Quando il giornale The New York Times pubblica i nomi – ovviamente solo alcuni, quelli che si è riuscito a scoprire – dei militari russi che hanno compiuto le violenze contro i civili a Bucha, dimostra di avere fatto un ottimo lavoro giornalistico. Tale lavoro avrà relativamente poche conseguenze nel periodo storico seguente alla conclusione della guerra (perché i processi penali saranno fatti ai rimasti in vita e inizieranno dagli ufficiali), ma potrebbe – spero – influire sull’andamento della guerra.
Infatti, oltre a scoprire e pubblicare i nomi, sarebbe molto utile informare i militari russi del fatto che tutte le loro «imprese» diventeranno note prima o poi. Questo potrebbe, almeno in alcuni casi, essere un bel deterrente contro i nuovi crimini di guerra o la partecipazione alla guerra stessa. Non so (ancora) come si possa fare, ma conviene provare: anche una vita ucraina salvata sarà già un risultato positivo.
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La cosa più importante da sapere / capire della visita di Vladimir Zelensky negli USA è il fatto che si è trattato di una visita al Congresso e non a Biden. In molte occasioni abbiamo già visto che il presidente Biden capisce benissimo l’importanza degli aiuti militari all’Ucraina. Allo stesso tempo, mi ricordo benissimo che lo stesso Biden aveva avvisato Zelensky delle possibili difficoltà nel convincere il Congresso della necessità di nuovi aiuti qualora l’Ucraina non si dimostrasse «sufficientemente grata».
Di conseguenza, penso proprio che Biden abbia «invitato con insistenza» Zelensky a correre il rischio di fare questo viaggio. E non vedo alcunché di male in questa grande collaborazione tra i due.
Purtroppo, l’Ucraina ha pochissimi alleati attenti e disponibili come lo è Biden.
A volte le buone notizie ci giungono in un modo inatteso: per esempio, dai comunicati stampa apparentemente di routine. Così, ieri ho scoperto che i vertici militari russi hanno lo stesso coraggio e la stessa attenzione ai dettagli di Putin.
Il Ministero della «Difesa» russo ha comunicato che sabato il ministro Sergei Shoigu avrebbe visitato le posizioni militari russe in Ucraina, avrebbe «sorvolato le aree di schieramento delle truppe» e avrebbe, in prima linea, «parlato con i militari russi e li ha ringraziati per il loro esemplare svolgimento dei compiti di combattimento». Un video che accompagna il comunicato stampa mostra Shoigu in volo su un elicottero…
Ma cosa si vede dall’oblò dell’elicottero? Si vede questo:
L’erba di colore verde estivo? A metà dicembre in Ucraina? Seriously?
Ma noi dobbiamo affrontare tutto in un modo scientifico. Proviamo a vedere che tempo fa ora, in questi giorni, nelle regioni del Donbass «visitate».
Il tempo a Donec’k:
Il tempo a Luhans’k:
Insomma: come al solito, l’unica cosa che sanno fare è mandare al fronte un po’ di massa umana. Ma non andarci in prima persona.
Le ipotesi – o, a volte, le speculazioni – circa la possibilità dell’uso della bomba atomica, da parte della Russia, nel contesto della guerra in Ucraina spuntano sui media occidentali un po’ a ondate. Solitamente ogni nuova ondata è dovuta al fatto che Putin – in prima persona o con la bocca di qualcuno dei suoi portavoce ufficiali e non – per l’ennesima volta inizia a ricattare il mondo intero: «trattatemi bene o spacco tutto». A me (e non solo a me) la possibilità dell’uso della bomba atomica sembra non nulla, ma nemmeno particolarmente realistica. Allo stesso tempo, non vorrei ripetere l’errore di febbraio, quando in base alle semplici logica e razionalità avevo escluso la possibilità di una vera guerra tra la Russia e l’Ucraina.
In ogni caso, gli unici abitanti del nostro pianeta a non dimenticare e a non sottovalutare mai il rischio dell’uso della bomba atomica sono gli ucraini: da quasi dieci mesi, ogni giorno, più volte al giorno, devono prepararsi al peggio (provate a immaginarvi in una situazione simile). Proprio a questo argomento è dedicato l’interessante articolo che vi segnalo questo sabato: The Washington Post ha raccontato del come alcuni abitanti di Kiev si stanno preparando all’attacco nucleare da parte della Russia.
Nella sua fresca intervista a «The Economist» Valeriy Zaluzhny, il comandante in capo delle forze armate ucraine, ha dichiarato che l’esercito russo potrebbe fare un secondo tentativo di arrivare fino a Kiev. Secondo Zaluzhny la prossima fase della guerra inizierà l’anno prossimo e sarà caratterizzata dai combattimenti più attivi. Nel migliore dei casi inizierà a marzo, nel peggiore a fine gennaio.
Già in questa sintesi della parte più significativa della intervista si possono trovare la conferma di un principio evidente da mesi e l’avvertimento altrettanto vecchio all’Occidente.
Il vecchio principio noto è: Putin non può permettersi di perdere questa guerra e, di conseguenza, è costretto di scegliere tra continuarla all’infinito e arrivare a qualche accordo vendibile come «vittoria». E dato che l’Ucraina non è [più] disposta di accettare un risultato diverso dalla liberazione di tutti i suoi territori – compresi la Crimea e tutto il Donbass –, la guerra andrà avanti fino alla vittoria di una delle parti. Con la conseguenza dei nuovi tentativi di avanzare intrapresi da entrambi gli eserciti.
L’avvertimento all’Occidente, per l’ennesima volta ripetuto in termini abbastanza chiari anche nella intervista citata è: se non si vuole che la guerra continui all’infinito (con tutte le conseguenze anche sulla vita quotidiana dell’Occidente, se il solo fatto della guerra non bastasse), bisogna fornire gli armamenti offensivi (e non prevalentemente difensivi, come si è fatto fino a oggi) all’Ucraina.
A questo punto sarebbe forse logico chiedersi se l’indecisione dell’Occidente circa gli aiuti militari all’Ucraina non sia una delle garanzie principali della lunga durata della guerra in corso. Si tratta di una verità abbastanza triste e scomoda, ma spero che venga presto presa in considerazione da più persone possibile.
In tanti hanno notato la cancellazione di due grandi apparizioni tradizionali di fine anno di Vladimir Putin: la conferenza stampa (chiamata anche «linea diretta», viene cancellata per la prima volta dal 2001) e il discorso all’Assemblea federale (cioè alle Camere del Parlamento riunite; tale messaggio annuale è in realtà previsto dalla Costituzione). Alcune fonti dei giornalisti russi avrebbero detto che si tratta di una scelta personale di Putin.
Effettivamente, pure Putin comprende benissimo che l’argomento centrale di entrambi gli eventi avrebbe dovuto essere la guerra in Ucraina: un argomento sul quale non si ha alcunché di positivo da dire. Il carattere negativo della situazione corrente non si limita solo alla avanzata dell’esercito ucraino o alla perdita dei «nuovi territori russi» annessi alla fine di settembre. L’aspetto più difficile – e scioccante per Putin e i suoi collaboratori – è l’inizio degli attacchi ucraini agli aeroporti militari russi nella profondità del territorio tradizionale russo. In sostanza, Putin non saprebbe spiegare perché, nonostante anni di dichiarazioni «fighe», non è capace di «difendere» la Russia dagli attacchi militari concreti. E non saprebbe rispondere a tante altre domande sull’andamento della guerra (si sospetta, abbastanza logicamente, che la classica risposta putiniana «è tutta colpa dell’Occidente» non sarebbe più sufficiente). L’ultimo argomento a favore della cancellazione dei due eventi è la paura per le nuove «azioni di sabotaggio» da parte della Ucraina: si intendono altri attacchi simili a quelli contro gli aeroporti o alla esplosione del ponte di Crimea.
Considerato quanto scritto, non so quanto sia corretto affermare che Putin sarebbe sparito. È meglio dire che si è nascosto da tutti gli impegni che lo costringerebbero a non essere la fonte delle notizie positive. Questo atteggiamento non è assolutamente nuovo per lui. Anzi, è abituale.
Inizio a pensare che il primo ministro ungherese Viktor Orban si sia finalmente realizzato nel ruolo di Aleksandr Lukashenko dell’Unione europea. È sicuramente più pacifico nel difendere il proprio potere (non è difficile), meno antidemocratico (pure questo non è difficile) e quasi altrettanto bravo a ricattare la grande entità territoriale vicina per finanziare il «proprio» Stato (una arte che si impara abbastanza facilmente). Per ora ottiene meno soldi e li prende dall’UE invece che dalla Russia, ma queste sono le uniche differenze. Pure Lukashenko fa intendere – ogni qualvolta chiede qualcosa a Putin – che ci sarebbe il «rischio» del suo avvicinamento all’Europa.
Infatti, ieri l’Ungheria ha accettato di sbloccare un programma di aiuti europei all’Ucraina per 18 miliardi di euro dopo che l’UE ha fatto delle concessioni sulla questione dei sussidi europei all’Ungheria stessa. Il premier Viktor Orban ha affermato che non si sarebbe trattato di un ricatto o di un abuso del «potere di veto» (nelle procedure che richiedono l’unanimità degli Stati-membri) da parte sua. Mentre noi sappiamo – o possiamo facilmente immaginare – che non si tratta dell’ultima porzione di grandi aiuti finanziari europei all’Ucraina.
Ecco, in tanti dicono che Orban sarebbe il più grande alleato di Putin nell’UE, uno degli strumenti utilizzati per destabilizzare e disunire la politica europea. Ma la realtà potrebbe essere decisamente più comoda al mondo sviluppato: Orban sarebbe non un agente di Putin, ma solo un opportunista che può essere comprato all’asta. Finché conta qualcosa nella politica ungherese.
Si vede che ieri da qualche parte ha nevicato veramente: i leader del G7, a termine del vertice, hanno diffuso una dichiarazione per nulla «diplomatica» sulla guerra in Ucraina dove, in particolare, leggiamo:
We will hold President Putin and those responsible to account in accordance with international law.
Nella dichiarazione non viene (ancora) specificato in quale modo Putin e suoi complici verranno giudicati (penso che ormai si possa anticipare tale termine), ma l’intenzione è stata finalmente formulata. Sulla pratica questo potrebbe significare da oggi Putin e gli altri alti dirigenti dello Stato russo farebbero bene a non uscire dai confini federali: se dovessero uscire, molto probabilmente non avranno più l’occasione di farvi il rientro. Almeno per la scelta e con i mezzi propri.
Certo, ci ricordiamo bene che Putin – in tutta la sua carriera presidenziale, anche prima della pandemia e della guerra – ha viaggiato pochissimo all’estero. Ma ora non potrebbe andare nemmeno dai suoi finti amici asiatici. Mentre, per esempio, il ministro degli Esteri non potrà più andare alle varie assemblee internazionali per raccontare ai colleghi e ai giornalisti delle «buone intenzioni» dello Stato russo.
Di conseguenza, ora posso cambiare l’oggetto delle mie speranze: mentre prima speravo che qualche collaboratore di Putin si decida di liberare l’umanità dalla sua presenza, ora spero che qualche Capo di Stato o di Governo trovi un modo furbo per fare uscire Putin dalla sua tana…
L’articolo consigliato per questo sabato illustra ben due cose:
1. come può una Chiesa essere contemporaneamente uno strumento e uno oggetto della politica;
2. come Putin ha fallito, iniziando la guerra contro l’Ucraina, pure il proprio (uno dei diversi dichiarati) obiettivo di «difendere» i clienti della Chiesa ortodossa russa in Ucraina (molti dei quali decideranno di migrare verso qualche altra organizzazione religiosa).
A volte nella vita capitano delle situazioni strane in cui il male agisce a favore del bene. Non lo fa apposta (come non fa delle cattiverie tanto per farle), ma solo perché in quelle determinate circostanze è convinto di tutelare i propri interessi. Si tratta di una coincidenza casuale.
Per esempio: pensiamo al presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko. Con il Covid-19 e la guerra in Ucraina molte persone potevano essersi un po’ dimenticate dell’«ultimo dittatore europeo», del suo modo di condurre la politica interna in generale e della sua reazione alle proteste post-elettorali del 2020 in particolare. Ma Lukashenko esiste, è sempre al suo posto, e sempre dalla parte del male…
Ebbene, da oltre nove mesi sta resistendo alle pressioni di Putin e sta evitando di sostenerlo, nella guerra con l’Ucraina, con le forze militari bielorusse. Ovviamente non lo fa per l’amore verso gli ucraini o verso i propri militari. Lo fa perché ha paura – a ragione – di perdere il potere a causa dell’andamento della guerra. Proprio grazie a questo vengono salvate decine di migliaia di vite umane e l’Ucraina non è costretta a combattere su un fronte ancora più lungo. Il male sta agendo a favore del bene.
A questo punto posso aggiungere solo una constatazione: decine di miliardi di dollari regalati da Putin a Lukashenko sono stati sprecati. Lo «Stato unitario» tra la Russia e la Bielorussia sembra sempre più un fantasma.