Come sicuramente vi ricordate, con l’inizio della invasione russa della Ucraina alcune aziende occidentali hanno deciso di limitare o addirittura abbandonare l’utilizzo dei loro logo con la «Z» (perché la lettera è diventata un simbolo dell’esercito russo, una mezza-svastica). In tal senso, l’esempio più noto è della compagnia assicurativa Zurich Insurance.
Io, nel frattempo, solo oggi ho saputo del diffondersi in Russia di un interessante fenomeno sociale. Ho scoperto che diverse persone rinunciano a indossare le scarpe della New Balance: perché sui piedi in movimento il logo della azienda ricorda la «Z».
In uno Stato sempre più totalitario anche questo è un modo valido per prendere le distanze dalla politica del colonnello impazzito. (Voi, probabilmente, non lo sapete, ma per le scarpe e/o vestiti sui quali sono presenti i colori, anche «di fabbrica», della bandiera ucraina in Russia si rischiano — altamente — 10 giorni di carcere.)
ora si potrebbe fare delle scommesse: la New Balance cambia il proprio logo o abbandona il mercato russo?
L’archivio del tag «guerra»
Molti analisti militari (russi, ucraini e di altri Stati) hanno più volte sottolineato che l’esercito russo, aspettandosi una vittoria facile e veloce in Ucraina, ha speso la maggior parte dei propri armamenti moderni nei primi giorni della guerra e, dovendo ora sostenere un conflitto militare prolungato, si sta organizzando in due modi. In parte sta utilizzando degli strumenti poco adatti alle necessità correnti (avevo già scritto di un esempio). E in parte è costretto a recuperare dai magazzini degli armamenti vecchi (non utilizzati da anni o decenni), aggiornarli e inviarli al fronte. Molte di quelle apparecchiature – in un certo senso possono essere definite museali – semplicemente non funzionano, o funzionano molto male.
La settimana scorsa, per esempio, si è scoperto che la fabbrica di riparazione dei mezzi blindati di Ekaterinburg ha iniziato a modernizzare – naturalmente su ordine statale – più di duecento veicoli militari obsoleti. È la conseguenza dei due lotti del valore complessivo di oltre 85 milioni di rubli apparsi sul sito degli appalti governativi. L’oggetto dell’acquisto è «Accessori per carri armati e altri veicoli corazzati da combattimento». Come risulta dalla documentazione, la fabbrica deve fornire 53 mila articoli. In base al prezzo unitario e al profilo dell’azienda, agli analisti è chiaro che devono essere forniti i container di protezione dinamica «Contact-1». I container acquistati nell’ambito di questo contratto saranno sufficienti a fornire protezione a circa 230 carri armati. Ma i carri armati moderni dovrebbero essere dotati di tali container dal momento della fabbricazione, quindi è evidente che si tratta dell’aggiornamento dei modelli degli anni ’70 e ’80 non dotati della protezione dinamica (che impedisce ai proiettili a carica sagomata dell’artiglieria di bruciare la corazza). Inoltre, bisogna ricordare che il «Contact-1» è una protezione obsoleta: il modello successivo «Contact-5» è stato sviluppato nel 1985.
Insomma, ora avete qualche idea in più sulla gravità della situazione. Soprattutto se considerate le informazioni appena apprese parallelamente a quelle sul Land-Lease Act riproposto a favore della Ucraina.
Nel frattempo, secondo me, in qualche ufficio del Ministero della Difesa russo si sta discutendo della opportunità di ridare vita alla cavalleria dei tempi della Prima guerra mondiale: in una guerra del XXI secolo sarà utile più o meno quanto i carri armati…
Ormai tutti sanno che oggi Vladimir Putin ha un po’ «deluso» le attese più pessimiste di molti analisti: tenendo il discorso alla parata militare per la Giornata della Vittoria non ha dichiarato la guerra alla Ucraina e al mondo, non ha dato il via alla mobilitazione di massa e non ha nemmeno detto di avere vinto qualche altra guerra o battaglia importante. Ha solo ribadito le proprie fantasie perverse sulla Russia circondata dai nemici.
L’aspetto preoccupante è un altro: ha ufficialmente e definitivamente trasformato una festa importante (anche se troppo militarizzata, statalizzata e storicamente un po’ artificiale) in una festa della guerra permanente tra la Russia e il mondo circostante. Da quasi vent’anni la propaganda statale sosteneva che l’URSS non avrebbe avuto degli alleati nella Seconda guerra mondiale e avrebbe «fatto tutto da sola». Ora quegli ex alleati – ai quali in realtà dovremmo essere grati per gli aiuti importantissimi – vengono apertamente accusati della politica aggressiva durante e dopo la «guerra fredda».
Di conseguenza, posso constatare che con la fine della Russia putiniana finirà inevitabilmente anche l’epoca della Giornata della Vittoria. Fino a pochi anni c’erano ancora delle persone che sognavano di trasformare quella festa militare in una giornata pacifica di lutto e di memoria. Ma ora che è diventata una festa di nuova aggressione nazista (perlopiù contro i territori che hanno già sofferto tanto durante la Seconda guerra mondiale), dovrà necessariamente essere cancellata nella futura Russia normale.
A questo punto, l’unica cosa costante è: la sola festa non ancora rovinata che la Russia ha ereditato dal passato è il 12 aprile, la Giornata della Cosmonautica.
Il 21 aprile nei cinema russi è uscito un nuovo film di guerra che non ho visto e, in realtà, non so nemmeno se vedrò (per i film su quella tematica solitamente aspetto i commenti degli esperti di fiducia). Ma ho comunque un motivo per scriverne già ora.
Il nome del suddetto – «Il primo Oscar» – si riferisce palesemente alla storia del primo premio Oscar ricevuto dagli autori sovietici: quello per il documentario «La disfatta delle truppe tedesche vicino a Mosca» girato nel 1942 dai cine-cronisti militari sovietici.
Il nuovo film del 2022 dedicato a quella storia potrebbe anche essere bello (non lo so ancora). Sicuramente parla di alcuni episodi di vero eroismo. Sicuramente è stato concepito, girato e montato prima del 24 febbraio 2022. Sicuramente pure il suo poster è stato concepito e realizzato prima della guerra con l’Ucraina. Ma, comunque, come ci si può liberare – ora che abbiamo visto e letto di tutto sulla guerra in corso – della sensazione che un soldato sovietico stia portando una lavatrice fuori dalla battaglia?
Probabilmente è per questo che Yandex ha rimosso quasi completamente il vecchio poster dai suoi risultati di ricerca (sostituendolo con altri poster per non imbarazzare la gente), mentre Google non si è preoccupato di nulla e mostra ancora una schermata intera di queste lavatrici.
Non so se tutti se ne siano accorti, ma alla fine di aprile in Ucraina l’esercito russo ha iniziato a utilizzare i missili anti-nave P-800 Oniks anche contro gli obiettivi di terra (lo sottolinea anche il statunitense Institute for the Study of War). Il 30 aprile, per esempio, tali missili sono stati utilizzati per colpire l’aeroporto di Odessa.
Il fenomeno stesso dell’utilizzo improprio di quei missili ci porta a una conclusione molto semplice e logica: l’esercito russo sta finendo le scorte di altri tipi di missili. Sta finendo quelle scorte anche perché all’inizio della invasione — essendo convinto di vincere in tempi brevissimi — ha utilizzato i missili «normali» con una «generosità» spensierata: probabilmente vi ricordate, per esempio, dell’utilizzo tecnicamente inspiegabile dei missili ipersonici Kh-47M2 Kinzhal.
Pensate che questa conclusione sia un fenomeno positivo, una possibile fonte di speranze positive? Non illudetevi.
Ora, per produrre i nuovi esemplari dei missili più adatti alla tipologia della guerra in corso ci vogliono i soldi (per ora non mancano), il tempo (la sua disponibilità dipende dalla velocità di rifornimento dell’esercito ucraino) e alcune componenti di produzione estera (potrebbero scarseggiare a causa delle sanzioni occidentali). Data la tendenza di condurre questa guerra con gli strumenti della metà del secolo scorso (i carri armati nel XXI secolo inoltrato!) potremmo dunque presumere due modi di alimentare la continuazione della guerra stessa: provare a schiacciare il «nemico» con la massa umana o utilizzare le armi di distruzione di massa.
La prima opzione viene di fatto confermata dalle voci degli ultimi giorni. Quelle voci, in base alle quali Putin sarebbe intenzionato a dichiarare ufficialmente guerra alla Ucraina il 9 maggio e dare quindi il via alla mobilitazione di massa.
La seconda opzione preoccupa molte persone da diverso tempo. Il rischio esiste, ma i suoi effetti potrebbero rivelarsi di importanza locale (ma il fatto stesso rimarrebbe grave).
Purtroppo, questa guerra non avrà mai dei periodi noiosi.
Segnalo un articolo che molto probabilmente non avreste trovato da soli (oppure trovato con un certo ritardo): l’indagine della «Mediazona» su chi siano stati quei militari russi la cui morte nella guerra in Ucraina è [più o meno] ufficialmente nota al giorno d’oggi. Metto il link alla versione inglese dell’articolo.
Il testo riporta tanti dati: sono descritti in un modo abbastanza comprensibile e illustrati con tanti grafici. L’indagine in generale mi è sembrata fatta abbastanza bene.
Se vi dovesse capitare, in questi giorni, di leggere della «lista dei corrotti e dei guerrafondai» russi (quasi sei mila nomi) stilata dai colleghi di Alexey Navalny al fine di segnalare all’Occidente i nomi dei futuri destinatari delle sanzioni personali, non illudetevi. Per ora si tratta di una lista molto, molto provvisoria. Infatti, anche una lettura non particolarmente attenta di quella proposta consente di notare una serie di imperfezioni. Per esempio, alcuni nomi vengono ripetuti in più sezioni della lista. Alcuni nomi, poi, evidentemente sono stati inseriti in fretta e per sbaglio (perché sono delle persone normali che tempo fa hanno avuto qualche forma di contatto con qualche organo di propaganda russa). Alcuni nomi apparentemente evidenti, al contrario, mancano.
Però si tratta dell’inizio di un lavoro importante. Un lavoro sulla ricerca di quelle persone che devono essere non «riprese» o «punite», ma fermate. Fermate per rendere impossibile il loro sostegno alla guerra in Ucraina e, quindi, avvicinare più possibile la fine della guerra stessa.
In questi giorni si vedono dei progressi nella fornitura delle armi all’Ucraina. In particolare, la Germania ha per la prima volta annunciato la fornitura delle armi pesanti, mentre l’Italia ha per ora confermato le proprie intenzioni di effettuare delle forniture.
Nell’ambito di queste notizie devo, purtroppo, constatare di vedere ancora in giro degli esseri da somiglianze umane contrari agli aiuti militari all’Ucraina. Non penso che di questi tempi abbia senso essere diplomatici: si può serenamente ammettere che quegli esseri sono dei complici di Vladimir Putin nel suo intento di cancellare l’Ucraina libera e sovrana dalla faccia della terra.
Attualmente non sono del tutto chiare le motivazioni dell’odio di Putin verso lo Stato vicino e verso il suo popolo (possiamo fare solo delle ipotesi), ma la sua determinazione è evidente. Non ha paura di provocare numerose vittime umane, non ha paura delle sanzioni e dell’isolamento della Russia, non ha paura del crollo della economia russa, non ha paura di essere riconosciuto un criminale internazionale, non ha paura di tutti quei concetti che alcuni politici europei cercano ancora a spiegargli (cose elencate in ordine quasi casuale). Sicuramente non avrà paura nemmeno delle manifestazioni nelle piazze europee con delle bandierine ucraine o degli inviti alla pace su Facebook. Andrà avanti finché avrà i mezzi per farlo. Andrà avanti fino alla «soluzione finale del problema ucraino». Anche perché capisce (spero) che fermarsi significa perdere tutto.
Di conseguenza, privare l’Ucraina dei mezzi tecnici di condurre questa guerra significa avvicinare la vittoria dell’esercito di Putin.
La vittoria militare farà pensare a Putin che la guerra sia una via praticabile per raggiungere i propri obbiettivi anche in Europa.
E i pacifisti rincoglioniti di fatto lo stanno appoggiando già ora. Non so cosa debba succedere poiché cambino l’idea.
La settimana scorsa l’azienda tedesca Statista ha prodotto un rapporto – naturalmente non quello definitivo – sulla provenienza e l’entità degli aiuti militari all’Ucraina: «Where Military Aid to Ukraine Comes From». Alcuni dei dati pubblicati sono interessanti.
Guardando le promesse di aiuto militare all’Ucraina tra l’inizio dell’invasione russa e il 27 marzo, il governo degli Stati Uniti si è impegnato a fornire di gran lunga il maggior numero di armi e altri equipaggiamenti. Quasi 4,8 miliardi di dollari in aiuti militari sono stati promessi fino a questa data, secondo l’Ukraine Support Tracker del Kiel Institute for the World Economy. Questo numero potrebbe presto aumentare ancora di più, dato che la Casa Bianca starebbe preparando un altro sostanzioso pacchetto di aiuti militari. Insieme a un pacchetto simile annunciato a metà aprile, il nuovo round di finanziamento aumenterebbe gli aiuti militari degli Stati Uniti all’Ucraina di altri 1,6 miliardi di dollari.
La seconda classificata, l’Estonia, ha promesso molto meno – 240 milioni di dollari – nell’arco di tempo dato, ma l’aiuto militare impegnato dal paese ammonta allo 0,8% del PIL della piccola nazione. Questo è molto di più in termini relativi di qualsiasi impegno degli altri principali donatori all’Ucraina, anche quando si combinano gli impegni di aiuto militare, finanziario e umanitario. L’impegno combinato degli Stati Uniti di circa 8,3 miliardi di dollari in aiuti umanitari e militari ammonta solo a circa lo 0,04% del suo PIL.
I prossimi maggiori donatori di aiuti militari all’Ucraina sono Regno Unito, Italia, Svezia e Germania. Uno dei più grandi vicini dell’Ucraina, la Polonia, appare più in basso nella lista, avendo promesso pochissimo aiuto militare al paese, concentrandosi invece su impegni di aiuto finanziario di circa 900 milioni di dollari, il che lo rende il secondo più grande donatore complessivo all’Ucraina dopo gli Stati Uniti.
Ecco il relativo grafico:
Volendo, potete vedere il rapporto originale sul sito.
Anche oggi provo ad aggiungere qualche elemento interessante al ritratto di Vladimir Putin…
Non so se vi sia capitato di leggerlo da qualche parte, ma ieri Putin ha ufficialmente concesso alla 64a Brigata motorizzata indipendente (una formazione tattica dell’esercito) il titolo onorario di «Brigata delle guardie».
Il testo del decreto presidenziale, tra l’altro, dice:
Per l’eroismo e il coraggio di massa, la fermezza e l’audacia dimostrati dal personale della brigata in azioni di combattimento per difendere la Patria e gli interessi dello Stato nei conflitti armati, risolvo: assegnare alla 64a Brigata Motorizzata Indipendente il titolo onorifico di «Brigata delle Guardie» e d’ora in poi di chiamarla 64a Brigata Motorizzata Indipendente delle Guardie.
Molto probabilmente sarete sorpresi a scoprire che si tratta della Brigata che ha operato sul territorio di Bucha prima del ritiro delle truppe russe dai territori vicini a Kiev.
Se avete letto e visto almeno una minima parte delle testimonianze arrivati da Bucha dall’inizio di aprile, ora sapete in cosa consistono – secondo Vladimir Putin – l’eroismo, il coraggio, la fermezza e l’audacia.
Ehm… so che in Italia esistono [ancora] dei putiniani convinti…
No, ci ho ripensato: non ho proprio voglia di vedere o sentire la loro reazione…