale di aspetto tradizionale, facilmente comprensibile a tutti. È importante capire che la guerra in Ucraina non è iniziata per finire in Ucraina. È importante capire che la vittoria – indipendentemente dai suoi costi – in questa guerra sarà un chiaro segnale per chi l’ha iniziata: «è un modo di fare praticabile», «si può rifarlo ancora». Si può rifarlo come si può rifare tutte le altre imprese passate impunite: per esempio, la guerra in Georgia nel 2008 o l’annessione della Crimea nel 2008. Dove rifarlo? Da qualsiasi altra parte: per esempio, in Finlandia (la quale ha fatto parte dell’Impero russo, quindi ci sarebbe il solito pretesto «storico»).
La Finlandia vi sembra «più europea» della Ucraina? Quindi iniziate a sentire più vicino il pericolo? Bene, molto bene!
Certo, si potrebbe anche prendere l’esempio da Chamberlain e tentare di non infastidire troppo quel tipo pazzo… Ma ci ricordiamo bene come si era sviluppata la cosa.


Le perdite

A causa di una certa sproporzione nelle dimensioni dell’aggressore e della vittima (ma pure nelle due propagande circa la potenza dei rispettivi eserciti), nessuno poteva immaginare che già il secondo giorno di guerra – già venerdì 25 febbraio – si potesse vedere le colonne dei mezzi russi danneggiati e abbandonati sulle strade ucraine:

È assolutamente giusto e doveroso parlare prima di tutto dei danni fatti alla vittima della aggressione. Ma è altrettanto interessante notare che l’esercito russo sta nascondendo – come lo ha sempre fatto – la portata delle proprie perdite. Non sono sicuro che ci sia solo uno (o quello principale?) motivo determinante di tale comportamento. Forse si ha paura di manifestare la debolezza o di dуmoralizzare i propri sostenitori? Boh, non sono pronto ad affrontare un argomento che per ora mi sembra abbastanza difficile.
E poi vediamo pure un video di un mezzo militare russo che investe un’auto civile. Probabilmente, voleva solo salvarla dai neonazisti. Il pensionato che era al volante si è salvato per miracolo.


La guerra in foto

Alex Lourie, un fotografo del National Geographic, si trova in Ucraina e quindi ha la possibilità (è un po’ strano usare questa parola) di postare sul Twitter le proprie testimonianze fotografiche di quanto sta accadendo.


La visione di tutte le foto non sarà un passatempo tanto allegro, ma viviamo in un mondo che è fatto così.


La guerra

So da tempo che Vladimir Putin è pazzo, sempre più pazzo. Ma non potevo immaginare che la situazione fosse così così grave. Anche la persona più malata ha, di solito, una propria logica e una certa dose di pragmatismo: due cose che possono essere molto strane e per nulla condivisibili, ma sono sempre presenti.
A questo punto devo aggiungere: quasi sempre. Perché nella mente di Putin sono assenti.
Era difficile (quasi impossibile) credere che anche la persona più malata potesse iniziare – nel pieno XXI secolo – una invasione militare in stile di quasi cento anni fa: con dei pretesti falsi e con gli obiettivi imperiali. Ma è successo, nonostante il fatto che apparisse poco probabile fino a ieri. Credere nella ragione è troppo facile e, allo stesso tempo, porta alle grandi delusioni.
Ora non so cosa fare e cosa scrivere.
Chiedere scusa agli ucraini? Ma loro non ne hanno bisogno anche perché conoscono la differenza tra i russi (e la Russia) e il regime di Putin.
Spiegare agli europei la stessa differenza tra i russi (e la Russia) e il regime di Putin? Coloro che non l’hanno capita fino a oggi, non la capiranno nemmeno leggendo i miei testi deboli.
Proporre soluzioni e sanzioni o fare previsioni sul futuro? Non ha alcun senso pratico: la situazione creatasi può (e molto probabilmente deve) essere risolta solo dall’interno, con e forze proprie. E ci vorrà moltissimo tempo.
L’unica cosa che posso fare ora è aggiungere la mia voce ad altre singole – ma, vi assicuro, numerose – voci dei miei connazionali. Io dico: disapprovo questa guerra, disapprovo la politica di Putin.

P.S.: non voglio sprecare il tempo dei miei lettori per spiegare delle grosse banalità, quindi non mi metto a raccontarvi, di nuovo, che nessuno conosce il reale grado di sostegno di Putin tra la popolazione russa. Tutte le elezioni e i sondaggi degli ultimi 23 anni sono stati truccati.


Tutti simulano la guerra

In Europa più o meno tutti continuano ad aspettare l’invasione russa dell’Ucraina. Aspettarla temendola; aspettarla sperando che si eviti una nuova guerra in Europa. Io continuo a considerare quella guerra poco probabile (ho già scritto più volte che non reputo Putin capace di prendere le decisioni di questa portata), ma forse oggi conviene aggiungere alcune altre considerazioni.
1) Inizierei dall’ipotizzare il punto di vista della NATO. In questi anni Putin ha dimostrato di essere uno stratega, pensatore e politico assolutamente mediocre: può fare dichiarazioni radicali e inattese, ma non ha la capacità di raggiungere obiettivi politici. Allo stesso modo, non si è dimostrato capace di calcolare le conseguenze a lungo termine delle proprie azioni (non è uno stratega ma solo un tattico). Qualsiasi cosa faccia, l’effetto è sempre dannoso per lo Stato. Così è successo anche questa volta, quando gli è stato chiesto di spiegare il senso della concentrazione delle truppe russe vicino al confine con l’Ucraina: Putin ha improvvisamente cominciato a dettare gli ultimatum geopolitici alla NATO. Ed è stata una auto-fregatura colossale: approfittando del suo tono aggressivo, la NATO ha intenzionalmente alimentato una isteria sull’argomento «la Russia sta per attaccare» per fare finalmente ciò che volava fare da tempo voleva. Mancava solo un pretesto formale e presentabile per pompare l’Ucraina con le armi moderne e rafforzare le forze della NATO in Europa orientale. Quindi la retorica stupida di Putin sul «necessario» ritiro della NATO dall’Europa ha avuto l’effetto opposto: una scusa legale per la NATO per espandersi e rafforzarsi. Putin si è messo a giocare una partita troppo difficile per lui e ha ottenuto lo scacco matto in tre mosse.
2) Inoltre, possiamo provare a ipotizzare il punto di vista dei politici europei e statunitensi (in quest’ultimo caso in realtà possiamo parlare al singolare). A differenza di quanto succede in Russia e negli altri ex membri dell’URSS ora totalitari, i politici europei e americani dipendono fortemente dai loro elettori e fanno il possibile per conquistare la loro simpatia. Quindi di recente hanno scoperto un nuovo modo di conquistare dei grandi benefit politici con il minimo sforzo. Il trucco si chiama «Convincere Putin a non fare la guerra» e consiste in tre passaggi. Il primo passaggio: si afferma che Putin sta per iniziare una guerra. Poiché l’immagine internazionale di Putin è – meritatamente – quella che è, l’affermazione sembra credibile. Da questo deriva il secondo passaggio: esprimere costantemente preoccupazione, chiamare Putin e/o andare da lui ogni giorno per dei negoziati. In questa fase ogni nuovo giorno senza la guerra è presentato (o, se preferite, percepito) come una vittoria personale di quel politico occidentale che è «riuscito temporaneamente a dissuadere Putin». (In questo gioco Putin viene usato, usato come uno spaventapasseri, ma non se ne rende conto ed è contento per l’attenzione da parte dei grandi di questo mondo e orgoglioso per la propria «importanza globale»). Il secondo passaggio consiste – per il politico occidentale – nel presentarsi come un salvatore del mondo e della pace, ottenendo quindi dei bonus politici nel proprio Paese. Di conseguenza, è normale chi in tanti si sono messi ora in fila per «negoziare» con Putin: Biden, Macron, Scholz…
3) Infine, possiamo ipotizzare il punto di vista di Putin. Probabilmente Putin sta sospettando che le sue residenze siano spiate: da qualche dispositivo tecnologico o da una talpa. Quindi per scoprire con esattezza il punto della fuga delle informazioni, sfruttando le poche abilità acquisite grazie alla prima professione, si sposta da una stanza all’altra e pronuncia delle frasi diverse. Nel cesso dice: «Ordino al ministro della difesa di attaccare Kiev domani!». Nella camera da letto dice: «Voglio creare un sito di test nucleari nell’Artico!». Nel salotto dice: «ho finalmente deciso a fare una proposta di matrimonio alla regina Elisabetta!» Etc. etc… Insomma, in base alla frase diventata di dominio pubblico tenta di individuare il punto di fuga delle informazioni. A quanto pare, la cimice è nascosta nel cesso.

Pur non essendo un grandissimo esperto nelle questioni militari, avrei potuto tentare un confronto tra le dotazioni tecniche-militari russe e quelle della NATO. Ma questo, in ogni caso, è un altro argomento.


Una brutta mancanza di comprensione

Secondo la Reuters le autorità statunitensi starebbero considerando ulteriori misure restrittive nei confronti della Russia per l’eventualità di una invasione russa della Ucraina. In particolare, si penserebbe anche alle misure di «emergenza» per limitare le esportazioni verso la Russia. Tali misure includono un divieto sull’export di telefoni, componenti chiave per la produzione degli aerei e delle automobili, ma anche di materiali «per molte altre industrie».
Cosa possiamo apprendere da questa notizia? Per l’ennesima volta possiamo apprendere che l’amministrazione di Joe Biden non ha capito più o meno niente di Vladimir Putin. Infatti, Putin – come lo conosciamo oggi – continua a non voler assumere alcuna responsabilità per le scelte difficili. Non ammette la responsabilità per gli atti terroristici compiuti all’estero (avvelenamenti e altri omicidi), per gli abbattimenti degli aerei (sicuramente vi ricordate del volo MH17) e per l’invasione dei territori altrui (l’intervento dell’esercito russo in Crimea non è stato riconosciuto). Di conseguenza, non abbiamo dei motivi per pensare che improvvisamente cambi e decida di sanzionare, da Comandante supremo delle forze armate, l’inizio di una guerra con un qualsiasi Stato di questo pianeta.
La concentrazione delle forze militari russe continua a essere solo uno strumento della «diplomazia» contemporanea russa: serve per dire «trattatemi bene che sono un pazzo armato».
Di conseguenza, mi dispiace tanto che negli USA vangano sprecati il tempo e le forze…
P.S.: per qualche motivo nelle ultime settimane tutti continuano a dire e scrivere, con una intensità maggiore di prima, che le forze armate russe siano aumentate vicino al confine con l’Ucraina. Ma in realtà l’aumento che intendono si è verificato a Elnja, vicino al confine con la Bielorussia.

Boh, sarà perché per la maggioranza dei giornalisti si tratta delle terre ugualmente lontane e sconosciute.


Le memorie di un militare perfetto

Non mi ricordo più bene chi mi abbia consigliato il libro del generale tedesco Fridolin von Senger und Etterlin «Neither fear nor hope», ma non importa. L’importante è che oggi io posso consigliare a voi questa opera impressionante, al confine dell’incredibile. Si tratta della descrizione di alcuni singoli momenti della Seconda guerra mondiale, raccontata da uno dei loro diretti e attivi partecipanti come se quei momenti fossero un banale gioco di ruolo o una partita sportiva. Momenti raccontati nei loro aspetti puramente tecnici con quasi lo 0% delle emozioni: se non ci fossero alcune – non particolarmente frequenti – considerazioni critiche nei confronti di Adolf Hitler (non posso valutare quanto siano sincere), si potrebbe addirittura pensare che si tratti di una raccolta di rapporti scritti trasformati in un libro di divulgazione storica. Solo gli ultimi capoversi di tutto il libro appaiono, a grande sorpresa, più tipici per un romanzo di avventura che per una raccolta di memorie rigorose: pare che l’ex alto ufficiale, essendo indubbiamente una persona altamente istruita e dotata di un certo stile, segnali in tal modo la trasformazione – almeno sulla carta – di un militare in un civile.
Insomma, è uno dei libri di storia più insoliti che io abbia mai letto.

Dal punto di vista dei contenuti, non so quale parte vi possa interessare di più (anche se non penso che si possa distinguere tra quelle più e meno importanti). Nel libro si parla dell’inizio della invasione della Francia, di alcune operazione nell’URSS, nel Nord d’Italia e in Sicilia, dei lunghi combattimenti nella zona di Montecassino e, infine, della prigionia nei campi americani e britannici. Considerata la mia «specializzazione», metterei in evidenza una osservazione di von Senger poco ovvia per molti nostri contemporanei sulla guerra in Russia.
Più o meno tutti si ricordano, fin dai tempi scolastici, del famigerato Generale Inverno che avrebbe aiutato a sconfiggere tutti gli invasori della Russia. Fridolin von Senger und Etterlin aggiunge, da parte sua, che nell’esercito sovietico era presente anche il Generale Buio:

In relazione alle difficoltà di adattamento delle truppe alle condizioni locali, ho spesso ricordato una situazione analoga. Un soldato occidentale è in svantaggio rispetto alla sua controparte russa perché è meno preparato all’oscurità. Quando dovevamo operare di notte, accendevamo le luci. Mentre i russi fanno ancora la maggior parte delle loro operazioni notturne al buio: le riparazioni, i rifornimenti di carburante e le lunghe marce durante le lunghe notti invernali. La notte per loro è una copertura segreta e un alleato, ma per un occidentale è un nemico e un’ulteriore fonte di paura in battaglia.
[pezzo tratto dal Capitolo 5, traduzione mia]

Direi che consiglio questo libro a tutti gli amanti veri della storia che hanno la disponibilità mentale ad ascoltare anche la voce della parte opposta. Volendo, potete provare a cercare l’edizione italiana: so che il libro è stato tradotto (il titolo italiano dovrebbe essere «Combattere senza paura e senza speranza», se ho capito bene). In inglese, comunque, si trova senza grossi problemi.


Nagorno Karabakh

Dato che i media occidentali in qualche modo tentano di parlare del conflitto che si è riacceso nel Nagorno-Karabakh, provo a fare pure io un commento. Non mi metto a raccontare tutta la storia pluridecennale del problema – chi si interessa se la (ri)legge da solo – ma vi aggiorno sulle sue particolarità attuali. L’obiettivo è dimostrare che non tutti i problemi possono essere risolti dalle «potenze» geograficamente più vicine.
Formalmente, il conflitto in corso vede confrontarsi due Stati (l’Armenia e l’Azerbaigian) per il controllo del territorio Nagorno Karabakh (in teoria sarebbe uno Stato non riconosciuto più o meno da tutto il mondo).
Quindi da una parte c’è l’Armenia: è l’unico Paese menzionato nelle cronache babilonesi che al giorno d’oggi esiste ancora. Nel corso dei millenni trascorsi tra la suddetta citazione e la data odierna, l’Armenia ha perso quasi tutti i suoi territori, compreso il suo grande simbolo: il Monte Ararat. Tutti quei territori sono stati staccati, a pezzi, dai vicini-invasori.
Quando parliamo dei vicini-invasori, prima di tutto dobbiamo pensare alla Turchia e all’Azerbaigian (la seconda parte formale del conflitto), i quali si offendono tantissimo ogni qualvolta si tenta di ricordare a loro anche la storia più o meno recente. Così, per esempio, molte edizioni delle guide e promemoria distribuiti ai turisti in visita in Turchia avvisano esplicitamente: mai chiamare Istanbul col nome Costantinopoli in presenza dei turchi. I turchi di oggi vivono nella capitale dell’Impero Bizantino che i loro antenati hanno conquistato in una guerra offensiva. Conquistato e, dopo avere massacrato la popolazione, anche semi-distrutto fisicamente. Ancora oggi lo Stato turco (solo per non ripetere i nomi delle nazionalità) continua a convertire le chiese cristiane in moschee, ma allo stesso tempo non ama che qualcuno gli ricordi quanto appena scritto. Ci sono moschee e santuari musulmani sul territorio dell’Armenia. Non ci sono chiese armene (quindi cristiane) sul territorio della Turchia e dell’Azerbaigian (l’Armenia, tra l’altro, è il primo Paese al mondo ad aver adottato ufficialmente il cristianesimo). Gli antichi cimiteri e santuari armeni, finiti in diversi anni all’interno dei confini della Turchia e dell’Azerbaigian assieme ai territori conquistati, sono tutti distrutti. E lo Stato turco non riconosce tuttora il genocidio armeno condotto cento anni fa. Anzi, manifesta delle reazioni furiose quando qualcuno tenta di parlarne.
In continuazione della logica storicamente affermata (purtroppo), anche il Nagorno-Karabakh – tradizionalmente abitato dagli armeni – è sempre stato l’oggetto dell’odio in Turchia e in Azerbaigian. Naturalmente, i piani per l’annessione di questa regione venivano preparati da molto tempo (oggi i politici turchi e azerbaigiani parlano di una «soluzione definitiva della questione»).
Proprio per questo l’Armenia contemporanea ha inizialmente puntato praticamente tutto sulla Russia. Proprio per questo le unità militari russe sono state ufficialmente di stanza in Armenia per tutti questi anni: la Russia aveva promesso all’Armenia di fare da garante della pace nella regione e di fornire una protezione quando i turchi o gli azerbaigiani dovessero finalmente attaccare militarmente. Nessuno ha mai dubitato di quest’ultima opzione: né l’Armenia, né la Turchia con l’Azerbaigian. Non si tratta dunque dell’intento dichiarato di richiedere un aiuto militare nel caso di una invasione attesa. Si tratta delle truppe russe presenti sul territorio in modo permanente – nelle proprie basi militari – già pronte da anni a intervenire. Trattandosi più di una certezza che di un rischio, lo Stato armeno ha sempre dimostrato la disponibilità di tollerare anche degli episodi abbastanza gravi: per esempio, la fuga di un soldato russo impazzito finita con l’uccisione una famiglia armena: l’accordo di protezione con la Russia ha l’importanza vitale per l’intero Stato.
Quindi nella situazione attuale, quando gli azeri hanno nuovamente radunato le proprie forze armate e hanno iniziato l’invasione del Nagorno-Karabakh, la Russia avrebbe potuto fermare la guerra con una mossa semplice e poco impegnativa: solo per ricordare di essere una alleata dell’Armenia, avrebbe potuto far fare un volo esemplare ai suoi aerei stanziati sulle basi locali. Non sarebbe servito nemmeno un bombardamento, nemmeno un episodio di combattimento da parte delle truppe russe: solo una dimostrazione di forza e di volontà politica. E la guerra sarebbe finita subito. Né l’Azerbaigian né la Turchia (che era entrata in guerra dalla sua parte su un territorio straniero) avrebbero trovato oppotuno scontrarsi militarmente con la Russia.
Ma la Russia non farebbe mai nemmeno quella semplice mossa. Perché? Prima di tutto, Putin è un – usiamo un termine un po’ diplomatico – fifone. In tutti i vent’anni che si trova al potere, non ha preso una sola decisione realmente forte. Tutto quello che sa fare è agire alla chetichella. Sa mandare in uno Stato vicino i sabotatori in uniforme senza i gradi, contrabbandare le attrezzature militari all’estero mascherandole con un convoglio umanitario, far applicare delle sostanze velenose sulle porte altrui, e, ogni volta beccato, ripetere: non siamo stati noi, noi non c’entriamo niente…
In secondo luogo, bisogna ricordare che la Russia è il peggior alleato che si possa immaginare. La Russia non ha amici: la Russia ha litigato con tutto il mondo che la circonda, ha rovinato i rapporti non solo con le grandi potenze mondiali, ma anche con quasi tutti i propri vicini. In tempi di pace, la Russia può anche prendere impegni con l’Armenia e garantirle generosamente la protezione. Può farlo per dei piccoli guadagni a breve termine. Ma sicuramente non rispetterà gli impegni presi nel momento decisivo, quando ce ne sarà il reale bisogno.
La Russia – intesa come un insieme delle personalità al governo – ha i suoi problemi e suoi obbiettivi. È in corso lo scandalo con l’avvelenamento dell’oppositore Navalny, di conseguenza si intuiscono le nuove sanzioni occidentali in arrivo, la caduta del rublo, la minaccia di non poter completare/sfruttare il nuovo gasdotto Nord Stream-2. Ecco perché la Russia, e prima di tutto Putin, fa tutto il possibile per «non ricordare» degli impegni presi. Anzi, in un certo senso la guerra in Armenia conviene alla Russia. Perché permette di «invitare le parti alla pace», fare la faccia triste davanti alle telecamere, inviare un paio di scatole di bende nelle zone di combattimenti e apparire un umile pacificatore nella speranza di rafforzare, in questo modo, la propria immagine internazionale scossa. Ma l’aiuto concreto all’Armenia nell’ambito dell’accordo di alleanza non è assolutamente nei piani della Russia.
In realtà questa è la risposta alla domanda perché tutti Stati del mondo – anche quelli che geograficamente, culturalmente e spesso politicamente sono più vicini alla Russia – si rivolgono alla NATO in ogni occasione di difficoltà. Lo fanno perché capiscono: una alleanza con la NATO è mille volte più sensata e sicura di una alleanza con la Russia. Perché la Russia tradirà nel momento del primo problema serio.
L’Armenia ha sempre puntato tutto – o quasi – sulla sua amicizia con la Russia: questo è stato un suo errore fatale.
La Turchia è da tempo nella NATO (il fatto di cui la NATO si sta pentendo da tempo). Ora la Turchia ha gli F-16 con armamenti missilistici e droni, i quali, pur essendo vecchi, possono, nel caso di un conflitto diretto, distruggere facilmente qualsiasi mezzo militare di produzione russa. Le armi russe di produzione contemporanea, purtroppo, non possono assolutamente competere con anche le più antiche generazioni di quelle occidentali. Non c’è dunque alcun problema per la Turchia a dichiarare di essere un alleato all’Azerbaigian e di andare in guerra sul territorio di un altro Stato semplicemente per l’amicizia e per la ricerca della «soluzione finale della questione». Ma la Russia si aggrapperà certamente alla scusa che il Karabakh non è esattamente l’Armenia, quindi gli accordi non funzionano e bla bla bla…
Bene, ora avete qualche elemento in più per orientarvi bene nella situazione.