Nel pomeriggio di ieri, molto probabilmente per non lasciare dubbi ai partecipanti al G20, l’esercito russo ha sottoposto a un massiccio attacco missilistico alcune città ucraine. Secondo Yuriy Ignat, il portavoce dell’aeronautica militare ucraina, l’esercito russo avrebbe lanciato circa 100 missili. Secondo il presidente Zelensky, invece, sarebbero stati lanciati 85 missili, prevalentemente contro le infrastrutture energetiche (l’ultimo dettaglio non è una attenuante, poi se pensiamo che si sta avvicinando l’inverno…). In ogni caso, l’attacco è avvenuto dopo due azioni «interessanti» del ministro degli Esteri russo Lavrov nel corso del summit:
1) ha dichiarato che la Russia sarebbe disponibile a un dialogo di pace,
2) ha preteso – pare senza successo – che nella dichiarazione congiunta finale la parola guerra fosse sostituita con la parola conflitto.
Certo, è evidente che in più di otto mesi di guerra più o meno tutti hanno già capito tutto sul modo di agire della Russia putiniana, ma in questi giorni della ricerca degli accordi comuni si poteva immaginare la convenienza di qualche forma di tregua. Ma le capacità cognitive proprio non bastano.
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Bloomberg sottolinea che la bozza del comunicato finale del G20 (quello in corso in Indonesia) contiene un linguaggio di compromesso per garantire che il maggior numero possibile di partecipanti firmi la dichiarazione e che il vertice non diventi il primo in assoluto a concludersi senza un comunicato congiunto.
Noi, invece, abbiamo la possibilità di essere ancora meno diplomatici del Bloomberg e di riconoscere dunque che l’obiettivo massimo sperato (ma pure il risultato massimo raggiungibile) è quello di 19 firme su 20. Di conseguenza, il G20 indonesiano non può non essere privo di un comunicato congiunto, a meno che non si decida di ignorare il fatto della guerra in Ucraina (una opzione che mi sembra poco probabile). Proprio in questo consiste storicità positiva dell’attuale G20 che non andrebbe temuta: nel XXI secolo inoltrato non c’è alcunché di male nel condannare una invasione militare ingiustificata.
Dato che ci è stato negato lo spettacolo di Putin maltrattato da 19 Capi di Stato e di Governo in contemporanea, voglio almeno divertirmi a contare le firme.
Oggi Vladimir Zelensky – senza annunciarlo per ovvi motivi – ha fatto una visita a Kherson liberata.
Dmitry Peskov – il portavoce di Vladimir Putin – rispondendo alle domande dei giornalisti in merito a tale evento, ha tentato di fare la battuta del giorno: «Lasciamo questo fatto senza commenti. Sapete che si tratta del territorio russo».
Noi, invece, sappiamo bene che Zelensky ha – giustamente – in mente i confini del 1991. In più, non mostra le stesse patologie di Putin. Di conseguenza, Dmitry Peskov per ora può scherzare tranquillo: non gli capiterà di incontrare Zelensky sul territorio russo tradizionale.
Ma in qualche aula ucraina molto probabilmente sì. Continuare la lettura di questo post »
Secondo il Cremlino alla fine di settembre più dell’87% degli abitanti di Kherson si sarebbe espresso – nell’occasione del «referendum» – a favore della annessione della rispettiva regione alla Russia. Tutte quelle persone saranno scappate verso il territorio «tradizionale» russo, perché all’ingresso dell’esercito ucraino in città non si vedono proprio:
Spero che l’Ucraina sia tornata per sempre.
Capisco bene – e probabilmente lo avevo già scritto – che tra le numerose parole con le quali può essere descritto Vladimir Putin c’è anche il termine conservatore. Putin è un conservatore un po’ particolare: spesso mi sembra che abbia costruito nella propria mente un modello del passato fatto con gli elementi delle varie epoche sconnesse, interpretati attraverso la logica di una persona poco istruita e più interessata alla forma che al contenuto. Costruito il concetto di quel passato (in un periodo di tempo non brevissimo e già dopo l’arrivo alla Presidenza), cerca di difenderlo con tutti i mezzi disponibili. Proprio con quell’agire crea dei problemi notevoli allo Stato proprio e a quelli vicini.
Ecco, questo sabato posso segnalarvi un articolo che si collega bene con la mia visione di Putin conservatore. Perché in un certo senso mostra come un conservatore mentale si trasforma in conservatore «applicato».
La rivista The Economist ha analizzato le statistiche militari degli ultimi due secoli per mostrare come Vladimir Putin stia cercando di riportare il mondo a un passato sanguinoso. Secondo me è una lettura interessante indipendentemente dalla vostra visione di Putin.
Dei quali aspetti della guerra difficilmente leggerete sui giornali? Per esempio, di come l’esercito russo viene preso in giro in Russia dalla «gente comune». Solo alcuni esempi:
Quando a Sebastopoli si vede nuovamente una colonna di fumo, significa che la Flotta russa del Mar Nero sta eleggendo una nuova ammiraglia.
Il Cremlino avverte Kiev: «Se continuate a rifiutarvi di negoziare, ci ritireremo pure dalla regione di Zaporizhzhya!»
Kirill Stremousov (ormai ex governatore di Kherson nominato dal Cremlino): Kherson sarà ceduta alla Ucraina solo passando sopra il mio cadavere.
Sergei Shoigu ha finalmente deciso di occuparsi del proprio lavoro: della difesa.
Una decisione bellissima, ma è ancora meglio ritirarsi dietro il Volga.
Andrey Turchak (il vice-presidente della Camera alta del «parlamento» russo): «La Russia è a Kherson per sempre!». La durata del «per sempre» russo è diventata più chiara: va da marzo a novembre.
P.S.: ai tempi di pace avrei pubblicato un lungo post per spiegare che la vita reale in uno Stato può essere appresa e compresa non dalle notizie sui media, ma da come e su quali argomenti scherza la gente. Spero di ricordarmi di scriverlo in futuro.
A volte è utile non solo informarsi bene sui grandi eventi, ma fare anche una estrema sintesi di quanto successo: in questo modo riusciamo a comprendere la vera bellezza di ogni singolo evento. Faccio subito un esempio.
All’inizio di marzo l’esercito russo aveva occupato la città ucraina Kherson. Il regime putiniano aveva dichiarato che la città sarebbe diventata «russa per sempre».
All’inizio di ottobre la città e la relativa regione sono state annesse (con dei confini non definiti e assieme ad altri quattro territori) alla Russia attraverso un procedimento un po’ comico.
Il 9 novembre il comandante delle forze armate russe sul fronte ucraino Sergey Surovikin ha presentato un rapporto verbale sull’andamento della «operazione militare speciale» al ministro della «Difesa» russo Sergei Shoigu. In particolare, ha detto che tutto sta andando come previsto, le truppe russe combattono coraggiosamente, tutti gli attacchi dell’esercito ucraino vengono respinti senza problemi e, considerato quanto detto, l’esercito russo deve lasciare la parte della città di Kherson situata sulla riva destra del fiume Dnepr e ritirarsi dietro alle strutture difensive sulla riva opposta.
Il ministro Shoigu ha ringraziato il comandante ha sottolineato che si tratta di una scelta saggia.
Io, tentando di essere diplomatico, ipotizzo che i militari russi hanno – nel contenitore organico inserito sotto il berretto – una loro logica poco comprensibile agli umani. Ma per essere obiettivo devo aggiungere che non sono capaci di avere una logica propria, quindi in molti casi traducono in messaggi sonori la logica ricevuta dall’alto.
P.S.: ovviamente sono contentissimo per la messa in pratica di tale logica e spero che si continui velocemente allo stesso modo. Nonostante i «suggerimenti» di Biden, il presidente Zelensky non ha un particolare bisogno di «trattare».
Non so se classificare questa storia come un aneddoto o come una specie di apocrifo dei giorni nostri, ma…
Il 29 ottobre a Volgograd le forze dell’ordine (che da oltre due decenni servono prevalentemente a difendere il regime politico vigente) hanno reagito alla segnalazione degli attivisti religiosi ortodossi (i quali, seguendo l’esempio del Patriarcato di Mosca, appoggiano la guerra in Ucraina) e hanno interrotto il concerto dei rapper ALEXMERSER e INQUEENSITION (favorevoli alla invasione russa della Ucraina).
So benissimo che molte persone sono tanto idealisti e sognatori da pensare che certi regimi non democratici cadano per il merito delle rivoluzioni. Mentre io vedo che in realtà quei regimi cadono quasi sempre (in Russia proprio sempre) a causa dei conflitti interni al sistema. Il problema sta nel fatto che il grado critico del conflitto – al raggiungimento del quale il regime putiniano crollerà – sarà infinitamente meno divertente di quello appena descritto.
Per ora possiamo osservare solo alcuni primi, singoli e piccoli, segnali del conflitto crescente.
Non so se vi sia capitato di leggere, nei giorni scorsi, che le cosiddette «truppe di difesa territoriale» della regione di Kherson occupata dall’esercito russo sono state armate con i fucili di Mosin: quelli adottati per la prima volta dall’esercito dell’Impero russo nel 1891 e poi utilizzati fino al 1959 pure dall’esercito sovietico.
Molto probabilmente si tratta proprio di una di quelle armi che – secondo le parole preferite da Vladimir Putin – «non ha degli analoghi nel mondo». A questo punto mi aspetto che l’esercito russo e tutte le truppe che combattono assieme a esso vengano presto armate con un’altra arma modernissima e non utilizzata da alcun altro esercito: Continuare la lettura di questo post »
Nella guerra putiniana in Ucraina sta progressivamente aumentando l’importanza dei droni di vario tipo. Certo, quella importanza non è mai stata nulla e nemmeno bassa, ma negli ultimi mesi sempre più spesso costituisce l’argomento prevalente quando si parla degli armamenti utilizzati dalle due parti. Molto probabilmente vi vengono subito in mente i droni utilizzati da qualche settimana dalla Russia e quelli famosi utilizzati da qualche mese dalla Ucraina.
Ma in realtà la situazione con i droni utilizzati da entrambe le parti è molto più complessa e interessante. Di conseguenza, le persone interessate alle questioni militari e agli armamenti (e, ovviamente, alla guerra in corso) possono provare a leggere un bel riassunto – riccamente illustrato – della «guerra dei droni» osservata in Ucraina fino a questo momento.